La Puglia che verrà. La regione può uscire allo scoperto, varcando ogni confine

foto_15_4La qualità salverà la Puglia. La qualità delle relazioni, della capacità di fare squadra e di trovare la ricetta giusta per accompagnarla nel futuro. E quella delle materie prime, che devono tornare ad essere l’essenza delle proposte gastronomiche regionali, vera ricchezza dell’Italia del gusto. Ma qualità intesa anche come capacità di innovarsi, di “contaminarsi” e, soprattutto, di uscire fuori dai confini regionali, “perché non ha senso continuare a parlarci addosso e dirci fra di noi quanto sia bella la Puglia e quanto siano buoni i prodotti enogastronomici”.   Si potrebbe riassumere così il succo del dibattito che si è svolto in questi giorni a Tenuta Moreno (Mesagne, in provincia di Brindisi) in una due giorni di Open Day, organizzata da Puglia Expo, associazione che raggruppa imprenditori, cuochi, esperti di comunicazione, di promozione enogastronomica, con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio agroalimentare, ambientale, turistico e culturale pugliese. Presidente dell’associazione, Michele Bruno, patron del famosissimo “Mercatino del Gusto” di Maglie, in provincia di Lecce, manifestazione enogastronomica che il prossimo agosto, giungerà alla sua 18° edizione. «Una spremuta di idee – così ha definito l’appuntamento Michele Bruno – un incontro fra amici per parlare della Puglia che verrà, mettendo a disposizione le proprie esperienze e competenze» per far crescere una regione che ha ancora molto da dire, specie sul fronte del gusto, del cibo, dell’enogastronomia.

Il gastronauta Davide Paolini
Il gastronauta Davide Paolini

Il crepuscolo degli chef Il pretesto per parlare anche della “Puglia che verrà” è stato il libro del “gastronauta” Davide Paolini – Il crepuscolo degli chef. Gli italiani e il cibo tra bolla mediatica e crisi dei consumi – presentato dall’autore ad una platea di giovanissimi studenti degli istituti alberghieri pugliesi, ai quali ha inteso lasciare le consegne, o almeno orientare la bussola delle scelte giuste da compiere. Diventare cuochi e non chef, tanto per dirne una. Per tornare all’essenza di un mestiere bellissimo, ma faticoso, lontano dai riflettori e dai palinsesti e più vicino a ciò che rende unica la cucina italiana, o meglio le tante cucine regionali: le materie prime. «Sono le materie prime che devono essere portate alla ribalta. Gli stranieri quando vengono nel nostro Paese cercano i nostri i nostri prodotti tipici, la mozzarella, il parmigiano, il barolo, sono pochi quelli che vengono in vacanza per andare a mangiare dal grande Chef». Cosi Paolini parlando di una cucina italiana che se viene identificata soprattutto per il prodotto, allora significa che su questo  occorre investire per promuovere un comparto fondamentale, in cui abbiamo la ricchezza di una biodiversità con pochi eguali al mondo. «Con un sogno – ha sottolineato il Gastronauta – quello di non assistere più ai “cooking show” ma ai “making show”, in cui cioè protagonisti tornino ad essere i casari, i pescatori, i produttori, gli unici a poter insegnare la vera cultura del cibo. Molti chef sanno pochissimo del prodotto che va a finire nei piatti, abituati ormai a ricevere nelle proprie cucine prodotti semilavorati, consegnati dalle società di distribuzione e quasi pronti ad essere “impiattati”.  Ecco perché, citando Paul Bocuse, è ora che gli chef ritornino in cucina» .

 La ricetta per la Puglia Naturalmente per una regione come la Puglia, bacino indiscusso di biodiversità e di varietà di produzioni tipiche, il ragionamento vale il doppio. Occorre insomma, tornare all’ABC per combattere –  come scrive Paolini –  «l’analfabetismo gastronomico». E capire come nasce un formaggio, quali le varietà di grano che hanno scritto la storia della nostra regione, tornare ad occuparci di agricoltura e di prodotti gastronomici, di  cultura scientifica e nutrizionale. Partendo dal suo libro, dunque, «che non vuol essere un processo agli chef. Ma oggi il cibo è diventato il traino del costume, è quello di cui di più si parla»,  Paolini spesso ospite in Puglia, lancia la sua ricetta, perché sì, si può trasformare tutta questa attenzione verso il cibo generata dalle tv, in opportunità di crescita per la Puglia se «smettiamo di fossilizzarci sul cibo, che è e deve rimanere  un tutt’uno con il  territorio».  Occorrerebbe dunque recuperare la capacità di promuovere la bellezza complessiva di un’area, di un territorio, che non è un corpo estraneo rispetto al suo cibo e al vino che produce, ma è un insieme unico e irripetibile, perché la «cultura e la bellezza si abbinano al cibo».

Metodo e multidisciplinarietà, anche in Puglia La traccia da seguire per Giacomo Mojoli, tra i fondatori di Slow Food, giornalista ed esperto di food&wine, corre lungo due parole chiave: metodo e multidisciplinarietà. Confrontandosi  con Paolini, alla presenza fra gli altri di Antonello Magistà, giovane patron del Pashà, ristornate stellato di Conversano in provincia di Bari, che ha portato la sua personale esperienza, ma anche con gli ospiti della prima serata sul tema de “La Puglia che ci piace” (Pierangelo Argentieri, Federalberghi; Marianna Cardone, Le Donne del Vino;  Domingo Iudice, Pescaria; Gabriella Morelli, TedxLecce;  Giuseppe Savino, VaZapp’; Rocky Malatesta, PugliaPromozione) Mojoli non ha dubbi:  il futuro della comunicazione dell’universo cibo dipenderà dalla capacità di governare con metodo il proprio mestiere, la propria attività.  Bisogna cioè ripartire da quello spirito che portò negli anni alla nascita di Gola, di Arci Gola e poi di Slow Food e tornare a raccontare il cibo e la cultura materiale in modo multidisciplinare. Mettendo insieme cioè più discipline e competenze per generare una narrazione, un racconto affascinante ma concreto, per promuovere una cultura alimentare che si basi sulla produzione reale.

 Ibridiamoci, basta Km 0 «Ma – ha ammonito Mojoli – tutto questo non significa tornare indietro e fermarsi a ciò che è stato necessario fare trent’anni fa. Partiamo dalla conoscenza dei prodotti tipici, dalla ricerca della qualità, dalla valorizzazione del territorio come identità, che ritengo pre-requisiti essenzali. Ma non fermiamoci qua. Andiamo vanti e ibridiamoci, contaminiamoci. Quando un territorio, una comunità, una realtà hanno definito la propria identità su basi sicure e culturalmente forti, poi deve arrivare la fase del confronto dell’apertura. La grande scommessa futura è una gastronomia che si confronta con quanto di positivo si muove entro una produzione sostenibile e qualitativamente forte, che saprà valorizzare con poco, il tanto che viene dai territori”. Ibridazione, dunque, dovrà essere il tema qualificante del futuro nella misura in cui si saprà generare cultura, identità, capacità progettuale. E la cucina del futuro per mojoli non sarà a km 0 ma sarà una cucina a km 100mila “nel momento in cui sapremo contaminarci e ibridare le materie prime del territorio. Non torniamo al passato, ma progettiamo il futuro».

La Puglia che verrà Per Mojoli la grande sfida per la Puglia è quella di portare identità gastronomica e culturale fuori dai confini della regione. «La Puglia – afferma – è un giacimento turistico, artistico, storico con prodotti di grande qualità, è arrivato il momento di farli conoscere al mondo. Con questo scambio si può costruire una cultura innovativa. Io credo che la cultura gastronomica abbia bisogno della multidisciplinarietà, di competenze acquisite da vari settori, sapendosi ibridare con quanto di meglio esiste in altre culture e altre discipline».

Insomma, passato il tempo della scoperta e della consapevolezza  delle possibili potenzialità, del patrimonio straordinario di prodotti, di biodiversità, di paesaggi, di storie ed esperienze vincenti, per la Puglia è ora il momento di crescere ancora, uscendo dai confini regionali.

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