Slow Fish a Genova. Il Pianeta Mare soffre «ma tutti possiamo contribuire a salvarlo»

Qual è il problema dei problemi? Roberto Danovaro, presidente della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, non ha dubbi nell’introdurre la conferenza della seconda giornata di Slow Fish: è il cambiamento climatico, un tema che al momento sembra appassionare più la ricerca scientifica della politica e le persone che, normalmente, si interessano poco a quelle questioni rispetto alle quali non riescono a stabilire un nesso causa-effetto immediato.

Il banco del pesce ad Eataly RomaEppure il cambiamento climatico ci riguarda da molto vicino e interessa tantissimo il mare, tanto più in un paese come l’Italia, le cui coste si sviluppano per 7500 chilometri e dove la superficie di mari su cui ha diritti ma soprattutto doveri si estende sulla bellezza di 500.000 kmq. A elencare le prime cifre è l’ammiraglio Giovanni Pettorino, della Guardia costiera della Liguria, comandante del Porto di Genova. Il fatto che ponga l’accento sui doveri che abbiamo nei confronti del nostro mare non è indifferente. «Il Mediterraneo è poco meno dell’1% dei mari del mondo, ma vede lo sviluppo di innumerevoli attività umane: migliaia di porti, il 20% del naviglio mondiale nelle sue acque, le industrie… Il lavoro per consegnare questo bacino alle generazioni future è un compito arduo, difficilissimo». Pettorino è chiaro: il cambiamento climatico rappresenta una sfida importante, perché il mare sta sempre di più subendo gli impatti di questi cambiamenti e della fortissima antropizzazione delle coste, popolate, in 23 paesi, da circa 450 milioni di persone. «Quello che chiamiamo Pianeta Terra, in realtà, dovremmo chiamarlo Pianeta Mare, perché per tre quarti questo mondo è ricoperto dalle acque».

A Vincenzo Ferrara, climatologo Enea e per 16 anni capofila italiano alle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, spetta il compito di sintetizzare gli effetti del cambiamento climatico sui mari e gli oceani. Due sono le parole su cui sceglie di concentrarsi: «l’innalzamento del livello degli oceani e l’acidificazione». Dette così, sembrano cose difficili, cose nelle quali, come sottolineato all’inizio, si fatica a cogliere un nesso causa-effetto immediato. Eppure nell’Oceano Indiano l’acidificazione ha già prodotto una lunga serie di effetti: lo sbiancamento dei coralli, il declino di organismi marini dotati di guscio calcareo, la modifica degli ecosistemi e la perdita di biodiversità. E in un prossimo futuro questi effetti saranno ancora più visibili: «Entro il 2100 il ghiaccio artico scomparirà completamente, lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia determinerà grossi impatti sulla corrente del golfo. Questi mutamenti avranno anche conseguenze pesanti per la pesca: la zona più danneggiata sarà la fascia intertropicale, dove per effetto del riscaldamento delle acque, dell’acidificazione, della mancanza di ossigeno, le specie saranno costrette a emigrare verso nord».

Accade tutto troppo lontano da noi per interessarcene? Giorgio Bavestrello, zoologo marino, aggiunge: «Noi zoologi collezioniamo storie di animali. I barracuda a Portofino sono impressionanti, così come la Thalassoma pavo e la Sphyraena viridensis. I pesci si muovono, e oggi nei nostri mari ci sono quelli che fino ad anni fa non si vedevano. Dal 2000 i livelli di cattura della tonnarella di Camogli sono drasticamente diminuiti. Inoltre, alla fine del millennio scorso gli organismi del benthos hanno iniziato a morire: ci sono state morie di spugne, soprattutto nel 1999, quando un’ondata di acqua calda ha provocato un vero disastro nel bacino ligure». Morie e specie aliene. Sembra la trama di un film di fantascienza, e non siamo così lontani.

Fabrizio Serena, di Arpa Toscana, sceglie un esempio immediato per evidenziare questo cambiamento nelle specie dei nostri mari. «Negli anni Sessanta il protagonista del cacciucco livornese era il palombo, negli anni Ottanta è diventato il gattuccio, dal Duemila il cacciucco lo si cucina col boccanera». Coi cambiamenti sono cambiate anche le ricette, ed è importante sottolineare che si sta sempre di più assistendo alla loro costante ricorrenza.

Angelo Cau, docente ordinario dell’Università di Cagliari, conclude evidenziando che le conseguenze dei cambiamenti climatici sono: «cambiamenti fisici, biologici, economici e sociali». L’aspetto interessante è che mentre il 98% degli scienziati concorda sull’esistenza del cambiamento, l’1,9% la rifiuta. Una percentuale piccola ma molto potente e influente, che sta negando questo fenomeno e la sua importanza e che, ignorando costantemente il problema, non farà altro che acuirlo. Il cambiamento climatico esiste, ed è sotto i nostri occhi, ma dobbiamo imparare ad aprirli e a osservare quello che abbiamo davanti».

Franco Andaloro, dirigente di ricerca Ispra, ribadisce che la pesca e la gastronomia si sono sempre modellate sulla biodiversità animale, ma oggi i cambiamenti e le esigenze di adattamento si sono velocizzate. «Per effetto di fenomeni quali la tropicalizzazione – il cui emblema è il pesce coniglio – e della meridionalizzazione – che ha il suo simbolo nel pesce pappagallo – oggi nel Mediterraneo vi sono 1500 specie aliene registrate, e le segnalazioni sono aumentate moltissimo negli ultimi 25 anni. Non solo è cambiato il numero delle specie – con nuovi pericolosi arrivi come il pesce palla maculato e il pesce scorpione –, ma anche il loro comportamento».

Slow Fish è organizzato da Slow Food Italia e dalla Regione Liguria in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e Comune di Genova. L’evento è reso possibile grazie al supporto di molte realtà che credono nel progetto, tra cui gli Official Partner: Quality Beer Academy, Lurisia, Pastificio Di Martino.

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