Obbligo certificato Antimafia per le aziende. La soglia a 5 mila euro è solo palliativo. Cia: «Ingiustizia da risolvere»

«L’emendamento, che prevede la non applicazione dell’obbligo dell’Antimafia alle aziende che percepiscono fino a 5.000 euro – approvato in queste ultime ore con l’obiettivo di attenuare un impatto catastrofico sulla dinamica di erogazione degli aiuti comunitari alle aziende agricole italiane – se pur apprezzabile, nel tentativo di migliorare la norma, appare comunque insufficiente e non accettabile». Questa la presa di posizione della Cia Agricoltori Italiani rispetto alla legge 161 e a un emendamento all’interno del testo del Dl Fiscale, prossimo alla votazione in Senato.

azienda-agricola_1.jpgCosa cambia Considerando che fino a oggi l’obbligo della certificazione antimafia era applicato solo per aiuti superiori a 150 mila euro e che il numero esiguo, stimato intorno alle 3mila richieste l’anno, rappresentava comunque un ostacolo burocratico complicatissimo. Chiediamo ai legislatori di immaginare la produzione di alcune centinaia di migliaia di antimafia quali impatti burocratici determinerebbe.

La legge è sperequativa perché orientata solo al settore agricolo, come se questo fosse un settore particolarmente a rischio mafia. Una legge che entra in vigore con pagamenti della campagna 2017 in atto e che, quindi, creerà un inaccettabile differente trattamento tra agricoltori che hanno percepito l’aiuto senza l’antimafia e altri che dovranno attendere mesi per produrre tale documentazione.

Ingiustizia da risolvere «Riteniamo – conclude la Cia – sia doveroso che le Istituzioni individuino gli strumenti per risolvere questa ingiustizia. In agricoltura ci saranno anche delle “mele marce”, così come in tutti i settori, e vanno sicuramente perseguite con tutti i mezzi, ma non a discapito della grandissima maggioranza di agricoltori, che con fatica e difficoltà rendono produttive le nostre campagne».

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