I 6 nuovi prodotti tradizionali pugliesi

 

Presentati a Bari sei nuovi prodotti tipici tradizionali pugliesi. Ecco – grazie alle schede della Regione Puglia – tutte le informazioni e curiosità per conoscerli meglio.

Cipolla bianca di Margherita

Categoria del prodotto: Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati.

Altre denominazioni: “Cipodd di Salen” (Cipolle delle Saline).

Area di origine del prodotto: Province di BAT e Foggia.

Descrizione prodotto:
La cipolla (Allium cepa L.) è una pianta erbacea biennale che fa parte della famiglia delle Liliacee. La porzione edule è un bulbo tunicato costituito dall’ingrossamento della parte basale delle foglie. Vengono coltivate varietà autoctone (precoci e tardive), dal colore bianco dei bulbi e dalle spiccate proprietà organolettiche. In particolare, la cultivar utilizzata per la produzione della “Cipolla bianca”di Margherita è la popolazione ‘Bianca di Barletta’ che è un insieme di selezioni locali che si distinguono per la diversa precocità: ‘Marzaiola’ o ‘Aprilatica’, ‘Maggiaiola’, ‘Giugniese’, ‘Lugliatica’. Anche la forma ed il peso del bulbo cambia tra le diverse tipologie. Si passa da forme schiacciate ai poli e di peso intorno ai 100 g nelle tipologie più precoci, a forme più isodiametriche e di peso più elevato fino a superare i 200 g (‘Lugliatica’) nelle tipologie più tardive.
Caratteristiche specifiche della “Cipolla bianca di Margherita” sono la presenza di una elevata quantità di zuccheri che la rendono particolarmente dolce e la scarsa presenza di solfuri che limita la lacrimazione all’atto della pulitura.
Apprezzata per il gusto particolarmente dolce, viene utilizzata in cucina cotta o cruda in svariatissime pietanze.
E’ un alimento ricco di sali minerali (specialmente di iodio) e contiene discrete quantità di vitamina C, B e A. Sin dalla antichità ha sempre avuto un posto importante nella medicina popolare e recenti studi hanno confermato proprietà diuretiche, ipoglicemiche, preventive dell’arteriosclerosi, antibiotiche, espettorante, depurative, vermifughe, tonificante dell’apparato digerente e dell’organismo in generale, cosmetiche, ecc.

Processo produttivo:
L’area di produzione ricade lungo una stretta fascia  di terreno (300-400 m), di tipo sabbioso e sabbioso- limoso, compresa tra il Mare Adriatico e le Saline di Margherita di Savoia (Zona Umida  riconosciuta di valore internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar).
La presenza di importanti risorse naturali e paesaggistiche costituisce  il motivo per cui tutti gli interventi tecnico – agronomici praticati sono a basso impatto ambientale.
La tecnica colturale utilizzata è quella tradizionale  e prevede la semina della cipolla in semenzaio tra la fine del mese di agosto e gli inizi del mese di settembre.
La cultivar utilizzata per la produzione della “Cipolla bianca”di Margherita è la popolazione ‘Bianca di Barletta’ che è un insieme di selezioni locali che si distinguono per la diversa precocità: ‘Marzaiola’ o ‘Aprilatica’, ‘Maggiaiola’, ‘Giugniese’, ‘Lugliatica’. Anche la forma ed il peso del bulbo cambia tra le diverse tipologie. Si passa da forme schiacciate ai poli e di peso intorno ai 100 g nelle tipologie più precoci, a forme più isodiametriche e di peso più elevato fino a superare i 200 g (‘Lugliatica’) nelle tipologie più tardive.
Le piantine, pronte per il trapianto in 40-80 giorni, vengono trapiantate manualmente nel periodo compreso tra novembre e febbraio.
Vengono realizzati:
l adeguati avvicendamenti colturali che permettono di conservare un adeguato livello di fertilità dei terreni e di limitare lo sviluppo di pericolose fitopatie;
l concimazioni equilibrate secondo un piano di fertilizzazione che consente di contenere al minimo l’impatto ambientale;
l irrigazioni razionali;
l lavorazioni profonde del terreno;
l selezione di materiale di propagazione sano;
l la lotta alle malerbe si basa sull’impiego di prodotti diserbanti solo nelle prime fasi vegetative della coltura e rifinitura manuale nelle fasi avanzate.
Tali pratiche agronomiche sono in grado di creare condizioni sfavorevoli agli organismi dannosi e permettono alla pianta di affrontare, nelle migliori condizioni fisiologiche, le avversità.
L’impiego dei fitofarmaci è, pertanto, limitato ed i prodotti fitosanitari vengono impiegati solo dopo aver individuato la “soglia di intervento”.
La raccolta viene effettuata a mano nei mesi di fine aprile, maggio, giugno e luglio con tempo asciutto per favorire la cicatrizzazione di eventuali ferite.

Periodo di produzione: fine aprile, maggio, giugno e luglio.

• Storia e tradizione:
La coltivazione della cipolla nel territorio come sopra individuato è di origine antichissima. Alcune testimonianze fanno risalire la sua coltivazione agli inizi del XVIII secolo.
• Notizie sulla importanza economica e gastronomica della cipolla in Capitanata partono dai primi anni del Settecento. Si riportano stralci di documenti dell’epoca. 
“L’Onciario di Barletta, redatto nel 1754, … Giovanni Maria Campitelli, che, salvo tre versure cedute ai Sanseverino di Bisignano, a ridosso di Torre Pietra, è proprietario della difesa, una striscia di terra, stretta tra lago e mare, erbaggiale ed arenosa di arene ortalizie fruttifere, che dalla contrada Orno arriva fino a Zapponeta. In essa si producono soprattutto cipolle e melloni” Saverio Russo (2001), Le saline di Barletta tra Sette e Ottocento.
• “… e gli Abitatori delle non poche pagliaja, applicati alla coltivazione de’ melloni, e delle cipolle fu quella lista di terra tra ’l mare, ed il lago” Memoria per lo signor conte di Chiaromonte, s. d. prob. 1770.
• “…oggidi non vi si piantano che legumi, melloni e cipolle, le più belle e le più grandi del provincia…” De Leon, 1769.
Nel 1929 il Viani nel suo trattato di orticoltura, parlando delle cipolle bianche coltivate in Italia, distingue la cipolla bianca Margherita di Savoia dall’ecotipo affine della cipolla bianca precocissima di Barletta. Quest’ultima viene caratterizzata per le dimensioni più piccole dei bulbi di 2-3 cm (Viani, 1929). Questa citazione del Viani rappresenta una fonte certa che testimonia come già agli inizi del secolo scorso la “Cipolla Bianca di Margherita” fosse un ecotipo ben distinto e noto a livello nazionale e che il nome che si propone fosse già in uso in quegli anni.
Nel 1931 viene pubblicata una “Guida Gastronomica d’Italia” dal Touring Club Italiano. Nel capitolo dedicato alla Puglia, la guida cita come tipici della regione “i cetrioli e le grosse cipolle degli arenili tra Barletta e Margherita di Savoia…”G. Pensato – Saverio Russo (2005), Le carte in tavola. Alimentazione e cucina in Capitanata.
Dal 1971 al 1975 il Laboratorio di Nematologia agraria del C.N.R. di Bari ha effettuato studi, che si riportano in allegato, sugli attacchi di Ditylenchus Dipsaci sulla cipolla bianca di Margherita.
Si riportano in allegato immagini cartografiche ante 1760 che testimoniano la presenza degli arenili nell’attuale areale di coltivazione della “Cipolla bianca di Margherita”:
• Piano delle Regie Saline di Puglia, il punto 19 della legenda riporta “Ortalizii, o siano arene coltivate”, 1760 Francesca Bellafronte, Enzo Russo (2009), Catalogo del Museo della Salina Margherita di Savoia, Storie di donne e di uomini, di acque e di terre..
• Pianta delle Regie Saline e del Pantano Salpi, il punto 25 della legenda riporta  “Ortalizie chiamate arene nella Riviera del Mare”, ante 1760 Francesca Bellafronte, Enzo Russo (2009), Catalogo del Museo della Salina Margherita di Savoia, Storie di donne e di uomini, di acque e di terre..
La cipolla è un elemento fondamentale della cucina italiana. E’ uno degli ingredienti del soffritto, preparazione base di ogni condimento per la pasta. Le ricette in cui compaiono le cipolle sono davvero infinite. La “Cipolla bianca di Margherita”, in considerazione del sapore dolce e della croccantezza, è apprezzata anche cruda, tagliata a fette, magari accompagnata da qualche pomodoro e cetriolo.
A seguito di indagine effettuata presso alcune famiglie di Margherita di Savoia e dintorni, con tradizione agricola ultra centenaria, è emerso che la cipolla insieme alla patata, altra coltura tipica del posto, hanno avuto un ruolo fondamentale nella gastronomia locale. La cipolla, in particolare, è sempre stata impiegata come condimento di alcune portate, come vera e propria portata, come uno dei componenti di insalate e come companatico in caso di necessità.
Uno dei proverbi più antichi del luogo recita: “Mange pane e ccepodde e statte a caste” (Mangia pane e cipolla e stai a casa tua) a significare che è meglio accontentarsi del quotidiano restandosene nella propria terra, piuttosto che cercare ventura altrove.
Si riportano, in allegato, alcune ricette tipiche locali in cui compare la cipolla come incrediente principale a dimostrazione che il territorio, con la sua storia, cultura, tradizioni vive attraverso le abitudini alimentari dei suoi abitanti.

Tipologia di commercializzazione: Dettaglio tradizionale, negozi, specializzati, distribuzione moderna.

Organismi Associativi: Associazione “Torre Pietra” – salvaguardia e valorizzazione della produzione della cipolla bianca di Margherita.

Olive Celline di Nardò in concia tradizionale

Categoria del prodotto: Prodotti vegetali conservati.

Altre denominazioni: Ciline alla capàsa – Volie alla capàsa.

Area di origine del prodotto: L’intero territorio della Provincia di Lecce.

Descrizione prodotto:
Olive della cultivar cellina di Nardò, della specie olea europea L., raccolte a completa maturazione e conciate in salamoia con vari aromi. Il peso della drupa varia da 1,5 a 2 g.

Processo produttivo:
La raccolta si effettua direttamente dagli alberi, manualmente o tramite scuotimento delle piante, intorno alla prima decade di dicembre (periodo in cui le olive di questa cultivar raggiungono di norma la completa maturazione).
Dopo aver eliminato l’eventuale fogliame presente e le drupe troppo acerbe o che presentano imperfezioni (rotture, punture di insetti) le olive vengono risciacquate e poste in vasche di materiale inerte (tradizionalmente si impiegano i tradizionali limbi o limmi ovvero grandi contenitori svasati in argilla vetrificata). L’acqua fresca viene sostituita quotidianamente per un paio di giorni.
Le olive vengono, poi, passate in fusti muniti di coperchio  contenenti una salamoia satura e – secondo le preferenze locali – diverse essenze aromatiche quali rametti di mirto, infiorescenze di finocchio selvatico, rametti di falso pepe (Schinus molle), scorze di agrumi e limoni affettati. (Nella tradizione vengono impiegate le cosiddette capàse, che sono degli orci di grandezza variabile in terra cotta vetrificata e caratterizzati dalla presenza di due o tre anse in prossimità del collo)
Nelle prime fasi, i fusti vengono tenuti aperti onde consentire l’evacuazione degli eventuali gas che fuoriescono nelle fasi di fermentazione.  La deamarizzazione delle olive si completa in circa sei mesi, trascorsi i quali le olive, ormai perfettamente stabilizzate, possono essere trasferite in contenitori più piccoli con il loro liquido di governo filtrato.
Si conservano egregiamente per almeno tre anni.       

Periodo di produzione: da dicembre a marzo.

Storia e tradizione:
La tradizionalità del prodotto è assicurata dal fatto che queste olive sono diffusissime e molto apprezzate in tutti i paesi della provincia oltre ad essere, da sempre, un ingrediente importante – e in diversi casi fondamentale – di pitte rustiche (focacce farcite) pucce, uliate, pizzi, scèblasti, etc., (ossia di molti dei tipici pani conditi salentini). Ne è riprova anche un antico detto popolare te la ‘Mmaculata, l’ulia è maturata coniato appositamente per ricordare il tempo di procedere alla raccolta delle Celline da conciare. 

Tipologia di commercializzazione: Locale ed anche extraprovinciale.

Iniziative di promozione: Risulta interessante oltre ad incrementare l’utilizzo nei prodotti tipici da forno sviluppare la prospettiva di utilizzo dell’oliva cellina in concia tradizionale come prodotto che accompagna gli aperitivi, attraverso iniziative mirate al coinvolgimento ed alla sensibilizzazione dei ristoratori oltre ad inserire la produzione in occasione di fiere e mercati transregionali.

Pallone di Gravina

Categoria del prodotto: Formaggio caciocavallo.

Altre denominazioni: Palloun.

Area di origine del prodotto: Province di Bari, BAT e Matera.

Descrizione prodotto:
Formaggio a pasta dura filata, prodotto esclusivamente con latte crudo di vacche allevate allo stato semi-brado nei pascoli della zona della murgia barese, di forma sferica, come un pallone; di peso variabile da 1,00 a 10,00 Kg.
La pasta è di colore paglierino tendente al giallo con la stagionatura, pasta di consistenza uniforme leggermente occhiata. A secondo della stagionatura trasforma i sapori specifici del latte in quelli specifici delle erbe dalla Murgia.

Processo produttivo:
• Preparazione del latte in caldaia
• Riscaldamento a 36/37 gradi
• Aggiunta di caglio
• Coagulazione in 35/40 minuti
• Rottura della cagliata e cottura a 40 gradi
• Sosta della cagliata per 10 minuti
• Estrazione della cagliata
• Sosta sugli speroli per 24 ore e relativa maturazione naturale
• Taglio della cagliata e filatura in acqua a 85/90 gradi
• Modellatura del formaggio a mano
• Rassodamento in acqua fredda per 30 minuti
• Immersione del formaggio in salamoia in base alla pezzatura
•  Asciugamento per 3-4 giorni
• Trasferimento e stagionatura in ambienti con temperatura e umidità controllata o in cantine di tufo .
Il prodotto è esente da una scadenza prestabilita in quanto se ben conservato si indurisce e impreziosendosi può essere utilizzato anche grattugiato.
Tutte le fasi di lavorazione devono essere effettuate per la commercializzazione del prodotto secondo i dettami delle vigenti leggi igienico-sanitarie nonché con strumenti e locali a norma di legge. Se viene rispettata la normativa igienico sanitaria, non si rilevano punti di criticità.
I locali di lavorazione devono rispettare gli standard da laboratorio caseario, ma soprattutto i locali di stagionatura devono essere controllati, per quel che concerne l’umidità e la temperatura.

Periodo di produzione: tutto l’anno.

Storia e tradizione:
Il Pallone di Gravina ha delle origini antichissime; La “nuova Enciclopedia Agraria” ossia Raccolta delle Migliori Monografie su terreni, le piante, gli animali domestici e l’economia rurale di Achille Bruni (professore della Regia Università di Napoli) –volume terzo edito da Giuseppe Marghieri e Agostino Pellerano, 1859 citano i formaggi detti cacio-cavalli e Palloni di Gravina a pag. 120…”I cacio-cavalli e i palloni di Gravina, che differiscono da’ primi solo quanto alla forma… Così si pratica a un di presso in tutte le province del Regno di Napoli, e tanto si usa in Gravina ed in Altamura, ec.. I formaggi provoloni- scamorzoni di gravina sono anche citati in altri documenti storici molto importanti.
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Tipologia di commercializzazione: Formaggio duro a pasta filata.

Pisello secco di Vitigliano

Categoria del prodotto: Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati.

Altre denominazioni: “Piseddhru Quarantinu o Piseddhru Cucìulu”

Area di origine del prodotto: Vitigliano di Santa Cesarea Terme (Le).

Descrizione prodotto:
Il pisello secco di Vitigliano, detto anche “piseddhru quarantinu” o “piseddhru cucìulu” identifica un particolare ecotipo locale di pisello coltivato da tempo nel territorio di Vitigliano (frazione di Santa Cesarea Terme), il cui seme e le relative tecniche colturali vengono tramandate da generazioni.
Il seme si presenta di medie dimensioni, liscio, di color senape, con sfumature verdi e di forma tondeggiante.
Caratteristica botanica della pianta è la fioritura scalare: basale, mediana e apicale e quindi sulla stessa pianta si possono riscontrare contemporaneamente frutti maturi, baccelli in maturazione e fiori.
Il termine “quarantinu” identifica la brevità del ciclo vegetativo di questo particolare ecotipo, che per tutta una serie di motivazioni agronomiche, offre risultati migliori quando viene seminato tardivamente.  
Il termine “cucìulu” che vuol dire: “di facile cottura” sta a sottolineare la particolare tenerezza degli stessi e del loro  tegumento  esterno che consente una cottura perfetta ed uniforme anche senza vengano posti preventivamente in ammollo. Inoltre, al termine della cottura, gli stessi si presentano integri, senza che avvenga la spiacevole separazione del tegumento esterno. Il sapore è particolarmente grato e tipicamente dolciastro.

Processo produttivo:
Il prodotto giunge a maturazione nel mese di giugno. Falciati nelle prime ore mattutine, quando la rugiada permette che il baccello ormai senescente rimanga attaccato alla pianta, i piselli vengono arrotolati in “rosci”, fasci di forma tondeggiate di un metro di diametro. La mietitura viene eseguita a mano utilizzando il “farcione”.
I “rosci” vengono trasportati in aia e lasciati qualche ora esposti al sole prima di passare alla fase successiva della battitura.
Con questa operazione si ottiene l’apertura dei baccelli e quindi la separazione del prodotto dal resto della pianta.
Al centro dell’aia viene realizzato il “curisciùlu” (dal dialetto “curìscia”, cintura).
“U ientulare“ (ventilare) è l’operazione più affascinante di tutto il processo di raccolta e consiste nella ulteriore separazione del prodotto dalle scaglie sfruttando l’azione del vento.
Dopo la ventilazione si realizza la cernita a mano utilizzando i cosiddetti “farnari occhi tunnu”, dei setacci in legno e metallo; si ottiene in questo modo lo scarto dei piselli troppo piccoli, l’eliminazione del pulviscolo rimasto e quindi il prodotto pronto per essere sottoposto alle successive fasi di lavorazione.
Per una migliore conservazione il prodotto viene sottoposto ad ulteriore essiccazione mediante esposizione solare sull’aia per alcuni giorni. Inoltre per garantire la conservazione dei piselli nel tempo è necessaria una successiva lieve cottura al forno.
Il prodotto viene messo in dei sacchi di juta per essere trasportato nei magazzini dove viene conservato in contenitori asciutti in terracotta (stangate) ed in locali secchi.

Periodo di produzione: La semina si effettua in gennaio e la raccolta viene effettuata nella seconda metà di giugno.

Storia e tradizione:
La coltivazione del Pisello di Vitigliano, come del resto quella di altri legumi nello stesso territorio di Vitigliano, è comprovata dalle testimonianze di anziani contadini, i quali ricordano come il seme, le tecniche colturali e le metodiche di lavorazione siano le stesse utilizzate dai propri genitori.
Inoltre, tali affermazioni, trovano riscontro nella pubblicazione a cura di Giuseppe Maria Alfano “Istorica descrizione del Regno di Napoli ultimamente diviso in quindici province colla nuova mutazione di esse nello stato presente”,  Stamperia Raffaele Miranda, Napoli 1823
La tecnica colturale del pisello secco di Vitigliano è giunta fino ai nostri giorni invariata rispetto al passato, tant’è vero che le operazioni che vanno dalla semina alla raccolta e la successiva sgranatura in aia vengono effettuate con gli stessi strumenti di una volta.
• Una curiosità riscontrata negli archivi della locale Confraternita dell’Addolorata, descrive le modalità di votazione dei propri responsabili. Ad ognuno dei tre candidati alla carica di priore veniva associato un legume (pisello, fagiolo o lupino), allo stesso tempo ad ognuno dei confratelli aventi diritto di voto venivano consegnati un pisello un fagiolo ed un lupino; la votazione si eseguiva ponendo in un’urna il legume del candidato preferito.

Tipologia di commercializzazione: La vendita del prodotto avviene direttamente in azienda nei mesi di luglio e agosto.

Pizza sette sfoglie di Cerignola

Categoria del prodotto: Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria.

Altre denominazioni: Pizza a sette sfogghie, Pizza del giorno di tutti i Santi.

Area di origine del prodotto: Comune di Cerignola (Foggia).

Descrizione prodotto: Dolce ripieno.

Processo produttivo:
Ingredienti della sfoglia:
farina, zucchero, vino bianco, olio extravergine d’oliva, uova, bucce di agrumi, sale.
Ingredienti del ripieno:
zucchero, uva passa, mandorle tostate e tritate, olio extravergine d’oliva, mostarda d’uva, pinoli, cannella, bucce di agrumi, vanillina, con aggiunta eventuale di cioccolato puro al latte;
Procedimento per la sfoglia:
unire gli ingredienti e impastare con vino bianco energicamente fino a rendere la pasta malleabile, dividere per sette sfoglie e stenderla in modo da renderla molto sottile. La camicia deve presentare uno spessore di 0,5 mm, la sfoglia intermedia uno spessore di 0,3 mm.
Procedimento per il ripieno:
amalgamare lo zucchero con le mandorle in un contenitore e preparare separatamente ciascun ingrediente da porre nei diversi strati.
Disporre la prima sfoglia più spessa, che forma la camicia, in una grande teglia da forno oliata, aggiungere per ciascuno strato i singoli ingredienti del ripieno, separando i vari strati con la sfoglia intermedia più sottile, posare la sfoglia superiore esterna più spessa (camicia), che deve presentare forma ondulata, ed aggiungere su di essa olio extravergine d’oliva e zucchero. Il dolce si compone di sette sfoglie, comprensive della camicia. Infornare a 170 °C per circa mezzora. Il prodotto necessita di un periodo di maturazione di almeno 15 giorni. Tutte le fasi di lavorazione devono essere effettuate per la commercializzazione del prodotto secondo i dettami delle vigenti leggi igienico-sanitarie nonché con strumenti e locali a norma di legge. Se viene rispettata la normativa igienico sanitaria, non si rilevan punti di criticità.

Periodo di produzione: Periodo pre-natalizio e natalizio.

 Storia e tradizione:
La pizza sette sfoglie rappresenta un importante prodotto della tradizione di Cerignola. La sua ricetta si è tramandata per molte generazioni e compare già in alcuni testi storici locali dell’autore Luciano Antonellis sin dal 1964 e in un articolo pubblicato sulla rivista Amica nel dicembre 1967.
I riferimenti bibliografici che dimostrano la produzione di questo dolce sono i seguenti:
– Luciano Antonellis, Cerignola, storia, tradizioni, leggende, riti, usi e costumi, credenze, superstizioni, emblematica, Tipografia Leone, Foggia, 1964 (pag 155);
– Vincenzo Buonassisi, un dolce da far venire l’acquolina, Amica, dicembre 1967;
– Luciano Antonellis, Cerignola, storia, usi, tradizioni, leggende, Nuova editrice il Duomo, Cerignola, 1983, (pag 285-286);
– Luciano Antonellis, Storia e folklore di Cerignola, 1995, (pag 285-286).

Tipologia di commercializzazione: Produzione e commercializzazione a livello artigianale (pasticcerie, panetterie) e vendita diretta.

POMODORO DI MORCIANO

Categoria del prodotto: Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati.

Altre denominazioni: Pummadoru de Murcianu.

Area di origine del prodotto: Morciano di Leuca (Le)

Descrizione prodotto:
Pianta determinata, vigorosa, a ciclo precocissimo, molto produttiva e particolarmente idonea alla forzatura. La bacca è piccola, tondeggiante leggermente allungata. La particolarità di questa cultivar consta proprio nella precocità e brevità del suo ciclo vegetativo.

Processo produttivo:
Si eseguono le consuete metodiche di agro tecnica tradizionale.

Periodo di produzione: metà di giugno.

Storia e tradizione:
La sua coltivazione – attestata in diverse pubblicazioni – è molto antica; basti pensare che una delle motivazioni per le quali, intorno agli anni 1955/60, a Morciano di Leuca  l’arco di Santa Maria, che costituiva la stretta porta di accesso a piazza San Giovanni, luogo in cui si effettuava il mercato dei pomodori,  venne abbattuto (con la motivazione che esso impediva il transito e la manovra dei primi  autotreni di commercianti baresi che giungevano per acquistare i pomodori di Morciano). Tale produzione rappresentava già allora una vera primizia non solo per la Puglia ma per tutte le regioni limitrofe, Campania compresa.
La posizione geomorfologica del terreno terrazzato che a Sud di Morciano dolcemente degrada verso il mare crea le condizioni climatiche ideali per ottenere una produzione anticipata di tale ortaggio. Se a queste condizioni si aggiunge l’esperienza ultrasecolare acquisita dagli  agricoltori di questa comunità (che applicano una tecnica di coltivazione semplice, ma ricca di accorgimenti rudimentali ed efficaci quali la protezione delle piantine di pomodoro con le pale – cladodi – di ficodindia). Piccoli accorgimenti garantivano l’impianto, già a fine Febbraio,  a campo aperto a pochi metri dalla linea di costa, consentendo alle piante di godere dell’azione mitigatrice esercitata dal mare ed impedendo che le stesse venissero irrimediabilmente danneggiate dall’aerosol marino prodotto dalle mareggiate. 
Non è casuale se, ancora  oggi, i cittadini di Morciano vengono identificati come “quelli del paese dei pomodori”.  Questo connubio di condizioni climatiche favorevoli, unita ad una  metodologia di coltivazione arcaica ma certamente efficace, ha  fatto sì che il pomodoro diventasse, dopo l’ulivo, la seconda fonte di reddito per la comunità di Morciano  (almeno fino agli anni “80 del secolo scorso). A prova di ciò basti pensare che sul finire degli anni ‘70 l’amministrazione comunale di Morciano di Leuca, essendo ormai divenuta insufficiente la piazza di San Giovanni, dispose il trasferimento del mercato nella nuova piazza degli Eroi, dotandola di sistema di pesa e di personale addetto. Nel 1985 l’Amministrazione Comunale di Morciano, venendo incontro alle esigenze dei coltivatori locali, realizzò una apposita area – recintata e dotata di pesa pubblica – sul versante Sud del paese, che oggi viene chiamata piazza dei pomodori. 
Attualmente la produzione di questa varietà di pomodoro si è molto ridimensionata, come pure la sua importanza a causa della coltivazione in serra, per tutto l’arco dell’anno, con le nuove varietà a portamento indeterminato e quindi  molto più produttive e redditizie. Ciononostante resiste, ancora, una buona nicchia di affezionati consumatori.
Questa produzione viene attualmente anche supportata da alcuni vivaisti locali di piante orticole che producono annualmente svariate migliaia di piantine di questa varietà di pomodoro che vengono acquistate sia da coltivatori professionisti che da un sempre maggior numero di hobbisti.
Si allega attestazione pervenuta dal Comune di Morciano di Leuca e copia di alcune pagine della Raccolta Provinciale degli Usi edita dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Lecce del 1985, (in cui vengono riportate le modalità di commercializzazione della locale produzione di pomodori).

 

 

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