Torrita di Siena vs Orbetello, il derby del pecorino toscano

Filosofie di produzione diverse, un unico grande denominatore comune: l’attenzione alla qualità e alla salubrità del prodotto. Nel mondo toscano della produzione di pecorino trovano spazio una moltitudine di realtà, tutte diverse e tutte con delle specifiche qualità, che formano un universo sì variegato ma al tempo stesso ricchissimo e difficilmente paragonabile ad altri contesti italiani e internazionali. È il caso dell’azienda Coveri di Torrita di Siena (Si) e dell’azienda bioagricola Luigi Farina di Fonteblanda, nei pressi di Orbetello (Gr): la prima rappresenta una realtà storica, solida e consolidata della Val di Chiana senese, l’altra ha un input decisamente più industriale e internazionale che la porta a commercializzare il 70% dei suoi formaggi in Germania e a tenere strette collaborazioni con Israele e con il resto d’Europa. Il filo rosso che le unisce, dicevamo, è la grande attenzione alla salubrità dei prodotti, un lavoro attento che parte dall’allevamento dove la qualità del latte e l’igiene degli animali viene monitorata costantemente. «Parte tutto da lì – spiega Stefano Coveri, titolare dell’omonima azienda torritese -, perché è l’eccellenza di un pecorino viene necessariamente dalla qualità della materia prima, il latte». «La mungitura è la fase centrale di tutta la lavorazione – aggiunge “il maremmano” Stefano Farina -, perché è il momento in cui si riesce a controllare lo stato di salute degli animali. La nostra azienda ha il vanto di essere stata la prima in Italia a disporre di una tecnologia di provenienza israeliana studiata appositamente per monitorare, pecora per pecora, quelle che sono le cellule che si trovano nel latte e da lì avere il quadro completo sullo stato biochimico di ogni singolo soggetto dell’allevamento». Un altro punto di comunanza tra i due casari è il fatto di aver ereditato il lavoro dalla propria famiglia, per una tradizione che si rinnova di generazione in generazione. «E’ un valore aggiunto che permette di avere una produzione sempre più tipicizzata – racconta Coveri -. E non è un caso in tal senso che negli ultimi anni la richiesta, e di conseguenza la nostra offerta, di pecorini a latte crudo si sia implementata notevolmente. A differenza dei formaggi pastorizzati infatti, dove il latte viene scaldate fino a 72°C per uccidere tutti i batteri, questa tipologia è decisamente quella che esalta maggiormente la materia prima. Questa viene scaldata fino a 36°C, la temperatura naturale con cui esce dalla mammella e che, al momento stesso dell’aggiunta del caglio, la trasforma in formaggio, senza l’ulteriore aggiunta additivi che magari, trovandosi anche nella grande distribuzione, ne condizionano la tipicità. Si può dire che – specifica ancora Coveri – ogni pecorino a latte crudo sia veramente un qualcosa di unico». Leggermente diversa la storia di Luigi Farina che, «nato figlio di un allevatore – dice – ho iniziato a fare formaggio quasi per gioco, sperimentando tecniche di produzione già osservate e viste in chi comprava il latte in azienda. Poi, nel corso del tempo abbiamo sviluppato una cultura interamente biologica, un fattore decisamente molto apprezzato in Germania, paese con cui teniamo stretti contatti anche per gli apprezzamenti che il nostro prodotto riceve tutti gli anni alla Fiera Agricola di Norimberga. Il biologico – aggiunge – rifugge totalmente dalla chimica e persegue un allevamento assolutamente non intensivo. Gran parte delle nostre attenzioni sono rivolte alla salute delle pecore e alla loro alimentazione che si basa su un mix di favino, orzo, polpa di barbabietola, crusca e altre erbe naturali. Nessun uso di antibiotici negli animali, al di là dei casi di emergenza, e un pascolo quotidiano di 4-5 ore per tutti i nostri animali. La trasformazione del prodotto avviene poi nel nostro caseificio di Castel del Piano e poi i pecorini partono per il commercio. Freschi.» Questa freschezza, altro denominatore comune, aggiunge un altro valore aggiunto al pecorino. «Accanto alla nostra azienda c’è il nostro punto vendita diretta, quello che ci permette di vendere subito i nostri formaggi – sottolinea ancora Stefano Coveri -. Sempre più importante la promozione e la conoscenza. Credo – conclude Coveri – che il mondo del pecorino nel terzo millennio debba veicolare ciò che fa e come lo fa, mantenendo la qualità della propria filiera e divulgandola ai consumatori. Ci dobbiamo sforzare per “allevare” l’utenza e credo che in questa direzione sia molto importante il lavoro che sta facendo la Cia di Siena con la Fattoria degli studenti. Le lezioni che vado a tenere nelle scuole di Torrita e della Val di Chiana sono fondamentali non solo per noi produttori ma anche per i consumatori, di oggi e di domani, che attraverso questi incontri costruiscono la propria consapevolezza su ciò che arriva nelle tavole di tutti i giorni».

La ricetta – «Al contadino non far sapere quanto è buono il cacio con le pere». Un detto dei nostri nonni che però rivive ed è attuale anche oggi. Il pecorino infatti, nelle sue diverse tipologie, si sposa alla perfezione con una vastissima gamma di prodotti, dalle marmellate al miele, dalle fave agli affettati nostrani, per finire con l’essere elemento di legame di moltissime ricette. Alessandra Carlucci, dell’Agriturismo I Gretacci di Scansano (Gr) ci ha proposto svariate soluzioni culinarie all’insegna dell’inconfondibile aroma del formaggio prodotto nelle terre di Toscana. Ci sono i crostini caldi con pecorino toscano fresco aromatizzato (a scelta tra noci, peperoncino, zafferano di maremma, pepe nero) e c’è il “Ciaffagnone”, tipica crepes chiamata così nel comune di Manciano, con dentro pecorino toscano fresco e un filo di miele. Il pecorino a latte crudo o pastorizzato stagionato si abbina benissimo al miele di marruca, a quello di castagno o di trifoglio oppure con marmellate di cipolle, fichi e peperoni. Un antipasto servito all’agriturismo I Gretacci è anche il pecorino toscano fresco grigliato, mentre per quello che concerne le portate principali, senza tempo il suggerimento per un primo storico della Toscana: i famosi Pici cacio (pecorino toscano stagionato) e pepe, senza dimenticarsi però della ricetta originale del Pesto, con basilico, pecorino, aglio, e pinoli. Insomma, pecorino per tutti i gusti e per tutti gli abbinamenti. Qui c’è solo l’imbarazzo della scelta. In occasione dell’Orcia Wine Festival (in programma a San Quirico d’Orcia, Si – dal 25 al 28 aprile) scegliamo un Orcia Doc. Proponiamo un Petruccino 2008 di Podere Forte (a Castiglione d’Orcia). Nato come fratellino di Petrucci il grande, proviene dalle viti più giovani. Vino di bellissimo frutto, sorprende per la sua vigorosa struttura, dopo soli due anni dalla vendemmia. Grazie ai lavori intensi dedicati al miglioramento dei suoli, infatti, Petruccino è diventato un vero premier cru, espressione ispirata dei terreni eccellenti del Podere.E’ un Orcia Doc biologico con uvaggio Sangiovese 65 %, Cabernet Sauvignon 20 %, Merlot 15%; con un gradazione alcolica di 13,5%. Il colore è rosso rubino con riflessi violacei; profumi intensi di fragola e ciliegia, con florealità di violetta, lavanda, erbe aromatiche e foglie di tè; e nel finale note di cioccolato e vaniglia che rivelano eleganza e complessità.

Andrea Frullanti

Informazione pubblicitaria