Pistacchio verde di Bronte. Una Dop unica, un tesoro da custodire

Il nostro tesoro da custodire. Quello che è in estrema sintesi uno slogan, è anche la mission per il Consorzio del Pistacchio verde di Bronte, una delle eccellenze del made in Italy, e dal 9 giugno 2006 anche una Denominazione di origine protetta (Dop).

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La pianta del pistacchio

Un po’ di storia  Il pistacchio, originario del bacino del Mediterraneo, nella zona della Persia (attuale Turchia) è una pianta che viene coltivata, per le peculiarità dei propri semi, sia per un consumo diretto, sia per la pasticceria, e sia per l’aromatizzazione degli insaccati di carne. E’ una pianta, che radica le sue radici fin la notte dei tempi. Troviamo delle testimonianze, già, nell’Antico Testamento e nella Genesi, ma, anche, scrittori più “contemporanei”, come Plinio Il Vecchio, nell’Historia Naturalis, parla della pianta del pistacchio. Allo stesso tempo, però, all’incirca tra il 20 ed il 30 a.C., la pianta di Pistacchio venne, introdotta in altre regioni Italiche ed in parte della Spagna, in seguito alle conquiste dell’Impero Romano. Ben presto, le colture di pistacchio, del Sud Italia, andarono incontro a condizioni climatiche non molto favorevoli, e persero gradualmente la loro domesticità, inselvatichendo, per essere utilizzata come albero da legna. Con l’avvento degli Arabi, intorno al 900 a.c., in Sicilia, vi fu un’inversione di rotta, che portò ad addomesticare nuovamente la “Frastuca” e la “Frustacara” (rispettivamente la pianta del pistacchio, ed il frutto del Pistacchio). Nell’immaginario collettivo del dialetto brontese, infatti, ritroviamo ancora oggi dei termini corrotti, dall’arabo, riguardanti il Pistacchio Verde. Furono, dunque, gli Arabi, a far sviluppare, nuovamente, ed in modo continuativo nel tempo, la coltivazione del Pistacchio, soprattutto alle pendici dell’Etna, dove vi erano le condizioni perfette per la produzione, del succulento frutto. E nel territorio di Bronte, si riuscì, a creare un connubio tra la pianta ed il terreno lavico, che arricchito continuamente dalla cenere vulcanica, favorì lo svilupparsi, del pistacchio per eccellenza. Nel brontese, ad oggi, dei 25.000 ettari, solamente 4.000, sono adibiti alle coltura del Pistacchio. I “lochi” (pistacchieti in dialetto brontese) si trovano su terreni lavici, con uno strato arabile molto limitato e con pendenze scoscese ed accidentate, inadatte ad altre colture.

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Pistacchi di Bronte pronti al consumo

La pianta Il pistacchio, pianta non ermafrodita, dal fusto corto e simile al fico, è molto longeva, tra i 200 ed i 300 anni, ed ha uno sviluppo (produttivo) molto lungo, di circa 10 anni dopo il suo innesto. Il Pistacchio di Bronte, presenta delle peculiarità, non replicabili in altri territori, e rappresenta, solo l’1% della produzione mondiale. Dotata di radici molto profonde, presenta un tronco breve e rami contorti, una corteccia gialla-rossastra, che si trasforma in grigio quando diventa più adulta. Il pistacchio produce frutti, drupe, dalla buccia coriacea color perla, contenenti semi caratteristici dal pericardio rosso violaceo e mandorla verde smeraldo. Il frutto, del Pistacchio si presenta, in grappoli, simili a quelli dei ciliegi, ma molto più numerosi. Su tale tipo di terreno cresce spontanea e riesce ad adattarsi una specie arborea, il terebinto (“pistacia terebinthus”), pianta dalla grande rusticità e resistenza alla siccità. A Bronte è denominata “scornabecco” o anche “spaccasassi” e vale la pena ricordare che deriva dallo spagnolo cornicabra (corno di capra), con lo stesso significato. Con un apparato radicale molto profondo è capace di farsi strada fra le fessure della roccia lavica, crescendo agevolmente anche su terreni sciarosi e difficilmente coltivabili. Il terebinto viene utilizzato dagli agricoltori brontesi, fin dall’antichità, come portainnesto della pianta di pistacchio (“pistacia vera”).  Quest’ultimo è ritenuto il miglior produttore di frutti, grazie soprattutto ad una tradizione, padre figlio, che si tramanda da generazioni, volta alla lavorazione della lava, per poter sopravvivere. La pianta, perciò, trovò il clima ideale, quello predominante della zona etnea, ad altitudine di circa 400-700 metri sul livello del mare, con temperature primaverili miti, di circa 12 gradi, e, durante il periodo della maturazione, di 27 gradi, a luglio-agosto, con l’aggiunta di qualche pioggia temporalesca in modo da favorire il pieno sviluppo del frutto. Purtroppo, la tipologia del terreno lavico, ha sempre impedito l’introduzione di qualsiasi tipo di meccanizzazione non consentendo l’abbassamento degli elevati costi di produzione. Ancora oggi, le uniche macchine utilizzate in qualche azienda sono il decespugliatore, la motozappa e qualche motopompa di ridotta potenza. Per il resto prevale, sempre, la fatica del contadino, l’opera della zappa, di rastrelli, falce e pompa d’irrorazione a spalla.

Il frutto Il Pistacchio Verde di Bronte, è il simbolo e l’emblema della città. Di un territorio e della sua gente che non teme il lavoro e la fatica, che ha sempre lottato per portare a casa il necessario. Un popolo che sul pistacchio ha costruito ricchezza, cultura e le proprie tradizioni ma anche l’abitudine del rispetto e della salvaguardia per il territorio nel quale vive. I frutti del pistacchio, riuniti in grappoli, sono costituiti da drupe allungate, leggermente compresse delle dimensioni di un’oliva, di un colore che, nelle fasi dell’allegagione è di colore rosso e a maturazione varia dal verde-rossastro al bianco-roseo, e al giallo-crema. Ha un mallo sottile, che si sgretola facilmente, l’endocarpo allungato ed un seme unico, aromatico, di colore verde chiaro (i produttori lo definiscono “rosso rubino fuori, verde smeraldo dentro”). Estremamente gradevole il sapore del frutto allo stato fresco. Il pistacchio di Bronte, l’oro verde, presenta caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono rispetto al pistacchio coltivato in altre aree siciliane (Caltanissetta o Agrigento) o estere (Medio Oriente, Grecia o California e Argentina). Frutto di alto pregio, è molto apprezzato e richiesto nei mercati europei e giapponesi per le dimensioni e l’intensa colorazione verde.

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Benvenuti nella città del pistacchio

Pistacchio e benessere Una pianta ricca non solo di sostanze ad alto valore nutritivo, ma anche di numerosi principi attivi utilizzati in campo medico. L’attività antiradicalica delle sue sostanze è sfruttata in molte patologie quali le malattie cardiovascolari, l’arteriosclerosi, alcuni tipi di demenza inclusa la malattia di Alzheimer e per migliorare la qualità della vita durante l’invecchiamento e in corso di malattie croniche. Ricco di proteine e di grassi, il seme di pistacchio, fra la frutta secca, garantisce il maggior apporto calorico: per ogni 100 grammi 683 calorie, a fronte delle 649 della noce, le 603 della mandorla, le 598 dell’arachide o le 655 della nocciola. Contiene mediamente più del 20% di proteine, il 50/60% di olio (ad altissimo contenuto in acidi oleici: 68% di oleico, 17/19% di linoleico, 12% di palmitico), poi zuccheri, in particolare glucosio, vitamine, in particolare il precursore della vitamina E, e sali minerali. E’ particolarmente ricco di ferro (100 gr. contengono 7,3 mg come mezzo chilo di manzo), calcio, fosforo, potassio e di zinco, fondamentale per la fertilità maschile. Buono anche l’apporto di magnesio che contribuisce al buonumore.

Bronte alle pendici dell'Etna
Bronte alle pendici dell’Etna

La raccolta e il commercio Anche la raccolta del pistacchio di Bronte è molto particolare, dal momento che viene eseguita con cadenza biennale, negli anni dispari, tra la fine di agosto e l’inizi di settembre; mentre, negli anni pari, “di scarica”, si effettua una potatura verde, ovvero, le gemme in fase di sviluppo, vengono rimosse manualmente, in modo da permettere alla pianta di assorbire un maggior numero di sostanze nutritive dal terreno, cosicché sia possibile, aumentare la produzione dell’anno successivo. Ogni pianta, mediamente, è in grado di produrre tra i 5 ed i 15 kg, con punte massime di 20-30kg, nelle annate migliori. Ogni due anni, i cittadini di Bronte sono in grado di raccogliere ben 30.000 quintali di pistacchi, promuovendolo, come la migliore risorsa economica e finanziaria della città. Anche a causa dell’ambiente impervio e scosceso nel quale è coltivata la pianta la raccolta comporta un notevole impiego di costosa manodopera. Dopo la raccolta il frutto mediante sfregamento meccanico viene “sgrollato” (separato dal mallo, l’involucro coriaceo che lo ricopre) ed asciugato per 3-4 giorni al sole in larghi spiazzi davanti alle case agricole. Si ottiene così il pistacchio in guscio, localmente chiamato Tignosella, conservato dai produttori, in attesa di venderlo, in ambienti bui ed asciutti. Dopo due anni di lavoro e di spese, la fatica del produttore è così finita. La sgusciatura (la rimozione del guscio legnoso che racchiude il seme di pistacchio dall’endocarpo viola rossastro) è il passaggio successivo. E’ effettuata mediante lavorazione meccanica dalle cooperative o dai commercianti locali ai quali è conferito o venduto il prodotto. Fino ad alcuni anni fa, infatti, la sgusciatura, come la raccolta avveniva in maniera manuale, con una pazienza infinita ed una rudimentale tecnica, che utilizzava un grosso blocco di pietra lavica, cavo al suo interno, e sul bordo i pistacchi, singolarmente, erano spezzati con rudimentali martelletti. Tutte queste lavorazioni, sono frutto delle richieste dei paesi consumatori del prodotto che prediligono, un pistacchio già “pelato”. La pelatura, cioè la rimozione dell’endocarpo (la sottile pelle di colore viola rossastro) avviene attraverso un procedimento altamente tecnologico mediante breve esposizione del frutto a vapore acqueo ad alta pressione che causa il distacco dell’endocarpo. In un ambiente adeguato, il prodotto finale, pelato, conserva le sue proprietà organolettiche, per circa 5-6 mesi. Infatti, molto aziende o consorzi, tendono a “pelare” su commissione, in modo da mantenere più a lungo incontaminate, le proprietà del Pistacchio.

Il Consorzio L’atto costitutivo del Consorzio di Tutela del Pistacchio Verde di Bronte DOP è stato stipulato il giorno 9 Novembre 2010, da produttori ed imprenditori agricoli, in modo, come per altre Dop, di garantire un prodotto, una tradizione, un tesoro, intriso della cultura di una città.

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