Coronavirus. La spesa degli italiani nei mesi dell’emergenza. Report Ismea: 750 milioni in più (+19%) per acquisti nel canali Horeca

Il susseguirsi degli eventi conseguenti al diffondersi del Covid-19 in Italia è stato rapido e imprevedibile, come è normale attendersi in un’emergenza mai gestita in precedenza e difficilmente immaginabile nelle dimensioni. Iniziative in origine apparse a molti esagerate e fuori luogo, in pochi giorni sono risultate insufficienti in una rincorsa che, se da un lato ha mostrato un’inattesa capacità di reazione in molte componenti della società, dall’altro non ha dato tempo di capire immediatamente la portata del problema.

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Il settore agroalimentare è apparso da subito al centro dell’attenzione. Sul fronte dei consumatori c’è stata un’immediata reazione istintiva all’accaparramento di beni alimentari e sul fronte politico la consapevolezza che il buon funzionamento della filiera e la capacità di assicurare l’approvvigionamento alimentare rappresentasse un segnale importante sia dal punto di vista economico che sociale.

In effetti, il settore agroalimentare – con alcune evidenti eccezioni come il florovivaismo e la pesca – è stato e continua a essere uno di quelli meno investiti dalla tempesta economica di queste settimane confermando ampiamente le sue caratteristiche di anticiclicità.

Tuttavia, la dinamica incontrollata e incontrollabile con cui si stanno succedendo gli eventi non danno certezze per il futuro. Già nelle poche settimane dall’inizio della crisi analizzate nel Rapporto lo scenario complessivo è mutato in maniera sostanziale attraverso, per esempio, la graduale chiusura dell’Horeca, non solo a livello nazionale ma anche internazionale, bloccando un canale nel quale i prodotti del made in italy agroalimentare hanno un posizionamento medio-alto o alto e che assorbe percentuali rilevanti dei flussi complessivi di export.

In questa fase è possibile fare il punto su alcuni elementi che caratterizzano le dinamiche di mercato e che interessano trasversalmente tutte le filiere agroalimentari, sia pure con diversa intensità.

Il fenomeno più rilevante è, come già anticipato, l’azzeramento del canale Horeca (ristorazione collettiva privata e pubblica), con l’esclusione delle mense ospedaliere e di poche altre eccezioni. A tale riguardo, la sostituzione della somministrazione diretta con le consegne a domicilio ha solo in minima parte compensato l’annullamento di questo canale cui, inoltre, è direttamente legata la rilevante domanda di cibo dei turisti stranieri, anch’essa azzerata.

Per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio, si sottolinea la sostanziale e progressiva perdita di peso dei mercati rionali, molti dei quali chiusi in assenza di strutture fisse, e la chiusura dei centri commerciali, con la conseguente perdita di peso del canale iper, spesso prevalente in questi contesti.

Altri elementi che interessano trasversalmente il settore riguardano il personale e la logistica. Nonostante l’adozione di misure tendenti a ridurre l’impatto, la presenza di rischio di contagio in caseifici, centri di lavorazione ortofrutticola, macelli e/o centri di lavorazione delle carni, oltre che presso le ditte di trasporti, ha reso più complesso il funzionamento delle filiere, in termini di approvvigionamento di materie prime e di spedizione/consegna dei prodotti, ma anche di maggiori costi di produzione o minore capacità lavorativa. In alcuni casi, l’incerto funzionamento dei servizi di logistica, soprattutto internazionali, ha già messo in difficoltà alcune imprese per il reperimento di materia prima o di materiali di consumo (ad esempio, imballaggi).

Direttamente al problema precedente è connesso quello del reperimento di servizi e o pezzi di ricambio di macchinari, in grado di garantire la piena efficienza delle attività sia nelle aziende agricole sia nelle imprese di trasformazione.

Sul fronte dei consumi finali, le passate settimane si sono rivelate estremamente dinamiche, non solo per lo scontato incremento degli acquisti ma anche per la mutevolezza dei comportamenti anche in un così breve periodo. L’esame puntuale di quattro settimane di atti d’acquisto rende comunque possibile individuare alcuni grandi trend che sono riassumibili come segue:

– Tendenza all’approvvigionamento di prodotti conservabili (pasta, riso, conserve di pesce, conserve di pomodoro, ecc.) per creare stock casalinghi e prepararsi a eventuali situazioni di futura scarsità.

– Forte orientamento a utilizzare la spesa on line la cui crescita esponenziale ha mandato in tilt il sistema delle consegne (+57% nella penultima settimana di febbraio, + 81% nell’ultima di febbraio +97% nella seconda settimana di marzo).

– Forte orientamento, nella fase iniziale della crisi, ai prodotti di quarta e quinta gamma (ortaggi e pizze pronte) con successivo affievolimento della tendenza;

– Incremento sotto media del segmento bevande (+9%), un comparto che negli ultimi anni aveva trainato la dinamica del Food&Beverage.

– Orientamento quasi esclusivo verso la GDO, con ricorso dove possibile anche ai negozi di vicinato (frutterie e macellerie) sia per muoversi il meno possibile sia perché talvolta ritenuti più sicuri di ambienti comunque molto frequentati come i super o ipermercati.

– Nel complesso delle 4 settimane, è il Sud Italia a registrare gli incrementi più alti su base tendenziale: +21% nel cumulato delle 4 settimane con punte del 39% nell’ultima settimana; seguono il Nord Est con una crescita del 20%, il Centro (+19 % con il +30% nell’ultima settimana) e il Nord Ovest (+16%). – incremento del valore medio di vendita, non ascrivibili a fenomeni diffusi di palese speculazione, quanto piuttosto all’azzeramento delle promozioni.

– A livello di format distributivi, l’aumento delle vendite maggiore si registra nei Supermercati (+23% nelle 4 settimane su base annua) dove sono avvenuti quasi la metà degli acquisti (43%) e nei Discount (+20%).

Entrando con un po’ più di dettaglio dei principali comparti, quello delle carni presenta situazioni estremamente differenziati. La carne bovina, per esempio, da una parte è stata privata di uno sbocco importantissimo per alcune tipologie e tagli di maggior pregio con la chiusura del canale Horeca, dall’altra è alle prese con una profonda riorganizzazione dei circuiti distributivi e delle catene di approvvigionamento, in una filiera fortemente dipendente dall’estero. Su questo fronte, il timore del contagio e la carenza di adeguati sistemi di protezione stanno portando alla sospensione/riduzione del lavoro di una parte delle imprese di export e degli autisti dei TIR. In questo quadro, lo scenario che si profila è quello di un’offerta insufficiente a soddisfare la domanda domestica ma di un eccesso di disponibilità di tagli normalmente destinati all’Horeca e all’export più che agli scaffali della GDO. Inoltre, sui mercati europei i prezzi delle carni bovine stanno scendendo, facendo prevedere un possibile incremento di carni estere sulle nostre tavole nelle prossime settimane.

Nella filiera suinicola, si stima che l’emergenza Covid-19 comporti una riduzione del 20% della produzione, soprattutto a causa della minore operativià dei macelli che devono riorganizzare le strutture per mettere in sicurezza gli operatori. Si mantengono ancora abbastanza alti i prezzi dei tagli destinati al fresco e alla vendita nei punti della GDO per i quali il consumo risulta essere sostenuto, mentre le quotazioni dei tagli destinati alla stagionatura (prime fra tutti le cosce per i prosciutti DOP) sono in calo per il crollo della domanda dell’Horeca. Anche per l’industria della carne suina e dei salumi, le maggiori criticità dettate dalle condizioni di emergenza, riguardano la chiusura del canale Horeca – al quale di solito viene destinato circa il 25% della produzione.

Di contro, il mercato avicolo è stato favorito da una domanda che fin dall’inizio lo ha privilegiato rispetto alle altre carni. Il settore, inoltre, gode dei vantaggi di un mercato nazionale autosufficiente e caratterizzato da forte integrazione verticale, elementi che lo hanno preservato da problemi legati alla dipendenza dall’estero o da altre componenti della filiera. L’aumento della domanda delle ultime settimane sta spingendo in alto i listini, ma tali incrementi dei prezzi risultano al momento ben assorbiti dalla GDO, interessata a riempire gli scaffali e soddisfare la richiesta.

Sul settore zootecnico nel suo complesso pesa l’incognita della disponibilità di materie prime destinate all’alimentazione, mais in primo luogo. Nella fase iniziale della crisi anche l’approvvigionamento di integratori (vitamine e amminoacidi), nella grande maggioranza di provenienza cinese, aveva destato preoccupazione nel comparto mangimistico, poi allentata con la graduale ripresa delle attività da parte della Cina.

Nel settore lattiero caseario, l’emergenza ha portato al graduale rallentamento degli scambi commerciali favorendo la creazione di eccedenze proprio nel periodo di maggiore produzione dell’emisfero boreale (UE e USA). In particolare, sul mercato tedesco, nelle ultime quattro settimane si sono registrati cali dei prezzi dell’ordine del 6% per il latte scremato in polvere, del 3% per il burro e del 4% per il latte intero in polvere. Sul mercato nazionale, dopo il significativo recupero registrato per gran parte del 2019, i prezzi all’ingrosso dei principali formaggi hanno iniziato a cedere durante l’autunno, mostrando una flessione via via più grande col passare dei mesi. Con l’insorgere e la diffusione del coronavirus, soprattutto nelle aree di maggior produzione che risultano essere anche quelle più colpite dall’emergenza sanitaria (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna), i prezzi dei formaggi grana hanno evidenziato una brusca frenata e la situazione è particolarmente critica per i formaggi freschi e per il latte fresco, la cui breve shelf life si scontra con le difficoltà logistiche e distributive e con l’assenza di domanda di bar, pasticcerie, gelaterie, ecc. Il calo delle vendite da parte dei caseifici, e in alcuni casi il blocco della lavorazione per assenza di manodopera, ha influenzato il ritiro del latte presso gli allevamenti conferenti, determinando anche il crollo delle quotazioni del mercato spot la cui disponibilità risulta in forte crescita.

Al momento, la filiera ortofrutticola risulta regolarmente attiva, ma sono evidenti le criticità con cui dovrà confrontarsi a breve. In particolare, si fa riferimento alla carenza di lavoratori stranieri che hanno deciso di tornare nei paesi di origine rallentando le operazioni di raccolta e lavorazione degli ortaggi e ai problemi per il trasporto su gomma a causa dell’indisponibilità di alcuni vettori spagnoli a rifornire i mercati del Nord Italia, oltre al momentaneo blocco del traffico imposto dall’Austria (avvenuto giovedì 19 marzo)che ha rallentato il flusso distributivo degli ortofrutticoli italiani verso i mercati Nord Europei. I mercati all’ingrosso, dopo una fase di iniziale difficoltà hanno ritrovato equilibrio per due fenomeni: da un lato, la necessità di approvvigionarsi presso questo canale anche da parte della GDO (che generalmente lo usa solo per integrazioni marginali) a seguito dell’incremento di domanda finale; dall’altro lato, la ripresa delle vendite dei negozi di vicinato (i quali normalmente si riforniscono all’ingrosso) che hanno visto crescere il numero di clienti in considerazione delle lunghe file presso i supermercati.

Il settore vitivinicolo, dopo aver confermato i grandi successi del 2019, ha iniziato il 2020 con pesanti incognite, alle quali si è aggiunto il fermo del canale Horeca sia in Italia sia nei principali Paesi acquirenti del vino italiano come Regno Unito e Stati Uniti. Facendo una stima molto approssimativa, e tenendo conto di due mesi di difficoltà a livello mondiale, potrebbero essere a rischio esportazioni per quasi un miliardo di euro, che certamente non sarà compensata, sul mercato interno, dalla accresciuta domanda da parte della GDO. La chiusura di alberghi, agriturismi e ristoranti – oltre a ridurre lo sbocco per le produzioni nazionali – annulla un validissimo supporto promozionale dei prodotti verso gli acquirenti italiani e stranieri. In questa fase emergenziale, inoltre, il settore sta fronteggiando alcune difficoltà di tipo logistico che riguardano l’approvvigionamento di materiale di confezionamento.

Il settore dell’olio di oliva italiano sta attraversando, ormai da qualche tempo, difficoltà strutturali e commerciali nonostante il prestigio delle sue produzioni di qualità. In tema di mercato l’Italia subisce la concorrenza della Spagna soprattutto per i prodotti di massa; mentre riesce a sganciarsi dalle dinamiche del mercato spagnolo sui prodotti di maggiore qualità. L’emergenza legata al Covid-19 non rappresenta un elemento di particolare criticità per la fase dell’imbottigliamento, essendo intervenuta in un momento in cui le aziende si sono già approvvigionate. L’attenzione è, quindi, rivolta alla fase agricola, nell’attesa di segnali che possano dare indicazioni sulla futura campagna.

Per quanto concerne la filiera cerealicola, l’elevato livello delle importazioni è una delle principali criticità, con la fase agricola sempre più deficitaria di materie prime e la fase industriale, sempre più apprezzata sui mercati esteri. In tale contesto, la diffusione del Covid-19 pone le industrie italiane di trasformazione in una condizione di estrema vulnerabilità sul fronte dell’approvvigionamento della materia prima, soprattutto per il prodotto di provenienza estera (Europea in particolare) che, viaggiando via terra è più soggetto a misure restrittive o, in generale a problemi logistici. Ancora più critico è il contesto per i mangimifici e per gli allevamenti, dove non è possibile fare scorte in abbondanza. L’emergenza sanitaria non ha tuttavia impattato sulle quotazioni della granella dei principali cereali, ma tensioni di mercato si potranno verificare nelle prossime settimane in conseguenza delle difficoltà di approvvigionamento sui mercati esteri.

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