Dieta mediterranea addio. Colpa del caro-prezzi

La dieta mediterranea non è più di casa in Italia. Nei piatti dei nostri connazionali ci sono sempre meno pane, pasta, frutta, verdure e vino. La causa devastante di questo cambiamento nei consumi alimentari è da imputare ai vertiginosi rincari che hanno reso, nel corso del 2007, più “povere” le nostre tavole. Sta di fatto che proprio nel corso dell’anno appena finito gli acquisti domestici delle famiglie sono scesi, in quantità, dell’1,8 per cento rispetto al 2006. E’ quanto risulta da un’indagine condotta dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori che, attraverso l’elaborazione di una serie di dati statistici, sottolinea i forti mutamenti che ha subito in questi ultimi dodici mesi la spesa alimentare, caratterizzata pesantemente dagli aumenti dei prezzi, soprattutto nell’ultimo semestre dell’anno.

La Cia evidenzia che nel 2007 proprio i “prodotti principe” della  dieta mediterranea  hanno avuto un vero e proprio tracollo. I consumi di pane hanno, infatti, registrato un calo del 7,3 per cento, quelli di pasta del 4,5 per cento, di frutta del 2,8 per cento, di verdure del 3,2 per cento, di vino dell’8,4 per cento. Ma il calo ha contagiato anche altre “voci” della nostra alimentazione: le carni bovine sono diminuite del 3,8 per cento, quelle suine del 4,7 per cento, il latte del 2,3 per cento, i formaggi dello 0,6 per cento, l’olio di semi del 6 per cento. Pochi gli alimenti che hanno avuto una controtendenza positiva e riguardano la carne di pollo crescita del 6,8 per cento, le uova con un più 5,5 per cento, lo yogurt con una crescita superiore al 4 per cento, l’olio extravergine d’oliva con un incremento dell’1,5 per cento.

Su tale mutamento ha, quindi inciso in maniera determinante l’impennata dei prezzi, alimentata nelle stragrande maggioranza delle volte da manovre speculative e da rincari selvaggi e ingiustificati. Gli aumenti record di pane (più 12,3 per cento), pasta (più 8,4 per cento), latte (più 7,6 per cento), frutta (più 5,6 per cento) e verdure (più 6,8 per cento) hanno avuto un effetto negativo nella spesa alimentare degli italiani che, tuttavia, risulta ancora al secondo posto (18,8 per cento) su quella totale, preceduta solo dall’abitazione (circa 26 per cento).

La spesa alimentare -sottolinea la Cia- risulta così ripartita: 23,4 per cento carne, salumi e uova; 18,2 per cento latte e derivati; 16,8 per cento ortofrutta; 14,8 per cento derivati dei cereali; 8,9 per cento i prodotti ittici; 5,7 per cento le bevande analcoliche; 5,5 per cento le bevande alcoliche; 3,9 per cento olio e grassi; 2,8 per cento zucchero, sale, caffè, the. 

Nell’analisi effettuata dalla Cia si evidenzia che durante il 2007 ogni italiano ha consumato 123 chili di cereali e suoi derivati (pasta, pane, prodotti della prima colazione), poco più di 190 chili di ortaggi e verdure, 130 chili di frutta e bevuto intorno ai 48 litri di vino.

A proposito di pasta, la Cia rileva che, nell’anno passato, il consumo nazionale è stato di circa 1,6 milioni di tonnellate (con una quota pro-capite di 28 chili) per un valore di oltre 2 miliardi di euro. La produzione nel settore è risultata di oltre 3 milioni di tonnellate, per un valore di circa 3,5 miliardi di euro. L’export ha assorbito circa il 46 per cento del totale produttivo con 1,4 milioni di tonnellate, per un valore di oltre 1,1 milioni di euro. Principali destinazioni dei nostri prodotti sono la Germania (19,6 per cento), Usa (10,3 per cento), Francia (14,3 per cento), Regno Unito (12 per cento) e Giappone (5,2 per cento).

Sorprendente è stata, invece, la crescita nei consumi di pollame, usciti definitivamente dalla crisi provocata dalla psicosi dell’aviaria, e delle uova, che continuano a rappresentare uno degli alimenti più apprezzati dai consumatori. Un rapporto di fiducia che è cresciuto con il passare del tempo. Se nei primi anni ‘50 ogni italiano ne mangiava appena otto chili, adesso si sfiorano i 14. E’ evidente, quindi, l’importanza del ruolo che questo prodotto ricopre nella nostra alimentazione, ma anche all’interno del settore agro-alimentare. Basta guardare i dati alla produzione e al consumo del 2007. L’Italia ha prodotto circa 13 miliardi di pezzi, che corrispondono ad oltre 808 mila tonnellate, per un fatturato di 1 miliardo e 500 milioni di euro.

Secondo la Cia, la percentuale di coloro che hanno ridotto le spese per l’alimentazione si trova principalmente nelle fasce di età superiori ai 55 anni (con picchi elevati soprattutto negli over settanta) e in quelle con redditi bassi.

La cautela dei consumatori ha interessato un pò tutte le tipologie distributive. Le famiglie italiane, comunque, hanno preferito acquistare nei supermercati, negli ipermercati e nei discount, anche se si registra una leggera crescita negli acquisti presso i mercati rionali.

Oltre ai problemi economici e ai rincari che hanno caratterizzato molti prodotti alimentari, uno dei fattori che ha condizionato la spesa alimentare degli italiani -rileva la Cia- è la sicurezza e la genuinità dei cibi. Tale aspetto incide in maniera preponderante sulla classe di reddito tra i 1400 e i 2000 euro al mese.

I consumatori sono certo diventati più attenti al rapporto prezzo-qualità, ma prevale, nel complesso, la ricerca del prodotto conveniente nel rapporto prezzo-qualità, considerando in quest’ultima anche i servizi incorporati. I rincari, tuttavia, hanno pesato in maniera molto pesante

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