50 mila imprese a rischio chiusura per la crisi

Nel 2009 migliaia di imprese agricole sono state costrette a chiudere. Altre 50 mila aziende rischiano di cessare l’attività quest’anno. Una situazione gravissima. L’agricoltura sta attraversando una delle più lunghe e difficili crisi della sua recente storia agli effetti più generali (accesso al credito, calo della domanda, disoccupazione, aumento dei costi produttivi) si è aggiunto il crollo dei prezzi all’origine e la caduta dei redditi (meno 25,3 per cento). Mentre il fenomeno della criminalità, a danno degli agricoltori, è sempre più diffuso in numerose regioni: i reati si estendono dal furto ai danneggiamenti, dall’usura al racket, dagli scarichi abusivi alle truffe nei confronti dell’Unione europea. Difficoltà accresciute dall’assenza di un’azione delle istituzioni di governo all’altezza della drammaticità del momento. E di questi problemi parlerà la ormai prossima V Assemblea elettiva della Cia-Confederazione italiana agricoltori in programma a Roma (Palazzo dei Congressi dell’Eur) il 24, 25 e 26 febbraio sul tema ”Agricoltori protagonisti. Uniti per vincere” e che sarà aperta dalla relazione del presidente Giuseppe Politi.

La situazione – La crisi economica -afferma la Cia- ha incrinato la capacità di adattamento delle imprese agricole che traevano forza da una maggiore flessibilità nell’impiego delle risorse, a cominciare dal lavoro, e da una rete di solidarietà familiare che contribuiva ad alleviare i problemi di ricorso al credito e ad assicurare una sufficiente capacità di spesa. Per questa ragione è indispensabile una politica più attenta e propulsiva nei confronti del settore. Servono interventi mirati e concreti per abbattere i costi (produttivi, contribuitivi e burocratici) e rivitalizzare i prezzi sui campi che continuano a crollare in maniera verticale. Da qui l’impegno della Cia che -come si legge nel documento congressuale- è impegnata alla costruzione di una più forte e moderna agricoltura e si attivando per promuovere il protagonismo degli imprenditori agricoli, delle imprenditrici e dei giovani, che rappresentano il futuro e la prospettiva del settore. D’altra parte, oggi -avverte la Cia- vi sono segnali di una stabilizzazione dell’economia mondiale, ma la ripresa sarà lunga e difficile. I costi sociali, soprattutto in termini di occupazione, saranno alti; e questo peserà sulle famiglie agricole e sulla loro peculiare struttura sociale. Ci vorrà tempo per recuperare i livelli di reddito, di occupazione e di produzione precedenti la crisi e per ridurre il differenziale di crescita dell’Italia rispetto agli altri paesi dell’area dell’euro e tra il Nord ed il Sud del Paese.

La crisi – Le imprese agricole hanno difficoltà ad agire in un mercato sempre più ampio e concorrenziale. È necessario, pertanto, un salto di qualità delle politiche, un progetto per lo sviluppo dell’agricoltura, per accrescere le capacità concorrenziali delle imprese agricole, per promuovere e difendere il “made in Italy” alimentare. C’è bisogno di una politica agraria nazionale che consenta al nostro sistema produttivo di superare le difficoltà ed essere parte attiva della ripresa economica del Paese. Per tale motivo la Cia rinnova la richiesta della convocazione entro il 2010, in previsione degli appuntamenti sulla riforma della Pac e del bilancio dell’Unione, della Conferenza nazionale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale. Un’iniziativa a parole condivisa, negata, finora, nei fatti. Come già avvenne con le due precedenti Conferenze del 1961 e 1978, anche oggi è indispensabile disegnare un progetto di agricoltura che ci permetta di affrontare, con adeguata capacità competitiva, le sfide di un’economia globalizzata. E per quanto riguarda la Pac, per la Cia è fondamentale che l’agricoltura e le imprese agricole debbano essere al centro delle politiche. Gli interventi comunitari dovranno essere destinati agli agricoltori professionali ed alle imprese agricole che operano nel mercato dei prodotti e del lavoro. Dunque, pieno sostegno agli imprenditori agricoli, non ai percettori di rendita fondiaria. Ecco perché occorre superare l’anomalia della politica agricola Ue che concentra l’80 per cento dei sussidi sul 20 per cento delle aziende e riserva il regime di aiuti ai beneficiari storici.

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