Verso la Pasqua, l’agnello ha sempre più sapore italiano. Il covid frena le importazioni ma obbliga il consumo in casa

ROMA – La stragrande maggioranza degli agnelli sulle tavole degli italiani in occasione delle festività pasquali sarà proprio made in Italy.

NON SI RINUNCIA ALL’AGNELLO – Se da una parte infatti il coronavirus ha fermato ristoranti e agriturismi privando di fatto uno sbocco di mercato importante per gli allevatori, dall’altra ha bloccato le importazioni di animali dall’estero.

Che la Pasqua cada ai primi di aprile, in anticipo rispetto agli anni scorsi, ha fatto sì che gli animali allevati perlopiù in maniera estensiva in paesi come Bulgaria, Romania, Spagna ed Estonia, non fossero pronti alla macellazione.

E’ da quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ in occasione dell’avvicinarsi della ricorrenza durante la quale si acquista gran parte dei circa 1,5 chili di carne di agnello consumati a testa dagli italiani durante tutto l’anno. Quattro italiani su 10 (41%) porteranno agnello a tavola a Pasqua per rispettare le tradizioni ma sostenere anche la sopravvivenza di 60mila pastori duramente colpiti dalla crisi provocata dall’emergenza Covid.

Per Pasqua in Italia vengono macellati circa 550mila agnelli. Di questi oltre un terzo (185mila) sono a marchio Igp, dei quali circa 130mila di Agnello di Sardegna Igp, 35mila Abbacchio Romano Igp e 25mila del Centro Italia Igp. Sono 65mila i capi made in Italy non Igp, e circa 300mila di origine straniera.

Ma la situazione varia da regione a regione nel Belpaese e agricultura.it ha fatto un viaggio lungo lo stivale per conoscere le diverse realtà ovicaprine, i loro mercati e i bilanci in vista delle festività pasquali.

Agnello di Sardegna Igp

Le quotazioni degli agnelli sardi, nonostante la grave crisi economica e la chiusura dei canali Horeca, hanno superato abbondantemente i 5 euro/kg (pagato al pastore a peso vivo) già a partire dalla seconda settimana di marzo. Ma anche nei mesi di gennaio e febbraio, quando tradizionalmente il prezzo crolla, la media si è tenuta sui 3,4 euro/Kg.

Nell’ultima settimana (19 – 26 marzo) i prezzi dell’agnello sardo Igp pagati all’allevatore oscillano in media fra i 4,70 – 5,30 euro/kg, medie tra le più alte, toccate solo nel pre Covid (2019) e si collocano al vertice in Italia superando le quotazioni degli agnelli da latte delle regioni Lazio e Toscana (principali competitor dell’agnello sardo) che si attestano invece (il 25 marzo), secondo le elaborazioni Contas su rilevazioni Ismea tra i 3 e i 3,05 euro/kg (peso vivo).

“La programmazione messa in campo negli ultimi anni come Consorzio sta cominciando a portare i primi frutti – afferma il presidente del Contas Battista Cualbu -. Abbiamo e stiamo lavorando sull’allargamento del mercato e contemporaneamente su un prodotto che conservando le stesse caratteristiche abbia una shelf life più lunga. Stiamo proponendo sul mercato con i trasformatori, anche nuovi e più piccoli tagli che da una parte valorizzino tutta la carcassa e dall’altra rispondano alle nuove esigenze del mercato”

Verso la Pasqua, Contas: quotazioni record per l’agnello sardo igp ma attenzione alle importazioni

Agnello del Centro Italia

“Non solo conseguenze negative legate al Covid. La pandemia ha cambiato i consumi degli italiani favorendo una ripresa del mercato dell’agnello IGP del Centro Italia, rendendo il consumatore più consapevole di quello che porta in tavola”. E’ la riflessione di Virgilio Manini, allevatore di Manciano (Grosseto) e presidente del Consorzio Agnello del Centro Italia, che se da un lato vede “una flessione perché l’agnello Igp va verso la ristorazione ma i ristoranti e gli agriturismi sono chiusi”, dall’altro vede che “il nostro agnello incontra il gusto delle persone, vuole dire che la pandemia ha dato al consumatore il tempo di valutare cosa mangia, perché anche l’effetto visivo è importante”.

Alcune regioni, come Abruzzo e Marche, hanno fatto registrare nel 2020 un incremento dei consumi “come se la gente stesse riscoprendo il consumo della carne di agnello tutto l’anno non solo a Pasqua e Natale” sottolinea Manini.

In questo scenario si sta assistendo anche ad un altro fenomeno: “Il calo delle importazioni dall’estero dovuto alle limitazioni per le norme anti Covid: a Natale non sono arrivati i capi che solitamente arrivavano e così a gennaio abbiamo venduto il prodotto nostrano a un prezzo leggermente superiore rispetto al solito perché comunque c’era richiesta” spiega Manini.

Non solo. “Ultimamente c’è molta richiesta di carne d’agnello dal mercato musulmano e il nostro è un prodotto sicuro, certificato e con la garanzia di tracciabilità al 100%”. Per questo, in vista della Pasqua ormai imminente il consiglio per portare in tavolo un prodotto nostrano e di qualità è quello di “pretendere chiarezza al bancone del vostro macellaio, chiedete di vedere le certificazioni; acquistate solo prodotto italiano, non italianizzato. E’ l’unico che può assicurare garanzia di sanità animale e del territorio da cui proviene. Non sempre pagare meno significa risparmiare” conclude il presidente del Consorzio Agnello del Centro Italia.

Associazione Regionale Allevatori dell’Emilia Romagna

Un territorio a forte vocazione ovicaprina è la Romagna dove 25mila capi (la metà di quelli allevati in Emilia Romagna) sono da latte. “La pandemia non ha inciso più di tanto nei consumi – spiega Sandro Perini, responsabile della sezione provinciale ARAER di Forlì – perché nel territorio della Romagna c’è proprio la cultura del castrato, dell’agnellone, delle grigliate all’aria aperta e nei menù dei ristoranti si trova sempre uno di questi prodotti. Ora con la chiusura dei ristoranti, è il consumo familiare a fare la parte del leone perché la tradizione resiste e riusciamo sempre a collocare il prodotto nostrano. I prezzi, anche in periodo di Covid, si sono mantenuti costanti e per abbacchio e agnello sardo di nostra produzione c’è stato un ribasso perché oggi si vendono capi medio pesanti di 20-25 kg al prezzo di quelli leggeri di 10-15 kg”.

In tempi normali durante il periodo pasquale il 50% di prodotto è importato “da Romania e Bulgaria perché non siamo autosufficienti – sottolinea Perini – ora con il rallentamento delle importazioni a causa delle norme anti contagio si consuma solo locale. La massaia che va al macellaio chiede prodotti a km zero, allevato nelle nostre colline”.

E domenica e lunedì, sulle tavole, l’agnello farà la parte del padrone: “è una delle carni più sicure, non fa male ed è la meno trattata perché l’agnello ha un ciclo di vita breve e non ha bisogno di tante medicine” conclude Perini.

Agnello delle Dolomiti Lucane

“Grazie ad un accordo siglato con la grande distribuzione nel 2010 non abbiamo prodotto invenduto, a volte non riusciamo neanche a soddisfare la domanda ma questo anche perché gli allevatori stanno diminuendo” è il quadro tracciato da Gabriele Avigliano, giovane allevatore di Agnello delle Dolomiti Lucane.

“Su un totale di circa 12mila capi annui in vista delle festività pasquali macelliamo circa 4mila capi che vengono pagati all’allevatore, ad animale morto, tra gli 8,80 e i 9 euro al chilogrammo più iva. Questo prezzo perde circa 90 centesimi nel resto dell’anno mentre incrementa di circa 25 centesimi in occasione del Natale; nel nostro caso viene pagata la qualità riconosciuta della carne” sottolinea Avigliano.

“Quest’anno le importazioni dall’estero sono state inferiori – prosegue il giovane allevatore – e per quanto ci riguarda, visto l’accordo con la grossa distribuzione, i danni dalle restrizioni del covid su ristoranti e agriturismi sono stati limitati”.

L’Agnello delle dolomiti lucane viene allevato in tutta la Basilicata, perlopiù allo stato semibrado e la sua carne è tra le più apprezzate soprattutto sul mercato interno grazie al lavoro dei 40 allevatori che si sono uniti in una Organizzazione di Produttori. “Gli allevatori stanno però diminuendo, non c’è grande interesse da parte delle giovani generazioni ma ciò che fa più male al mondo allevatoriale e al suo indotto è l’ideologia animalista che si sta diffondendo sempre più” ha concluso Avigliano.

Abbacchio Romano Igp

“Serve l’impegno dell’intera filiera agroalimentare per sostenere la pastorizia italiana. A Pasqua scegliamo prodotti genuini e certificati come l’abbacchio romano Igp, che rappresenta una vera eccellenza del nostro territorio”. E’ l’appello del presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri.

Verso la Pasqua, Coldiretti Lazio: sosteniamo i pastori e scegliamo prodotti italiani come l’abbacchio romano igp

Un invito ai consumatori a proteggere il nostro patrimonio. Una scelta al tempo stesso salutare e che scoraggia l’importazione di prodotti provenienti dall’estero. Dannosi per la salute e per l’economia del nostro Paese.

“Le nostre aziende hanno bisogno di essere sostenute – aggiunge Granieri – I prodotti con certificazione comunitaria Igp offrono maggiori garanzie ai consumatori, sia in termini di qualità, che di tracciabilità e naturalmente di sicurezza, grazie ai controlli a cui sono continuamente sottoposti. Così come la garanzia che sia stato adottato un metodo di allevamento sottoposto a rigorosi controlli, per avere gli standard qualitativi della carne superiori a quelle normali che si trovano in commercio. Diffidate quindi dei prodotti importati di scasa qualità”.

Il Lazio, che conta circa 39 mila aziende ovine, può vantare complessivamente 65 prodotti con indicazione geografica e questo consente alla nostra regione di collocarsi al quinto posto su scala nazionale per numero di prodotti riconosciuti. Si tratta di 36 marchi ottenuti nel comparto vini e 29 in quello food.

LA RICETTA 

Costolette di agnello fritte. Una ricetta semplice dal gusto irresistibile, non solo a Pasqua

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