CHICAGO – Un sorso di italianità, il testimone di un legame umano e culturale celebrato a tavola, ma anche un asset economico per entrambe le sponde dell’Atlantico, alla prova dei dazi al 15% in vigore da agosto.
È uno dei temi chiave di oggi a Vinitaly.Usa nel corso del wine2wine Business Forum, in presenza delle istituzioni italiane, delle imprese tricolori del vino ma anche del trade americano che si oppone alle nuove tariffe, a partire dai distributori Usa della Wswa fino alla U.S. Wine Trade Alliance.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, se è vero che le imprese italiane registrano un fatturato annuo di oltre 2,2 miliardi di dollari dalle vendite oltreoceano, per i partner commerciali Usa il bottino sale a più di 10 miliardi di dollari.
“Il vino italiano non è solo un simbolo di eccellenza enogastronomica, ma anche un pilastro economico nei rapporti tra Italia e Stati Uniti – spiega il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo –. È forti di questa consapevolezza che abbiamo deciso di puntare su una piattaforma come Vinitaly.USA, pensata per mettere al centro business, dialogo e confronto per proteggere e rilanciare questo patrimonio in un contesto di mercato e commerciale difficile”.
Una vetrina, quella di Chicago, che per la seconda edizione (5-6 ottobre), chiama a raccolta i protagonisti del wine business al Navy Pier della città del vento per una due giorni che integra b2b oltre ad aggiornamento e formazione con wine2wine, il Vinitaly Forum dedicato a consumatori, canali distributivi e competenze per affrontare le trasformazioni del mercato globale”.
Secondo i dati dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly (base Sipsource), nonostante la gran parte dei consumi di vino negli Stati Uniti sia rappresentata da prodotti domestici (pari al 70% dei volumi consumati), le etichette italiane si posizionano al primo posto tra le bottiglie estere stappate con una quota di mercato pari al 38%, seguite a distanza dai vini australiani, neozelandesi, francesi e cileni. Ma questo primato tricolore non produce fatturato solo in Italia.
Ogni dollaro speso in vino italiano ed europeo, infatti, genera 4,5 dollari di valore per l’economia statunitense. Un effetto moltiplicatore che testimonia la profondità di un legame costruito in oltre 50 anni di storia commerciale.
Secondo i dati forniti dalla piattaforma internazionale per la ricerca di importatori e distributori di vino Vinaty, attualmente negli Stati Uniti operano oltre 1.000 aziende registrate come importatori di vino, molte delle quali impegnate nell’importazione di vini italiani ed europei. A queste si aggiungono altrettanti distributori e grossisti, oltre a 2.000 rivenditori.
Sul fronte della ristorazione, la sola industria di ristoranti italiani negli Usa vale, secondo IBISWorld, 95 miliardi di dollari l’anno e conta oltre 62 mila imprese.
E i vini italiani sono decisivi anche per l’economia di tutti i ristoranti degli Stati Uniti, sia in termini di presenza che di apprezzamento da parte dei consumatori. Per fare alcuni esempi, il Prosecco, oggi il prodotto di punta per il made in Italy enologico, è presente nel 41% dei menu americani (analisi di Italian Wine Podcast in collaborazione con Somm.ai), ma anche i rossi toscani sono molto richiesti. Nel 2024 le importazioni di vino italiano dagli Stati Uniti hanno sfiorato quota 2,3 miliardi di dollari, con 354 milioni di litri venduti, l’equivalente di oltre 470 milioni di bottiglie da 0,75/litri.
Numeri che fanno della piazza statunitense il primo mercato di sbocco per l’ecosistema del vino italiano (530 mila aziende e 800 mila addetti), con una quota a valore pari al 24% sull’export totale tricolore.
Secondo il “2025 Economic Impact Report” di Wine America, infine, l’impatto annuale (diretto, indiretto e indotto) del vino negli Stati Uniti è di 144,4 miliardi di dollari, di questi – stando alla stima elaborata dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly – quasi 19 miliardi di dollari sono generati dal vino italiano.