Diceva Jacques Le Goff che il cibo è uno dei grandi protagonisti della storia, ecco quindi che chiunque voglia ricostruire la cucina di Parma e della sua provincia troverà a disposizione numerosi fonti storiche, pittoriche e letterarie. In questi territori (sicuramente con l’aiuto delle popolazioni celtiche), più che altrove, si formò una capacità di trasformare le materie prime che, abbondanti, si trovarono fra le mani: il latte di mucche generose e i maiali che scorazzavano liberi a mangiar ghiande (fu lo stesso Carlo Magno a decretare che ogni famiglia avesse dei maiali e un orto dove coltivare ogni genere di erbaggio). Questa fu la fortuna di gente avvezza a lavorare duro e che contribuì a formare il gusto del buon cibo, aiutata da un territorio adatto come pochi a conservare salumi e formaggi. L’umidità dell’aria non permetteva l’essiccazione della pasta come in altri luoghi d’Italia e si sviluppò quindi una pasta molle, non secca, a base di farina e uova e allora fu un tripudio di lasagne e tagliatelle. La storia culinaria di Parma, considerata oggi una delle capitali europee del cibo, è meticolosamente raccontata da Marino Marini, cuoco, giornalista, bibliotecario, nel libro ‘Le cucine di Parma’ edita da Orme Editori (euro 17,50) per le ‘cucine del territorio’ di Franco Muzzio.