Peperoncino focus Corpo Forestale: il 70% lo importiamo dall’Asia

ROMA – Si protrarrà fino a sabato 25 ottobre la mostra-convegno  a ingresso libero organizzata dal Corpo forestale dello Stato in collaborazione con l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio (ARSIAL).

Un centinaio di piantine di peperoncino di diverse varietà in mostra per qualche giorno, e una serie di esperti che spiegano i vari impieghi del frutto piccante. Oggi il peperoncino, oltre che protagonista della nostra cucina, spesso è anche utilizzato come pianta ornamentale ed è considerato un vero e proprio elisir di salute e bellezza nel campo della medicina. È protagonista di un vero e proprio revival, testimoniato dall’aumento dei consumi osservato da faostat, legato anche alla crescita della popolazione dei Paesi tradizionali consumatori come l’India e il Sud Est Asiatico e confermato dall’interesse crescente per le proprietà benefiche e i molteplici impieghi medicinali. Questi sono i temi affrontati oggi nel corso della tavola rotonda organizzata dal Corpo forestale dello Stato sulle varietà, utilizzi e curiosità legati al mondo del peperoncino, alla quale hanno partecipato Claudia Papalini e Roberto Mariotti dell’ARSIAL, Claudia Sbrenna dell’Azienda Sanitaria Locale dell’Umbria, Alberto Manzo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Gianluca Baiocchi del Corpo forestale dello Stato, Claudio Dal Zovo dell’associazione Pepperfriends, Vincenzo Barbieri, noto ristoratore della Calabria, e lo chef e conduttore televisivo Massimiliano Mariola di Gambero Rosso Channel. Nel corso dell’incontro si è discusso del sistema dei controlli sulle importazioni di peperoncino, dei suoi molteplici impieghi, delle sue caratteristiche e delle tecniche di coltivazione.

La Sicurezza Agroalimentare – Molte persone lo considerano un ingrediente fondamentale di tante ricette e le regioni del Sud Italia la fanno da padrone in quanto a produzione e utilizzo. Nonostante questo, però, l’Italia non è autosufficiente, infatti circa il 70% dei peperoncini è importato dai Paesi asiatici (soprattutto Pakistan e India) e dal Messico. La produzione italiana si concentra nelle regioni Calabria, Basilicata, Puglia e Abruzzo, mentre a livello mondiale il maggior produttore è l’India. Sebbene siano poche le specie di peperoncino coltivate commercialmente in Italia, esistono molti cultivar. Capsicum annuum è la specie più diffusa, mentre le altre specie sono relativamente meno utilizzate. Il consumo annuo si attesta sulle 209.000 tonnellate per un valore di 268 milioni di euro. Il prezzo dell’importazione si aggira intorno ai 2,50 – 3,50 euro al chilogrammo. Viene importato macinato, in polvere o intero. Nel nostro Paese però la coltivazione del peperoncino solo in rari casi si presenta come specializzata, si tratta spesso di piccole coltivazioni familiari e commercio locale, che portano a una produzione nazionale stimabile in non più di 200 tonnellate (dati FIPPO). Le zone tipiche di produzione sono le province di Cosenza e Catanzaro in Calabria e Taranto e Lecce in Puglia, ma si coltiva un po’ in tutta la penisola. Nel 2013 sono state importate complessivamente in Italia 1.850 tonnellate di peperoncino intero e tritato o polverizzato per un valore di quasi 5 milioni di euro. Nel primo semestre 2014 sono state importate 881 tonnellate di prodotto, pari al 7% in più rispetto allo stesso periodo del 2013 (elaborazione ISMEA dati ISTAT). La non omogeneità dei dati può derivare dal fatto che alcune statistiche si riferiscono al prodotto fresco ed altre al prodotto essiccato. Accanto ai tanti pregi del peperoncino, troviamo alcuni aspetti che destano una certa preoccupazione. Stiamo parlando di sofisticazioni crescenti e contaminazioni, oggetto di particolare attenzione da parte dell’Unione Europea. E visto che appunto l’Italia non è in grado di soddisfare il proprio fabbisogno e deve ricorrere all’importazione, fondamentale è il sistema dei controlli. Il Corpo forestale dello Stato, nell’ambito dei controlli per la sicurezza agroalimentare, ha portato a termine negli anni passati importanti operazioni per il contrasto delle contaminazioni dei peperoncini con sostanze nocive. Chi non ricorda il famigerato Sudan rosso 1, colorante normalmente impiegato nell’industria tessile e la cui presenza portò, nel 2004, al sequestro di 15.000 chilogrammi di peperoncini importati dall’India da un’azienda di Pescara e che sarebbero stati utilizzati per la preparazione di cibi pronti surgelati e di preparati a base di sughi al peperoncino, anche di famose etichette. Ancora, l’operazione Corno Rosso, nel 2009 consentì di scoprire nel peperoncino macinato, essiccato e confezionato in polvere, sempre proveniente dall’India, concentrazioni di due acaricidi denominati Fosalone ed Ethion superiori di quasi dieci volte il limite massimo consentito. Si tratta di sostanze neurotossiche, specialmente l’Ethion, in grado anche di alterare l’attività endocrina, cioè i segnali del sistema ormonale. Quando un composto è in grado di alterare il sistema endocrino bastano dosi molto basse perché possa manifestare la sua azione.
L’attività di impulso e promozione del prodotto nazionale trova pertanto un incentivo nei problemi legati al prodotto importato, che spesso presenta, come visto, contaminazioni diffuse, contenuti di aflatossine, ocratossine, coloranti non ammessi e pesticidi.

Un po’ di storia –
Il peperoncino appartiene al genere Capsicum ed alla grande famiglia delle Solanaceae che include una serie di piante importanti da un punto di vista alimentare quali il pomodoro, la patata, la melanzana, il tabacco, e anche dal punto di vista ornamentale, come la petunia. Le 5 specie domesticate di Capsicum sono:  Capsicum annum,  Capsicum chinense,  Capsicum baccatum,  Capsicum frutescens, Capsicum pubescens. Le specie sono riconoscibili in virtù di piccole diversità fenotipiche: forma, colore, dimensione di foglie, fiori, frutti o semi. Il suo utilizzo risale alla preistoria, infatti il genere Capsicum è stato addomesticato dai popoli primitivi in diverse parti del Sud e Centro America. I frutti del genere Capsicum fanno parte dell’alimentazione umana da almeno 10.000 anni. Numerose varietà erano note agli Aztechi in Messico prima che arrivassero gli spagnoli. Cristoforo Colombo ne portò i semi in Europa e tramite la via delle spezie, ad opera dei portoghesi, è arrivato in Africa, in India e in Asia. Gli antichi popoli hanno preso il selvaggio Capsicum piquin e hanno selezionato le diverse tipologie oggi conosciute. Recenti studi pongono il peperoncino tra le piante di più antica coltivazione nelle Americhe.  Così non è infrequente trovare  peperoncini ancestrali coltivati insieme ai loro discendenti domestici.

Le caratteristiche – La piccantezza della bacca, che non è un gusto ma una sensazione, è merito della capsaicina, un alcaloide che trova impieghi in diversi campi. La placenta, i filamenti e i semi stessi contengono una concentrazione particolarmente alta di capsaicina, che provoca una sensazione di calore e di dolore. Questo alcaloide è incolore e insapore, a parte il fatto di essere piccante. Inoltre è molto resistente sia agli effetti del tempo sia alla temperatura: non viene distrutto né cucinandolo né congelandolo, ed è scarsamente idrosolubile. I peperoni che usiamo abitualmente sono varietà coltivate in modo da ridurre al minimo o totalmente il contenuto di capsaicina.
La scala di Scoville classifica le varie specie in base al grado di piccantezza. Fino al 2006, il peperoncino più piccante del mondo, riportato nel Guinness Book of World Records (anni ’90), è stato l’habanero Red Savina il cui grado di piccantezza era 577.000 Unità Scoville. A partire dal 2007, l’habanero è stato spodestato da un peperoncino indiano proveniente da ibridazione interspecifica, il Naga Jolokia (1.041.427 Unità Scoville), conosciuto anche con i nomi di Bhut Jolokia, Ghost Chili, Ghost Pepper, Naga Morich, Bih Jolokia, ecc. Gran parte dei suoi geni appartengono a C. chinense e C. frutescens. La classifica dei peperoncini più piccanti incorona Trinidad Moruga Scorpion (1.4 milioni Unità Scoville). Notevole l’apporto vitaminico del peperoncino: vitamina A,  vitamine B1, B2, B6, C e vitamina E. Il  peperone è ricco di acqua, rinfrescante e ipocalorico. La sua caratteristica principale è l’elevato contenuto di vitamina C, addirittura superiore a quello degli agrumi. Mezzo peperone è sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero di vitamina C.

Utilizzo in medicina – Per quanto riguarda l’utilizzo in medicina, la capsaicina trova applicazione in diversi settori: patologie cardiovascolari, obesità e metabolismo, anestesiologia e terapia del dolore, diabetologia (sistemico-locale, nelle neuropatie), patologie dismetaboliche-infettive (neuropatie), patologie gastrointestinali-artropatie, e anche nelle patologie oncologiche. Capsaicina e diidrocapsaicina hanno proprietà utili nella lotta al diabete e alle malattie cardiovascolari, tanto efficaci al punto da paragonare il peperoncino all’aspirina. La capsaicina è in grado anche di ridurre i depositi di grasso sulle pareti delle arterie, così bloccando la formazione di coaguli di sangue. Ha proprietà anti-ipertensive grazie alla capacità di rilassare i vasi sanguigni. Favorisce il senso di sazietà ed aumenta la termogenesi (omeotermia), il dispendio energetico e il metabolismo basale rappresentando così un valido alleato nel controllo del peso. Il recettore della capsaicina è inoltre un’arma contro il dolore. Cicatrizzante molto efficace, la capsaicina ha un’azione antibatterica documentata, utilissima per impedire la proliferazione dell’Helicobacter pylori nelle forme ulcerose. Trova inoltre impiego nelle neuropatie come analgesico topico o come anestetico locale per le neuropatie legate al diabete. Lo spray  con Capsicum è risultato sicuro contro le riniti non allergiche, che sono una forma meno comune di raffreddore. In oncologia studi sperimentali recenti hanno dimostrato che la Capsaicina  riesce a determinare la morte programmata delle cellule deviate nei casi di tumori della prostata. Per di più con un dosaggio molto basso.

Coltivazione – I peperoncini richiedono dalla nascita alla maturazione dei primi frutti un tempo variabile a seconda della specie e varietà da un minimo di 90 giorni fino a 120-150 giorni per il C.Chinense, o più per varietà wild. Tutte le specie e varietà inoltre soffrono il gelo e nei nostri climi, alle prime gelate di fine ottobre/metà novembre, inevitabilmente muoiono. È quindi opportuno seminare in anticipo, in modo da arrivare ai primi di maggio con piante già sviluppate e pronte alla fioritura. Con questa tecnica e con un clima benevolo è possibile effettuare due raccolti completi nella stagione. I peperoncini producono a ciclo continuo: appena le piante sono “scaricate” dai frutti del primo raccolto, subito fioriscono di nuovo in modo massiccio e riparte un nuovo ciclo produttivo. Se si riesce ad avere piante pronte per la prima fioritura a maggio, si può effettuare un primo raccolto a metà agosto e un secondo raccolto completo entro ottobre. Addirittura, coloro che vivono in zone con clima molto mite (sud Italia, Liguria) possono effettuare anche un terzo raccolto per Natale.

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