Pensioni e agricoltura. Cifre bassissime secondo il report sociale di Cia

Una vita nei campi, a produrre quel cibo che ha reso il Made in Italy agroalimentare, un vanto del nostro Paese nel mondo. Hanno contribuito a creare quel paesaggio divenuto elemento attrattivo insostituibile per il turismo: gli agricoltori. Oggi,  a 70 anni  si ritrovano con un assegno mensile di  507 euro, quindi  143 euro  al di  sotto della soglia indicata dalla Carta sociale europea. Una  situazione insostenibile denunciata dal  Patronato Inac  di Cia-Agricoltori Italiani, che ha presentato oggi a Roma il proprio 5° Report Sociale, relazionando su due anni di attività svolta, con un milione di pratiche evase.

Fanalino di coda All’interno delle pensioni autonome -ha spiegato Inac-Cia- l’agricoltura è il fanalino di coda, dietro commercio e artigianato. Le riforme pensionistiche  negli ultimi vent’anni, con la  reintroduzione  del sistema contributivo, hanno peggiorato in modo peculiare la previdenza degli agricoltori. I circa un milione e trecentomila commercianti arrivano a un assegno medio di  817 euro al mese, mentre i circa un milione e seicentomila artigiani toccano gli 882 euro, ovviamente tutti importi lordi.  Assieme al milione e mezzo di ex agricoltori, arrivano acomplessivi 4,5 milioni di pensionati autonomi, una categoria spesso inascoltata, nella bagarre politica in tema pensionistico, fatta di individui che, oltre percepire assegni bassi, hanno perso in pochi anni oltre il 30% del potere d’acquisto. Oggi gli ex agricoltori, nel rebus manovra e pensioni, sono a dir poco disorientati.  Si parla di “pensione di cittadinanza”, in realtà loro chiederebbero “pensioni di sopravvivenza”, ovvero un  adeguamento almeno al tetto minimo  di 650 euro.  Già beffati dall’ultima riforma -prosegue Inac- gli agricoltori non sono entrati tra i mestieri usuranti, molti di loro continuano a lavorare la terra per arrivare a fine mese.

L’impegno per la “pensione base” Cia-Agricoltori Italiani e Inac sono impegnati per  garantire pensioni dignitose anche ai giovani coltivatori,  con  l’istituzione di una “pensione base”, di importo pari alla pensione minima prevista dalla Carta sociale europea ad almeno 650 euro, in aggiunta alla pensione liquidata interamente con il sistema contributivo. Ma lo smarrimento in tema di welfare e previdenza investe una grandissima platea, circa 16 milioni di cittadini che sono in pensione, oltre ai  600 mila che ambiscono ad andarci.  Il Patronato  si confronta ogni giorno con i problemi  delle persone e degli agricoltori, raccogliendo le istanze più diverse: tra anomalie, errori contribuitivi e diritti negati. Proprio sul tema della tutela si concentra l’interesse e la prospettiva di Inac che ha ospitato, nella sua assise, l’intervento del Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali  Claudio Durigon  e dell’onorevole  Chiara Gribaudo  della Commissione Lavoro alla Camera dei deputati. Il presidente di Inac,  Antonio Barile,  ha spiegato nel suo intervento: “In questi anni abbiamo  promosso il Patronato come strumento moderno e vitale di assistenza e tutela dei diritti sociali, specialmente nelle campagne italiane. E abbiamo cercato di  contrastare il pensiero unico, che ogni giorno ci bombarda di  fake news, tendente a dimostrare  la non sostenibilità del sistema previdenziale,  che ci dice  la legge Fornero è intoccabile  e le future  pensioni dei giovani saranno basse per colpa dei padri e dei nonni.  Per effettuare considerazioni serie sul sistema pensionistico italiano, bisogna partire dal bilancio dell’Inps, il quale dice in modo incontrovertibile che la vera spesa previdenziale italiana è di 150,9 miliardi, al netto dell’assistenza, che deve essere a carico della fiscalità generale, e dei 49 miliardi di Irpef pagata dai pensionati, una partita di giro per il bilancio dello Stato. La spesa realmente sostenuta per pensioni in Italia è pari al 10,1% del Pil, al di sotto della media europea, e quindi non solo è in perfetto equilibrio, ma grazie alle entrate contributive registra un attivo di ben 30,3 miliardi di euro”. La riflessione del  presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani  Dino Scanavino, a conclusione dei lavori, si è concentrata sul futuro del settore: “Se vogliamo compiere un vero  ricambio generazionale in agricoltura,  oggi bloccato sotto il 9%, dobbiamo rendere il settore maggiormente attrattivo, e in tal senso -ha detto-  l’attuale trattamento pensionistico riservato alla categoria è tutt’altro che incentivante.  Quando si dice che l’agricoltura sarà determinante per il futuro del Paese, bisognerebbe essere coerenti, calibrando le politiche connesse a 360 gradi”.

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