Incrementare la produttività per il futuro dell’agricoltura. Il punto di Ettore Cantù, Società Agraria Lombardia

Incrementare la produttività per il futuro dell’agricoltura? Un editoriale di Ettore Cantù presidente onorario della Società Agraria di Lombardia

Negli ultimi sessant’anni l’agricoltura italiana ha risposto agli obbiettivi che la politica, nel tempo, aveva posto: aumentare la produzione di derrate alimentari, migliorare il tenore di vita dei produttori e dei consumatori. Il risultato si nota constatando che oggi una famiglia tipica destina alle spese alimentari solo il 20% del proprio reddito. Ma ora la società pone all’agricoltura obbiettivi addizionali e nuove priorità: considerare il rapporto fra produzione e salubrità alimentare, utilizzare il terreno e il territorio secondo criteri di sostenibilità, avere cura del paesaggio, della biodiversità e delle acque. Con questi nuovi ruoli sembra passato in secondo piano la funzione produttiva dell’agricoltura. Forse non è più necessario produrre cibo? Qualcuno pensa che l’Italia sia autosufficiente nel produrre alimenti per sfamare 60 milioni di cittadini oltre ai vari milioni di turisti? Perché si enfatizza il dato delle esportazioni e si trascura il peso delle importazioni? O forse è più conveniente importare le derrate alimentari trascurando il valore dell’autosufficienza, e i punti del PIL perduti? I dati in proposito sono sorprendenti. Se è vero che nel 2018 la produzione agricola, nel complesso è aumentata dell’1,50% in quantità, molti comparti sono in netto calo (-1,50% le produzioni zootecniche) e il deficit del Bilancio agroalimentare è ancora molto elevato.

Ettore Cantù, presidente onorario Società Agraria Lombardia

Le importazioni dell’agroalimentare aumentano ad un livello quasi pari a quello delle esportazioni. Le stime per il 2018 danno un valore delle esportazioni dell’agroalimentare pari a 42 miliardi di euro di cui tuttavia solo il 17% riguarda i prodotti agricoli, mentre la rimanente parte è dovuta a prodotti trasformati dall’industria. Le importazioni sono stimate per 46 miliardi con un deficit ancora pari a 4 miliardi in leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti. Tuttavia il lieve miglioramento del saldo commerciale è dovuto solamente all’industria alimentare, mentre il saldo import/export dei prodotti agricoli è peggiorato giungendo al deficit di quasi 8 miliardi di euro. In realtà quindi la produzione agricola copre circa solo l’85% del consumo agroalimentare italiano e non riesce a soddisfare la crescente domanda dell’industria alimentare. In questi ultimi anni si va esaltando la qualità dell’agroalimentare italiano, ma si è trascurata la quantità, ossia l’attenzione alle rese produttive. Si può osservare che c’è spazio per produrre di più, per raggiungere il traguardo dell’autosufficienza con vantaggio generale per il Paese. Quale è la situazione nei vari comparti? Per i cereali ad uso umano e zootecnico l’Italia è autosufficiente per circa la metà della necessità di grano tenero e del 60% per il duro e per il mais, orzo, ecc.. Le zootecnie da carne, bovina, suina e pollame coprono solo il 60% del consumo interno; per produrre le fonti proteiche di base come carne, latte o uova, l’Italia deve oggi importare fra il 60 e il 70% dei prodotti necessari per la nostra zootecnia industriale, cioè soia e mais, quasi totalmente prodotti geneticamente modificati. Attualmente le nostre esportazioni alimentari riguardano limitati articoli del settore ortofrutticolo, il vino, il riso ed alcuni prodotti di trasformazione come pasta, latticini e salumi.

Non si può inoltre dimenticare i possibili ostacoli alle esportazioni nel futuro prossimo. Consideriamo che i due terzi delle esportazioni vanno nei paesi dell’UE, partner principale la Germania, e, fuori dai confini comunitari, sono gli USA il mercato di riferimento. Dei vari settori l’ortofrutta è la principale voce dell’export agroalimentare e la Germania, la cui economia sta registrando segnali di rallentamento, è la destinazione finale di un terzo delle nostre esportazioni di frutta e verdura. Inoltre preoccupa il fatto che l’effetto Brexit possa ridurre le nostre esportazioni. L’Inghilterra produce solo l’11% della frutta e il 40% delle verdure che consuma e quindi è fortemente dipendente dall’estero ad es. del 100% degli agrumi, dell’80% dei pomodori e del 60% delle mele. Le fonti ufficiali e i media tendono a citare solo il progressivo aumento delle esportazioni e sembrano soddisfatte di questo risultato, ma trascurano di vedere le massicce importazioni e dimenticano che la quota di prodotti agricoli è sempre più ridotta a vantaggio dei prodotti trasformati.

Queste osservazioni portano due considerazioni: al livello interno l’agricoltura deve poter contare su una politica che favorisca l’aumento delle rese produttive senza protezionismi per quei modelli di gestione che riducono la produzione in nome del biologico; che favorisca la necessaria concentrazione sia delle dimensioni aziendali che dell’offerta commerciale per integrarsi maggiormente con l’industria alimentare ottenendo una parte del valore aggiunto dell’export nella trasformazione; deve poter contare su infrastrutture moderne per il trasferimento dei prodotti. Quindi una politica agricola che consenta di produrre maggiori derrate alimentari, di ottima qualità, e a prezzi competitivi. A livello internazionale si deve considerare necessaria una politica di buoni rapporti sia con i Paesi dell’Unione Europea che con gli USA, i maggiori destinatari dell’export italiano, che sembrano all’oggi piuttosto compromessi. E’ pretendere troppo?

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