Peste suina africana, gli allevatori italiani temono la ‘tempesta perfetta’

Omar Gobbi, allevatore bresciano titolare di un allevamento di suini all’ingrasso destinati alla produzione di Prosciutto crudo di Parma Dop, non ci gira intorno. “Stiamo rischiando la tempesta perfetta – afferma – I prezzi delle materie prime hanno registrato in queste ultime settimane una vera e propria impennata, la Cina ha ripreso a produrre suini a ritmi sostenuti, le quotazioni dei nostri maiali  per tutto l’anno hanno viaggiato sulle montagne russe, abbiamo dovuto fronteggiare le conseguenze della pandemia, particolarmente pesanti soprattutto nella primavera scorsa e ora, minacciosa, la peste suina africana che nelle ultime settimane ha fatto la sua comparsa anche in Germania. C’è di che essere preoccupati. E parecchio”.

Mai come oggi il tema della Peste suina africana appare attuale e centrale nel dibattito suinicolo nazionale e su questo tema si concentrerà la sesta edizione della Giornata della Suinicoltura (www.giornatadellasuinicoltura.it)  che a causa delle disposizioni antiCovid quest’anno si terrà come  Web Conference il 2 dicembre prossimo a partire dalle ore 17. Il titolo dell’evento è “La minaccia della PSA tra preoccupazioni e opportunità commerciali”, è come sempre  organizzato da Expo Consulting srl e proporrà un programma di interventi ampio e approfondito grazie alla partecipazione di importanti relatori italiani ed esteri.

“Come allevatore e veterinario sono molto preoccupato – aggiunge Enrico Arioli, titolare di un allevamento di suini a ciclo chiuso con 500 scrofe – purtroppo la presenza sempre più numerosa di cinghiali, vettori e riserva del virus della peste suina africana, è una minaccia difficile da contrastare soprattutto in mancanza di un censimento ufficiale che ne certifichi le consistenze, a valle del quale sarebbe possibile predisporre dei piani di abbattimento e/o contenimento. Mi riferisco soprattutto alla Lombardia, che addirittura a livello regionale ha zone censite e altre no. Cremona e la sua provincia, ad esempio, non lo è e non lo è nemmeno quella di Brescia, dove peraltro la presenza di cinghiali è meno importante che sul territorio cremonese. Ritengo che in Italia non più del 30% degli allevamenti possa vantare recinzioni tali da essere in grado di impedire l’ingresso di cinghiali e salvaguardare di conseguenza l’allevamento. Parallelamente però, non dobbiamo dimenticare che gli allevatori stanno adottando tutte le misure di biosicurezza previste e nella maggioranza dei casi seguono e fanno seguire scrupolosamente ai loro dipendenti tutte le raccomandazioni a cui ci si deve attenere anche e soprattutto rispetto ai loro movimenti al di fuori della porcilaia. Siamo consapevoli che quanto è avvenuto in Germania, col rinvenimento di diverse carcasse di cinghiali infette, potrebbe avvenire anche qui e spaventa la sola prospettiva di quello che questo rappresenterebbe per la suinicoltura italiana”.

Con il blocco dell’export verso Cina, Giappone e Corea del Sud, la pressione di importanti quantitativi sull’Europa di carne prodotta in Germania è notevole;  questo è un altro aspetto che agita il sonno degli allevatori. “Viviamo un periodo molto difficile, determinato in misura importante anche dalla pandemia – sottolinea Thomas Ronconi, allevatore e presidente dell’Associazione nazionale allevatori suini (Anas) – Le restrizioni causate dall’emergenza sanitaria nel settore della ristorazione non ci aiutano e anche l’export delle nostre eccellenze Dop sta in parte soffrendo. Ma è sull’export dobbiamo continuare a guardare soprattutto in una prospettiva futura, quando usciremo dall’emergenza. A questo proposito Anas continua a lavorare con i canali diplomatici necessari per gettare le basi per il rilancio che speriamo arrivi e ci eviti di dover fare anche noi i conti con la peste suina africana”.

“La difesa contro la Psa deve avvenire principalmente all’esterno dell’allevamento – afferma Silvio Zavattini, veterinario – perché si deve evitare a tutti i costi che il virus vi entri. Trasporti, persone esterne alla porcilaia che potrebbero veicolare l’agente infettante con le scarpe, mangimi inquinati e semilavorati alimentari che potrebbero arrivare con gli autotrasportatori devono essere opportunamente attenzionati. I veterinari sono molto impegnati nella formazione degli allevatori e del personale aziendale; se, com’è giusto che sia, non possiamo incidere sul management possiamo però essere una presenza costante e di supporto capace di accompagnare gli allevatori verso una sempre maggiore consapevolezza delle misure da adottare, dimostrando con i fatti la fondatezza di comportamenti corretti, i soli in grado in questo momento di tenere lontano dalle porcilaie lo spettro della peste suina africana”.

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