Effetti del Covid. Insalata, crolla l’export con la chiusura della ristorazione

VERONA Dalla prima alla seconda ondata Covid è l’insalata a perdere più terreno nel settore ortofrutta sull’onda dei lockdown.

Il prodotto di punta di molte aziende veronesi del settore, soprattutto nell’area che va da San Giovanni Lupatoto a Zevio, sta risentendo infatti pesantemente dei limiti imposti alla ristorazione, specie nei Paesi del Nord Europa, dove le insalate vengono utilizzate nei ristoranti per arricchire o guarnire i piatti.

«In primavera al macero 5 ettari di prodotto»

«Nella prima ondata del virus, durante il lockdown totale, il consumo del prodotto si è quasi azzerato – evidenzia Moreno Marcolungo, socio della società agricola Tu & Noi di Zevio, leader nel settore dell’ortofrutta associato a Confagricoltura Verona -. C’era stata infatti la caccia ai prodotti che si conservavano, come le mele, le arance e le verze, mentre l’insalata era rimasta sugli scaffali. Abbiamo buttato al macero 5 ettari di prodotto, soprattutto di mix salad colorata, composta da lollo verde, lollo rosso e foglia di quercia, che è il nostro prodotto di punta nell’export in Austria e Germania, ma anche in Danimarca e Polonia. In estate abbiamo avuto una buona ripresa con le vendite, ma in autunno è arrivata la seconda ondata e il lockdown nei Paesi del Nord, con la chiusura totale dei ristoranti, ci ha tagliato le gambe. Un tonfo di richieste e, di conseguenza, anche di prezzi».

La superficie investita a lattuga, nel Veronese, era nel 2019 di oltre 600 ettari, prima provincia veneta con il 40 per cento della produzione. Un prodotto che si coltiva sotto tunnel nelle aree agricole di san Giovanni Lupatoto, Zevio, Oppeano e Buttapietra, mentre nella Bassa l’insalata si coltiva anche a cielo aperto. Ma l’anno scorso, secondo i dati di Veneto Agricoltura, in tutta la regione si è registrato un calo di oltre il 5%.

Il mercato è fermo

«In un’ottica prudenziale, nell’autunno scorso abbiamo deciso di investire due terzi della produzione standard nei trapianti delle piantine – spiega Marcolungo, che è anche rappresentante della Op produttori ortofrutticoli del Garda -, ma abbiamo sbagliato. Avremmo dovuto trapiantare molto meno, dato che la pandemia è tornata più forte di prima e il mercato è fermo. Qualcosa riusciamo a vendere sul mercato italiano perché i nostri competitor pugliesi e campani hanno un prodotto più scadente del nostro, in questo momento, a causa delle temperature alte. Ma questo non basta a risollevare la situazione e tra venti giorni, se passa il freddo che ci sta consentendo di mantenere il prodotto, procederemo ai ritiri del mercato. La merce invenduta verrà consegnata al Banco alimentare, che la distribuirà gratuitamente alle famiglie bisognose. Ci auguriamo che con l’arrivo della primavera il virus morda il freno, in modo da attenuare le restrizioni. Noi continuiamo a programmare il lavoro e non ci fermiamo, nella speranza che il mercato, anche nei Paesi esteri, riparta».

Prospettive 2021 non rosee

«Il settore è in sofferenza – commenta Paolo Ferrarese, presidente di Confagricoltura Verona -,  anche a causa delle speculazioni di alcune catene della grande distribuzione che hanno messo in difficoltà i produttori. Il 2020 sappiamo tutti che cos’è stato, ma anche le prospettive per il 2021 non sono rosee, considerata la grande incertezza sull’andamento di questa pandemia. Anche dal punto politico non è detto che ci siano risposte, vista l’instabilità dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Cambiare ministro dell’agricoltura ogni anno e mezzo non permette all’agricoltura di fare programmi a lunga gittata”.

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