Produrre più cibo senza inquinare. Prof. Sonnino (Fidaf): Accelerare su genome editing, e agricoltura di precisione

ROMA – Le due crisi globali che si sono succedute, dapprima il Covid e ora il conflitto in Ucraina hanno scalfito alcune delle nostre certezze, ponendo in drammatica evidenza il tema della sicurezza alimentare.

Se da un lato, durante l’emergenza pandemica, il settore agroalimentare ha dimostrato eccezionali doti di resilienza continuando a garantire forniture regolari di cibo, dall’altro, lo shock dei mercati e degli approvvigionamenti generato dall’invasione russa ha fatto emergere tutta la fragilità dei sistemi alimentari europei, privi di riserve strategiche di alcune materie prime essenziali, e fortemente esposti verso i mercati terzi.

In questo contesto si è aperto un animato dibattito sull’ opportunità di rivedere l’attuale impianto delle politiche e comunitarie e, allo stesso tempo, hanno preso vigore le tesi di che vede nelle NBT (New breeding techniques) la via maestra per aumentare la produzione agricola rimanendo nel solco della sostenibilità ambientale tracciata dal Farm to Fork e dal Green deal.

Ne abbiamo parlato con il prof. Andrea Sonnino, Presidente della Fidaf – Federazione Italiana dottori in Scienze Agrarie e Forestali, in vista del Convegno “Sicurezza alimentare e Politiche agroalimentari” (a questo LINK) che si terrà a Roma il 27 aprile prossimo, organizzato dalla stessa Fidaf, in collaborazione con l’UNASA (Unione Nazionale delle Accademie per le Scienze Agrarie), la Società Geografica Italiana e la Presidenza della Commissione Agricoltura della Camera.

Professor Sonnino, abbiamo assistito in questi ultimi mesi ad un’impennata generalizzata dei prezzi delle materie prime anche agricole, esacerbata dallo scoppio del conflitto in Ucraina e dal cambiamento degli assetti geopolitici. Ci sono timori per gli approvvigionamenti alimentari in Italia, ora o nel prossimo futuro?

Non vedo al momento in Italia e in Europa dei rischi immediati di sicurezza alimentare. Il nostro Paese importa dai Paesi convolti dal conflitto alcuni punti percentuali di grano, mais, semi di girasole e non sarà difficile diversificare le fonti di approvvigionamento. Il problema sussiste in altre aree del globo come ad esempio il Nord Africa o i  Paesi a Sud del Sahel, molto dipendenti dalle derrate agricole dell’Ucraina.

In un mio editoriale di pochi giorni fa ho commentato un documento appena uscito del World Food Programme, che stima 44 milioni di persone in più sull’orlo della fame in 38 Paesi, come diretta conseguenza del conflitto. Il WFP parla senza mezzi termini di “una crisi sismica della fame che sta avviluppando il mondo in un momento di necessità senza precedenti”; siamo infatti di fronte agli effetti congiunti del cambiamento climatico, che sta minacciando severamente le produzioni agricole in molti Paesi, della pandemia di Covid-19 e adesso anche degli eventi bellici in atto nel granaio europeo, che minacciano la disponibilità nel mercato globale di varie derrate alimentari e di fertilizzanti. Ma quello che vorrei mettere in risalto è il fatto che queste crisi portano a galla questioni ineludibili che ci coinvolgono da vicino: ci sono derrate, materie prime ma anche presidi sanitari, come potevano essere le mascherine durante il 2020, la cui fornitura deve essere sempre e comunque assicurata. Ora l’Unione Europea ha da tempo abbandonato la costituzione di riserve strategiche di derrate alimentari, perché per 30 anni abbiamo pensato di aver risolto tutti i nostri problemi con la globalizzazione.

Professore, tra gli obiettivi originari della PAC c’è quello di garantire una stabile e abbondante disponibilità di alimenti a prezzi accessibili a tutti, mentre alcuni studi, tra cui ad esempio quello della prestigiosa Università di Wageningen, hanno messo in evidenza come l’applicazione integrale della Strategia Farm to Fork e Biodiversity porterebbe a una riduzione della produzione agroalimentare e a un incremento dei prezzi. Cosa ne pensa?

L’orientamento che sta adottando l’UE sui temi agricoli è una politica che penalizza la produzione a favore di veri o supposti miglioramenti dell’impatto ambientale della produzione di alimenti. In questo modo non facciamo che aumentare la dipendenza dalle importazioni dai Paesi extra Ue e spostare lontano da casa nostra il problema dell’inquinamento. La prima critica che abbiamo sempre mosso è che in questa maniera non si diminuisce l’impatto ambientale ma lo si esporta. In termini economici si chiama esportazione delle esternalità negative: invece di inquinare da noi inquiniamo in Argentina, Brasile, senza pensare che il mondo è uno solo e non è di certo diviso in compartimenti stagni. Per questo noi come Federazione Italiana Dottori in Agraria e Forestali abbiamo sin da subito criticato l’impronta che sta avendo l’Ue con il Farm to Fork  e il Green deal. La questione è inquinare di meno, non inquinare altrove.

Ma allora come si concilia la necessità di ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura e allo stesso tempo mantenere o aumentare la produzione agricola? Le nuove tecniche genomiche in agricoltura possono essere una risposta?

Ci sono tecnologie che permettono di migliorare la sostenibilità ambientale delle produzioni agricole riducendo il loro impatto sull’ambiente. Un esempio è sicuramente l’agricoltura di conservazione che utilizza pratiche agronomiche per migliorare il sequestro di carbonio da parte del suolo. Un secondo esempio è rappresentato dall’agricoltura di precisione, che attraverso l’impiego di sensoristica avanzata è in grado di calibrare gli interventi agronomici in base ai fabbisogni di ogni singola pianta, e quindi di ridurre la quantità di input, siano essi concimi, fertilizzanti, agrofarmaci o acqua. L’agricoltura di precisione sta portando grandissimi vantaggi a chi la applica, certo non sempre è applicabile facilmente da parte dei piccoli agricoltori.

Un’altra strada per un’agricoltura sostenibile passa attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie, quali quelle del Genome Editing, che possono permetterci di rinnovare il patrimonio varietale per renderlo più adatto alle sfide di un ambiente che cambia e di un’agricoltura che deve migliorare la sua impronta ambientale. Tutta l’agronomia si fonda sul principio che si deve adattare l’ambiente alle piante che vengono coltivate, la genetica è l’unica branca dell’agronomia che fa esattamente il contrario, e cioè adatta le piante all’ambiente, modificandone le caratteristiche.

Questo avviene sia con le tecniche tradizionali come gli incroci, sia con le tecniche più moderne quali la generazione di organismi geneticamente modificati e le tecnologie di nuova generazione come il genome editing. Il risultato è l’ottenimento di piante che necessitano di minori trattamenti, che sono maggiormente resistenti alle malattie, alle condizioni meteo avverse, alle infestazioni parassitarie e che richiedono pertanto un minore impiego della chimica, risultando più sostenibili per l’ambiente. L’attuale orientamento della Ue è tuttavia decisamente contrario a queste nuove acquisizioni, o in certi casi talmente incerto e confuso da scoraggiare gli investimenti in questo campo.

In effetti, la sentenza della Corte di giustizia europea del 2018 ha di fatto assimilato le nuove tecniche di genome editing ai ‘vecchi’ Ogm, che in Europa sono banditi. In cosa differiscono e perché la normativa dovrebbe essere rivista?

Il genome editing ha caratteristiche completamente diverse perché non si parla di trasferimenti di un gene da una specie all’altra, ma di correzione di un gene che è già dentro la pianta, con interventi mirati e precisi su piccole parti della sequenza di Dna.  Di fatto la modifica che si ottiene è del tutto analoga, o addirittura non distinguibile, da qualcosa che si sarebbe potuto ottenere per mutagenesi spontanea o tradizionale.

Peraltro, a differenza dagli Ogm, le piante che sono ottenute con genoma editing non sono facilmente tracciabili con un’analisi in laboratorio. Proprio per questo è importante che l’attuale normativa che vieta le tecniche genomiche di nuova generazione sia rivista, che cessi l’equiparazione con gli Ogm e che il genome editing venga normato, sottoponendo a controlli e analisi del rischio il singolo carattere ottenuto o modificato.

In Paesi come il Canada dove gli Ogm sono consentiti e disciplinati, questi controlli vengono operati sistematicamente. Personalmente sono a favore anche della revisione della legislazione sugli Ogm, anche perché in Italia abbiamo un grande controsenso. Faccio un esempio: importiamo grandi quantità di mais Bt, quello modificato per essere resistente alla piralide, il suo impiego per l’alimentazione animale è consentito anche dai disciplinari delle Dop, ma non possiamo produrlo.

 

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