Il florovivaismo italiano vale oltre 3 mld di euro. Cia, Serve una legge per lo sviluppo del settore

ROMA – Informare e formare i giovani sui numeri e sulle potenzialità del florovivaismo, un settore strategico dell’agricoltura Made in Italy non solo dal punto di vista economico, ma anche della sostenibilità. Perché, con gli effetti dei cambiamenti climatici da arginare, ci sarà sempre più bisogno del verde e di chi se ne occupa.

Ma per affrontare questa sfida, bisogna prima risolvere le criticità del settore, legate al taglio netto dei fitofarmaci richiesto dall’Ue, che lascerebbe le piante senza difesa in assenza di valide alternative già sul mercato; ai ritardi sul via libera alla legge nazionale in materia; all’impiego di substrati idonei per la coltivazione, su cui la ricerca non avanza e senza i quali il rischio che moltissime specie non possano più essere riprodotte è reale. Questi i punti chiave al centro del convegno organizzato a Roma, all’Auditorium Giuseppe Avolio, dall’associazione Florovivaisti Italiani di Cia.

Il comparto, nonostante le difficoltà per il rincaro dei costi di energia e materie prime, i danni causati dagli eventi estremi, le emergenze fitosanitarie, continua a crescere. Oggi vale 3,1 miliardi di euro, il 15% dell’intera produzione europea, e conta 200 mila addetti, 24 mila imprese e 30 mila ettari di terreno coltivati a piante e fiori. Un trend positivo, dunque, che ora può ulteriormente svilupparsi in questa fase di transizione ecologica. Come hanno ricordato i Florovivaisti Italiani, nell’attuazione del Green Deal, la Ue ha posto tra i suoi obiettivi quello di piantare fino a 3 miliardi di alberi entro il 2030, come parte fondamentale della soluzione al problema dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità. L’auspicio, quindi, è che, dopo molte buone intenzioni e buoni propositi, si assisterà a un aumento sempre più alto di piante per la mitigazione climatica e diventeranno fondamentali la forestazione urbana e il rinverdimento pubblico e privato. Basta pensare che un ettaro di foresta urbana è in grado di rimuovere in media 17 kg all’anno di polveri sottoli (PM10) e che le aree a verde permettono di contenere la temperatura dell’aria di 2-4° rispetto alle superfici urbane maggiormente impermeabilizzate.

“È chiaro, quindi, che occorre intercettare i nuovi bisogni e le attività in espansione -ha detto il presidente nazionale dei Florovivaisti Italiani, Aldo Alberto- supportando gli agricoltori nei nuovi percorsi di sviluppo, a partire dalle nuove generazioni, che sono il futuro del settore ma oggi rappresentano appena il 10% delle imprese agricole totali”. A un comparto che si candida, però, a produrre non solo le materie prime per l’agroalimentare italiano, ma anche a proteggere l’ambiente, limitare gli effetti del clima e fare presidio sociale ad esempio con i Giardini terapeutici, “serve un appoggio chiaro dalle istituzioni, a casa e in Europa -ha continuato Alberto-. In un momento chiave come questo, insomma, è necessario, da un lato, che la Ue accolga le richieste agricole di promuovere una politica più graduale, realista e gestibile sulla riduzione dei fitofarmaci al 2030, anche per permettere il contrasto immediato delle nuove avversità; dall’altro, è fondamentale non demonizzare fattori di produzione imprescindibili per l’ortofloricoltura, come la torba, così come riuscire finalmente ad avere, dopo tanti tentennamenti, una legge quadro nazionale di riferimento che valorizzi il settore”, soprattutto adesso che il Cdm ha approvato, in esame definitivo, il ddl di delega al Governo in materia.

Proprio sulla legge per il florovivaismo, è intervenuto anche il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini: “Al florovivaismo italiano occorre una legge che qualifiche il ruolo, caratterizzi i diversi attori della filiera, garantisca certezza di norme e risorse adeguate -ha ribadito nelle conclusioni- per rinnovare le aziende e renderle pienamente sostenibili sia economicamente che ambientalmente e consentirgli di svolgere il ruolo sociale necessario”.

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