GENOVA – «Il pescatore deve integrare, e molti lo stanno già facendo, la sua attività primaria con altri progetti che lo trasformino in un guardiano del mare» queste le parole di Gaetano Urzì storico pescatore e portavoce Presidio Slow Food della masculina da magghia nel Golfo di Catania, sono la sintesi perfetta di Slow Fish 2025, la manifestazione di Slow Food Italia dedicata agli ecosistemi acquatici e costieri che si è chiusa l’11 maggio al Porto Antico di Genova festeggiando i venti anni dalla prima edizione.
«La pesca attuale non garantisce più un reddito sostenibile, e questa situazione colpisce sia la grande pesca a strascico che vive di sovvenzioni sia quella artigianale – concorda Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia, tirando le somme di Slow Fish 2025 -. Il mestiere del pescatore deve essere diversificato, riconoscendogli anche il ruolo di tutela della biodiversità e di custodia degli ecosistemi». Ripensare a questo antico mestiere e cambiare le politiche che lo stanno governando: due fattori affiorati con prepotenza in questi giorni a Genova. «Fondamentale rendersi conto – prosegue Serena Milano – che tutto è connesso: dobbiamo pensare al mare a 360°, la politica deve agire come un unico sistema che tenga legati il mare, le coste e la terraferma».
Tra le fonti integrative di reddito, stanno emergendo sistemi ibridi come pescaturismo, allevamento di ostriche o mitili, vendita diretta del pescato, integrazione con attività turistiche a partire dalla ristorazione. Altre ancora guardano alla prima fascia costiera, dove l’attività del contadino e del pescatore si intersecano per valorizzare il territorio e i suoi prodotti. «Per far questo – continua Serena Milano – serve una politica più attenta, in grado di programmare, che da una parte agevoli chi vuole fare il pescatore e dall’altra lavori per il ripristino e la conservazione dell’ecosistema marino. Senza un impegno serio in tal senso, il settore pesca, che potrebbe per i giovani essere attrattivo se fosse adeguatamente qualificato, riconosciuto e sostenuto, è destinato a scomparire, e con esso un patrimonio economico e culturale della nostra penisola e di tutto il Mediterraneo. La crisi climatica, l’invasione delle specie aliene, l’inquinamento, il sovrasfruttamento degli stock ittici sono una miscela esplosiva e non bastano misure tampone, circoscritte a periodi di tempo e a singole aree: «In quest’ottica – puntualizza Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia – bisogna agire. Non servono opere faraoniche che stressano ancora di più il mare. Le specie invasive non sono la causa del problema, ma il sintomo. Sono arrivate perché hanno trovato un ecosistema già fragile, con acque sempre più calde e impoverite. Il nuovo mestiere del mare può reggersi solo grazie a politiche che tutelino davvero gli ecosistemi e sostengano la pesca, così come l’agricoltura, non pensando ai prossimi 5 anni, ma ai prossimi 5 secoli».
Naturalmente anche i consumatori devono essere protagonisti di questo cambiamento, adottando comportamenti più virtuosi e attenti e una maggiore consapevolezza negli acquisti: rispettare la stagionalità del pesce, le taglie minime, non concentrarsi più sulle solite specie, e dire basta al pesce di scarsa qualità e a basso costo, spesso presente in circuiti di ristorazione standardizzati.
«Slow Food Italia – conclude Barbara Nappini – ha sempre promosso il consumo di mitili, in quanto sono un alimento stagionale, gustoso e prodotto in modo sostenibile. È un esempio di cibo “pulito”, nel senso che non inquina l’ambiente e non utilizza chimica e antibiotici, al contrario di molti allevamenti intensivi di pesce. I mitili purificano l’acqua e sviluppando il loro guscio contribuiscono al sequestro di CO2 dall’atmosfera. Purtroppo oggi la crisi climatica sta mettendo a dura prova il settore e, nel giro di pochi anni, la situazione è diventata critica».
I pescatori del mosciolo selvatico di Portonovo, ad esempio, non hanno di che pescare: «Da anni assistiamo a una diminuzione della velocità di crescita e anche della disponibilità di risorse – racconta Edoardo Baleani, responsabile Slow Food Ancona e Conero e referente del Presidio che tutela questo mitile -. Le cause sono molteplici, ma la crisi climatica è probabilmente la più importante. Poi c’è il fenomeno della mucillagine, la mancanza di nutrienti nell’acqua, e ovviamente il fattore umano, a cui imputare prelievi eccessivi in determinati periodi. Le problematiche sono complesse, richiedono soluzioni articolate e necessitano di un monitoraggio puntuale. Nell’immediato l’unica azione possibile è prevedere periodi di fermo pesca, per dare modo ai moscioli di riprendersi e rigenerarsi. Ovviamente servono ristori adeguati per questi pescatori professionali, piccole realtà che oggi hanno bisogno del supporto delle istituzioni per sopravvivere. Una cosa sembra ormai chiara: vivere esclusivamente sulla pesca del mosciolo diventa sempre più difficile, e i pescatori devono iniziare a differenziare la propria attività. Quello che auspico è che si trovi un modello gestionale stabile che metta insieme tutte le competenze, quindi enti scientifici e pescatori, amministrazioni, capitaneria. Perché quello che stiamo vivendo è la nuova normalità».
La situazione non è migliore nello Spezzino: «La crisi climatica è alla base di tutti i problemi che abbiamo – afferma senza esitazione Nadia Maggioncalda, della Cooperativa Mitilicoltori Spezzini -. Il mare si sta scaldando, sempre di più, e mentre un tempo la stagione dei muscoli locali durava tre mesi, da giugno ad agosto, oggi agosto dobbiamo scordarcelo, perché le acque sono diventate troppo calde per la loro sopravvivenza. Come se non bastasse, nello Spezzino le orate di allevamento hanno sviluppato un enorme appetito per i nostri muscoli. Tutto questo è aggravato dal fatto che spesso non si tratta di orate autoctone, ma di orate atlantiche, che rispetto alle nostre sono più voraci, più aggressive, più grandi. Quando fuggono dagli allevamenti, non lasciano scampo ai nostri muscoli, che per di più, impiegando due anni per crescere e svilupparsi pienamente, sono esposti ai rischi per un periodo estremamente lungo».
Una crisi analoga a quella vissuta in Puglia, dove le alte temperature estive hanno colpito duramente l’attività dei mitilicoltori del Presidio Slow Food della cozza nera di Taranto, allevata nel Mar Piccolo, un’area protetta, riserva naturale, ma anche un ecosistema chiuso e particolarmente fragile.
«Abbiamo perso circa il 70% del seme, e questo ha compromesso non solo la produzione del 2025, ma anche quella del 2026 – spiega Luciano Carriero, referenti dei produttori del Presidio –. È stato un colpo durissimo, perché stiamo parlando di un mestiere che si tramanda di padre in figlio, un mestiere che non ci si può inventare da un giorno all’altro. Alleviamo un prodotto naturale, e la natura può dare come può togliere. Ma non ci arrendiamo, ci siamo rimboccati le maniche. Oggi, ci sono segnali positivi: il nuovo seme è nato, le temperature sono rimaste miti, e i mitilicoltori guardano al 2026 con fiducia. Oggi nel Presidio abbiamo 24 cooperative e centinaia di famiglie. Ma più di tutto, abbiamo una comunità viva, che lotta ogni giorno per difendere il suo mare e il suo lavoro».
Ed è proprio a Taranto, dal 13 al 15 giugno, il prossimo appuntamento da segnare in calendario: la seconda edizione di Mediterraneo Slow, un evento che celebra l’unicità della cultura mediterranea a partire dal cibo, per ricordarci che “veniamo tutti dal mare”.
«Eravamo soliti finire l’ultimo comunicato dell’evento – ricorda Daniele Buttignol, amministratore delegato di Slow Food Promozione – con un arrivederci a Genova nel 2027. Ma le difficoltà organizzative che abbiamo dovuto sostenere quest’anno ci impongono un confronto con le istituzioni, Regione Liguria e Comune di Genova in primis, e chi ha creduto in questa edizione della manifestazione per delinearne il futuro. Abbiamo voluto fare Slow Fish perché crediamo nei suoi contenuti e nell’attualità delle sue tematiche. Ringraziamo il Masaf per il grande supporto, la Camera di Commercio di Genova, la fondazione Carige, il Porto antico di Genova e l’Autorità portuale, storici e nuovi partner che hanno creduto nella nostra iniziativa come Pastificio Di Martino, Quality Beer Academy, Reale Mutua, BBBell, Banca d’Alba, Ricrea, Bormioli Luigi, San Bernardo, eViso e Amiu, e naturalmente le istituzioni regionali e gli espositori presenti. È grazie a loro se Slow Fish 2025 ha nuovamente arricchito il Porto di Genova per quattro giorni. L’ultimo grazie va al pubblico che con interesse, con partecipazione e gioia ha animato gli spazi e gli eventi di Slow Fish 2025».
Slow Fish 2025 è un evento organizzato da Slow Food Italia, con il patrocinio del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e della Regione Liguria e il sostegno di Fondazione Carige, della Camera di Commercio di Genova e di Liguria Gourmet. La manifestazione è resa possibile grazie anche ai Main Partner Banca d’Alba, BBBell, Pastificio Di Martino, QBA, Reale Mutua, Ricrea, agli In Kind Partner Bormioli Luigi, Porto Antico, Acqua S. Bernardo, al Green Partner AMIU. L’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale è Partner culturale.