L’aviaria è favorita dagli allevamenti intensivi. L’allarme di UCI

ROMA – “L’influenza aviaria non è soltanto un problema della fauna selvatica. È un campanello d’allarme che riguarda tutti noi. La salute degli animali e quella degli esseri umani sono strettamente connesse, e gli allevamenti intensivi rappresentano oggi il punto più critico di un sistema che ha smarrito equilibrio e visione.”

Con queste parole, Mario Serpillo, presidente dell’Unione Coltivatori Italiani (UCI), commenta l’allarme lanciato dalla FAO sulla diffusione globale del virus H5N1, e i dati emersi da una recente indagine giornalistica che fotografa la crescita esponenziale degli allevamenti intensivi in Italia.

Il nostro Paese è oggi terzo in Europa per numero di impianti intensivi avicoli e quinto per quelli suini, con oltre 2.100 strutture concentrate soprattutto nella Pianura Padana. Solo tra il 2014 e il 2023 sono state rilasciate oltre 500 nuove autorizzazioni. “Il modello intensivo – spiega Serpillo – ha risposto finora alla logica della produttività e del contenimento dei costi, ma sta mostrando tutti i suoi limiti. Abbiamo un’agricoltura che ha smesso di essere custode del territorio e della salute collettiva.”

Il legame tra allevamenti intensivi e crisi sanitarie è ormai evidente. Tra il 2024 e il 2025, in Italia, si sono registrati oltre 60 focolai di influenza aviaria con l’abbattimento di più di quattro milioni di capi. Il ceppo H5N1, altamente patogeno, ha già colpito non solo il pollame, ma anche bovini, volpi, foche e animali domestici, dimostrando una preoccupante capacità di adattamento ai mammiferi.

“Se non si interviene – prosegue Serpillo – continueremo ad assistere all’erosione della biodiversità, alla diffusione di zoonosi, al rischio di nuove pandemie. L’influenza aviaria ha già causato carenze alimentari, danni economici e impatti ambientali gravissimi. Non si tratta solo di benessere animale: si tratta di sicurezza alimentare, salute pubblica e responsabilità ecologica.”

Oltre all’emergenza sanitaria, c’è quella ambientale. Gli allevamenti intensivi contribuiscono fino al 17% delle emissioni totali dell’Unione Europea e sono tra le principali cause di inquinamento dell’aria e delle acque. Le province di Brescia, Verona e Forlì-Cesena, dove si concentra quasi il 40% degli impianti avicoli, sono oggi vere e proprie zone rosse per le emissioni.

“Il modello attuale – conclude Serpillo – non è più sostenibile. Se vogliamo davvero parlare di transizione ecologica, dobbiamo ripensare anche il modo in cui alleviamo e ci nutriamo: il benessere animale e ambientale, oltre al loro valore etico, sono precondizioni vitali per la nostra sicurezza alimentare e la nostra salute.”

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