FIRENZE – Sempre meno grano duro in campo, più varietà di frumento antiche, farro, orzo, legumi, girasole energetico e…lino da fibra da raccogliere. Gli agricoltori toscani riscoprono i grani del passato e scommettono su produzioni alternative per svincolarsi dalle speculazioni e dall’invasione di prodotto straniero che affonda i prezzi e riducono all’osso i margini.
La reazione è un cambiamento, spesso radicale, delle strategie dove la variabile climatica è sempre più decisiva: le colture storiche vengono sostituite con altre più remunerative, meno condizionate dalla schizofrenia del mercato e soprattutto blindate dai contratti di filiera che mettono al riparo le aziende da molti rischi.
Partita dalla maremma la trebbiatura del grano che dipinge un quadro in continua evoluzione per il granaio toscano che meno di venti anni ha perso metà delle superfici a grano duro: da 96 mila ettari del 2006 ai 43 mila del 2024. A dirlo sono Coldiretti Toscana e Consorzio Agrario del Tirreno e Consorzio Agrario di Siena che registrano una contrazione del 10% delle superfici destinate a grano duro, mentre grazie ai contratti di filiera che hanno incentivato la coltivazione di farro, favino, frumento tenero e girasole per la produzione di biodiesel e orzo rustico per la fiorente filiera della birra agricola ed altre colture si evidenzia un incremento del 30% rispetto allo scorso anno.
“La crisi dei cereali, e di molte produzioni agricole, si spiega semplicemente così: i costi superano i ricavi. – va dritta al nodo la presidente di Coldiretti Toscana, Letizia Cesani – Oggi, con la volatilità dei prezzi, le aziende non riescono a raggiungere nemmeno il pareggio. In un paese dove un piatto di pasta non manca mai in tavola verrebbe naturale pensare che questa sia una coltura importante: non è così. Nel 2023 le importazioni di grano canadese, per cui viene utilizzato glifosato nella fase di preraccolta, un erbicida cancerogeno, sono cresciute del 68%: un ulteriore scossone, in uno scenario già precario, che sta portando all’abbandono dei terreni e alla chiusura di molte aziende. Senza certezze gli agricoltori hanno poche alternative per le loro terre: lasciarle incolte ed improduttive, evitando così costi e rischi o sostituire ciò che seminano. Il compito di contratti di filiera è proprio questo: spingere la resilienza e favorire la diversificazione delle colture ancorandole ad una precisa domanda. Si coltiva e si produce ciò che richiede il mercato e paga meglio”. C’è poi il tema della reciprocità negli scambi tra paesi: “se importo grano turco a basso prezzo e di scarsa qualità, affondo i produttori italiani che, al contrario, rispettano tutta una serie di standard di sicurezza alimentare con conseguenti costi superiori. – spiega ancora la Cesani – Noi crediamo sia urgente applicare questo principio soprattutto per i cereali: chi vuole importare prodotti in EU deve rispettare le nostre stesse regole”.
Il termometro di questa transizione sono i contratti stipulati da Consorzi Agrari del Tirreno e Siena per conto di Consorzi Agrari d’Italia: nel 2025 le superfici vincolate agli accordi finalizzati a valorizzare le produzioni nazionali, garantire prezzi stabili e più giusti per gli agricoltori, favorire la tracciabilità e stabilizzare le forniture per i trasformatori e l’agro-industria, hanno superato i 13 mila ettari in Toscana – bio e non – tra grano duro e tenero, Senatore Cappelli, farro, colza, avena, favino. “I primi dati sulle caratteristiche del frumento, in questa fase iniziale, sono molto buoni sia come resa per ettaro che come qualità. Meno il prezzo che paga ancora una volta le incertezze internazionali. Lo strumento che come Consorzio abbiamo messo a disposizione delle imprese sono i contratti di filiera che, fin dal momento della semina, blindano un prezzo minimo garantito o stabilito assicurando gli agricoltori marginalità”. Le coltivazioni ancorate agli accordi rispondono a precise richieste del mercato come quella forte per il farro, il più antico tra i cereali, un tempo sostituito della pasta, oggi riscoperto nell’uso quotidiano per la sua duttilità e per i suoi benefici così come il cultivar rustico-popolare Senatore Cappelli o il luppolo.
Tra le vecchie-nuove coltivazioni che si stanno riaffacciando in Toscana c’è quella del lino da fibra per l’industria tessile sempre più alla ricerca di prodotti naturali, sostenibili e soprattutto di qualità. A Prato, una storica aziende di cerealicoltori, ha decuplicato i terreni impegnati per questa coltura passando da pochi ettari ad oltre cinquanta in appena quattro anni. “Zero rischi, costi di produzione bassi e margini elevati: è una produzione destinata a crescere nei prossimi anni: spiega Fabio Boretti della Boretti & C”.