ROMA – “Questi dati offrono una nuova rappresentazione della montagna italiana che smette di fare questua, di chiedere assistenza, di perdersi nelle solitudini e nel rancore. Anche l’agricoltura, come turismo ed Enti locali vincono nel “noi” dimenticando l’Io del campanile, inutile e dannoso se non sa lavorare insieme”.
Marco Bussone, presidente nazionale dell’Uncem (Unione delle comunità montane), commenta così il report che mette in luce come la filiera agricola produce in media il 16% del valore aggiunto dell’economia montana italiana. Per un sesto delle 387 Comunità territoriali l’incidenza economica della filiera sul Pil totale dell’area supera il 25%.
Numeri importanti che, però, sono determinati da una situazione complessa che vede da una parte la riduzione media della SAU del 14,3%, con perdite particolarmente accentuate in larga parte dell’arco alpino. Dall’altra parte “aumentano – e non è un bene – le foreste in Italia che si mangiano prato pascolo e spazi agricoli e si estendono sul 54,8 per cento delle aree montane. Ecco perché Bruxelles – prosegue Bussone – deve varare una Politica agricola meno di ‘di pianura’, più montana e più giusta”. Dal suo punto di vista sarebbe necessario evitare di perdersi dietro a “regole folli come quella sul latte crudo e sugli Stec che minerebbero migliaia di imprese e produzioni di altissima qualità e anche la biodiversità”.
Vadena e Terre d’Adige in Trentino, area Ingauna in Liguria, e Collio in Friuli-Venezia Giulia sono le quattro aree con maggiore densità di imprese agricole. Quattro aree del Trentino (Verano, Vadena, Val di Non, Val Venosta) guidano la classifica per valore aggiunto della filiera agricola. Aree montane della Locride (Calabria), del Collio (Friuli-Venezia Giulia), la Langa Astigiana Val Bormida in Piemonte e la Bassa Valle del Tirso e Grighine registrano la più alta incidenza della filiera agricola sul Pil. Nella zona montana della Penisola Amalfitana, nella Carnia (FVG), nelle montagne lombarde del Lario Intelvese e della Valtellina di Morbegno e nelle Dolomiti Friulane Cavallo e Cansiglio si registrano significative crescite dalla superficie agricola utilizzabile. L’area montana del Lago d’Orta in Piemonte, invece, perde il 68% di Sau mentre cali significativi si registrano nella zona appenninica della Versilia, in Alta Valle Camonica (Lombardia), nell’Appennino Pistoiese (Toscana), nella Valgrande e nell’area montana del Lago di Mergozzo (Piemonte). Nella zona montana toscana della Val di Bisenzio, nelle aree appenniniche ligure dell’Alta Val Trebbia e dell’Alta Val d’Aveto, nella zona piemontese del Lago d’Orta, e nell’Appennino Pistoiese la superficie forestale arriva al 90 per cento.
Che fare, allora? “Se il bosco aumenta, va tagliato secondo piani di gestione che considerino che dove c’era suolo agricolo la conversione sia possibile senza pagare migliaia di euro per ettaro”. E poi facilitare la nascita delle Associazioni Fondiarie: “Le Asfo, insieme a Cooperative di Comunità e Green Community, nate negli ultimi otto anni per combattere la parcellizzazione fondiaria (siamo a oltre 60 per circa 8500 ettari riuniti) generano aggregazione e superano l’abbandono, che – conclude Bussone – nelle aree montane è una delle emergenze più forti del consumo di suolo”.