Riso, Cia: Italia leader in Ue. Ma servono regole più eque per difendere il futuro 

ROMA – L’Italia domina la risicoltura europea con oltre la metà della produzione totale, ma oggi il settore è sotto pressione e chiede a Governo e Bruxelles misure concrete per difendere qualità, reddito e futuro della filiera.

Quattro le azioni chiave: dazi aggiornati e non più fermi al 2004; una clausola di salvaguardia automatica e snella contro le importazioni incontrollate; rispetto reale del principio di reciprocità in tutti gli scambi commerciali; una Pac più vicina alle imprese e capace di sostenere davvero chi produce.

Lo ha detto il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, intervenendo a RISÒ, il Festival Internazionale del Riso a Vercelli, in occasione del convegno “The future of EU rice sector: a common strategy” organizzato da Masaf ed Ente Risi alla presenza di ministri e delegati di Spagna, Grecia, Portogallo, Francia, Malta, Romania, Bulgaria, Ungheria.

“Con 226 mila ettari coltivati nel 2024 e una produzione da 1,4 milioni di tonnellate, concentrate per il 90% tra Piemonte e Lombardia, l’Italia mantiene di gran lunga la leadership europea. Per questo – ha spiegato Fini – è importante che proprio da qui, e con il nostro Paese capofila, parta un confronto più ampio per costruire una strategia veramente unitaria sul riso, tanto più davanti a sfide come i cambiamenti climatici e dinamiche di mercato globali sempre più complesse”.

Alla vigilia del nuovo raccolto, infatti, “i nostri risicoltori affrontano una stagione segnata dall’aumento dei costi di produzione e da listini bassi -ha continuato il presidente di Cia- aggravata dall’import da Paesi terzi (+17%), dal calo dell’export, dall’inflazione che frena i consumi anche nei mercati principali come Germania, Regno Unito e Francia. Ulteriori problemi arrivano anche dalle politiche green Ue, severe e poco realistiche in primis sui fitofarmaci”.

In questo scenario, le politiche commerciali finiscono per mettere il carico da novanta sul settore. Da una parte “i dazi Usa rischiano di penalizzare i risi di fascia alta come quelli da risotto, mentre il trattato con il Mercosur potrebbe introdurre fino a 60.000 tonnellate di riso coltivato con fitofarmaci da anni vietati in Europa – ha evidenziato Fini -. Le continue aperture ad aree di libero scambio, non ultima quella prevista con l’India, così come i vecchi accordi a dazio zero con i Paesi EBA come Cambogia e Myanmar, stanno trasformando sempre più spesso il riso europeo da coltura d’eccellenza a semplice commodity sacrificabile”.

Davanti a tutto questo, “la clausola di salvaguardia, così com’è, si conferma uno strumento lento, burocratico e inefficace – ha continuato Fini -. Come Cia da tempo sosteniamo, insieme all’intera filiera europea, l’introduzione di un nuovo meccanismo, rapido e snello, di salvaguardia automatica di un prodotto sensibile come il riso”. Allo stesso tempo, per non lasciare indifesi gli agricoltori, “Cia ribadisce la necessità di accordi internazionali basati davvero sulla reciprocità, ovvero sul rispetto degli stessi standard produttivi, ambientali e sociali” e “l’importanza di una Pac non ridimensionata nel budget e nell’autonomia, ma forte e innovativa” capace di “investire anche nelle TEA, per rendere il comparto ancora più sostenibile e resistente a climate change e malattie”.

“Non è protezionismo, ma difesa da concorrenza sleale e scelte politiche miopi -ha concluso Fini-. Il futuro della risicoltura dipende dalla capacità dell’Europa di difendere le nostre produzioni, garantire regole eque e strumenti efficaci, valorizzare la qualità. Il riso è economia, cultura, paesaggio e biodiversità, non possiamo permetterci di sacrificarlo”.

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