Nuovo stop per la bufala. Controlli sulle aziende campane

Mozzarella sì, anzi, mozzarella no. Non si scioglie il dilemma sulla commercializzazione di una delle punte di eccellenza della gastronomia italiana. Dopo l’ok di Bruxelles arriva un nuovo stop che suona di dietrofront per la bufala campana. Il latte e la mozzarella di bufala, infatti, non saranno in vendita per almeno dieci giorni. A deciderlo l’attuazione del piano di controlli predisposto dal ministero della salute che sarà illustrato proprio oggi a Roma ai produttori e allevatori in un incontro che si preannuncia infuocato. Un atto spiacevole ma fondamentale per riacquistare fiducia nei mercati rispetto alle misure prese dal Governo, una nuova tegola per produttori e allevatori inferociti perché colpisce tutti, buoni e cattivi indistintamente.

I controlli – Il piano è stato predisposto in accordo con Bruxelles che ieri, così come ha fatto l’ambasciatore italiano in Cina, Riccardo Sessa, ha chiesto a Pechino di rimuovere il divieto di importazione della mozzarella. Nell’accordo che il governo italiano ha fatto con Bruxelles si stabilisce che, dalla prossima settimana, ciascuna delle circa 400 aziende delle province di Caserta, Avellino e Napoli e le 210 fra Benevento e Salerno non potrà commercializzare il latte e la mozzarella di bufala durante il periodo(dieci giorni) nel quale sarà esaminato il campione di prodotto. L’azienda potrà tornare a vendere i propri prodotti appena giungeranno i risultati dei test che accerteranno l’assenza di diossina. Entro la metà di aprile i risultati delle analisi delle prime 400 aziende saranno messi a disposizione della commissione europea. Gli ulteriori controlli alle rimanenti 210 aziende saranno comunicati a Bruxelles entro il 25 aprile.

La preoccupazione di produttori – Produttori e allevatori non ci stanno e annunciano battaglia. Si sentono penalizzati da questo ‘stop’ seppur momentaneo, quantificano i danni in circa due milioni di euro al giorno e annunciano ricorsi. “Se l’obiettivo dei ministri era bloccare la psicosi – hanno reagito ieri i responsabili di Confagricoltura, Cia e Coldiretti – adesso il rischio è solo quello di far pagare alle aziende un prezzo altissimo che peraltro non servirà a raggiungere lo scopo”. Si è spinto oltre Giuseppe Corona, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori della Campania: “Questo blocco non ha fondamento giuridico – ha detto – perché quello che si chiede è che aziende sane paghino un prezzo economico altissimo a prescindere dalla loro storia e dal rispetto delle regole”.  Del resto nessuno tra i produttori crede che in solo 10 – 15 giorni si possano portare a termine le analisi. E quindi il solo rischio di fermarsi per 40 – 50 giorni tiene col fiato sospeso l’intera filiera.

Via il divieto cinese – La richiesta di rimuovere il blocco è stata fatta ieri dall’ambasciatore italiano a Pechino, Riccardo Sessa in una lettera inviata all’Administration of Quality Supervision Inspection and Quarantine(Aqsiq). L’ambasciatore ha fornito una serie di spiegazioni sulla vicenda, affermando che, alla luce dei fatti, il provvedimento dell’autorità cinese risulta "inspiegabile". Lo stesso messaggio è stato affidato ai consolati generali d’Italia a Shanghai e Guangzhou(Canton), mentre a Pechino i funzionari dell’Istituto per il commercio Estero(Ice) hanno affiancato il personale dell’ambasciata negli incontri con gli interlocutori cinesi.

Cristiano Pellegrini

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