Il made in Italy è sotto attacco, così Massimo D’Alema, ministro degli esteri, aveva chiosato sulla vicenda “bufalesca” delle bufale campane. Non si è fatto in tempo a riprendere fiato (grazie anche ai buoni uffici del ministro Paolo De Castro) che eccoti un’altra tegola per il sistema agroalimentare italiano: il Brunello non è Brunello ma Brunellò, con accento sulla o. Insomma, è tarocco perché anziché essere fatto solamente con Sangiovese grosso (come aveva prescritto alle fine dell’’800 il garibaldino Ferruccio Biondi Santi) sarebbe mischiato con uve francesi, Merlot e Cabernet Sauvignon, per agevolarne la morbidezza. Il prodotto d’eccellenza del nostro paniere alimentare di qualità, il simbolo stesso del vino nel mondo (con l’invidia legittima di altri storici vini blasonati) non è quello che dice di essere. Chi lo stabilisce? Per adesso nessuno. Lo suppone la magistratura e la guardia di finanza che, nelle settimane che precedevano il Vinitaly, l’evento mediatico più importante per il settore, si sono attivati per svolgere accurate indagini negli uffici amministrativi, ma anche nelle cantine e perfino nelle vigne di storiche e prestigiose aziende quali Argiano, Frescobaldi, Antinori, Banfi. A quest’ultima (che ha inventato il Brunello moderno, come racconta nel suo interessante libro Ezio Rivella, presentato proprio a Verona) sono addirittura state sequestrate 600mila bottiglie di Brunello 2003 e 10 vigneti. Accusa: frode commerciale per mancato rispetto del disciplinare. Risultato: danno di immagine incalcolabile e danno economico gravissimo. Non solo per le aziende e gli uomini coinvolti ma per tutto il mondo del vino italiano. Ma poco importa, si dirà, la giustizia trionferà. Ah si, e quando? Ci permettiamo di domandare, conoscendo i tempi della nostra giustizia. E intuendo anche la difficoltà per un magistrato di dimostrare che in quella bottiglia c’è odor di Francia e non solo frutto della terra di Montalcino. Nel frattempo le conseguenze dirette e indirette potrebbero non essere più recuperabili da nessuno. E il vantaggio sul mercato internazionale che otterranno già da questo Vinitaly gli altri paesi concorrenti (la stessa Francia, l’Australia ma anche Cile e Sud Africa), che non hanno disciplinari da rispettare né controlli severi come in Italia, sarà difficile da recuperare. Il made in Italy forse non è sotto attacco perché l’Italia riesce a farsi da male da sola. Che tristezza.
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