Agricoltura: anche il 2010 sarà un “anno nero”

Anche il 2010 sarà “un anno nero” per l’agricoltura italiana. Dopo i dati fortemente negativi registrati nel 2009, s’annuncia, infatti, un calo della produzione (meno 2,1 per cento) e del valore aggiunto in flessione (meno 2,5-3 per cento), con i prezzi all’origine in frenata (meno 4/5 per cento) e costi (produttivi, contributivi e burocratici) in ulteriore crescita (più 4,5 per cento), mentre i redditi degli agricoltori dovrebbero subire un nuovo “taglio”, ma certamente meno drastico (tra il 6 e il 7 per cento) rispetto ai precedenti dodici mesi, quando si è avuta una flessione di circa il 21 per cento. Export in crescita (più 3,3 per cento in valore) e import in lieve rallentamento: e così il disavanzo della bilancia commerciale agroalimentare dovrebbe ridursi notevolmente (meno 24 per cento in volume e meno 10 per cento in valore). Per quanto riguarda, invece, i consumi alimentari domestici, dovrebbero rimanere al palo (più 0,1 per cento). Sono queste le prime stime dell’annata agraria in corso compiute dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori sulla base delle ultime analisi dell’Ismea e presentate in occasione della quarta Conferenza economica di Lecce.

 

Le cause – Il calo produttivo -sottolinea la Cia- è dovuto soprattutto dalla contrazione delle coltivazioni (meno 3,2 per cento). Stabile, al contrario, dovrebbe essere l’andamento del settore zootecnico. In discesa dovrebbero risultare, in particolare, il comparto dei cereali e quello ortofrutticolo (trainato in special modo dal pomodoro da industria e dalla frutta estiva). Il risultato totale non dovrebbe, tuttavia, toccare i livelli negativi del 2009 (meno 2,7 per cento).

In difficoltà, anche se meno rispetto allo scorso anno, il fronte dei prezzi praticati sui campi. Nel 2009 -ricorda la Cia- si registrò una diminuzione di circa il 14 per cento. Il 2010 dovrebbe chiudersi con un “rosso” meno appariscente. Stesso discorso per i costi che nello scorso anno hanno segnato una crescita superiore al 12 per cento. E’ previsto un aumento più contenuto, anche se gli oneri sociali (anche a causa della fine della fiscalizzazione) sono destinati a pesare in maniera evidente sulla gestione delle imprese, in particolare quelle delle aree montane e svantaggiate che assumono manodopera. Sulla spesa dei fattori produttivi, comunque, peserà l’abolizione del “bonus gasolio”.

 

 

Altri dati – Per quanto riguarda i consumi domestici, dopo il lieve incremento tendenziale del primo trimestre 2010 (più 0,8 per cento), le stime dell’Ismea -ribadisce la Cia- indicano per il periodo aprile-giugno una battuta d’arresto (meno 0,6 per cento). Pertanto, per il primo semestre 2010, si stimano consumi domestici stabili, mentre la spesa continua a diminuire a causa anche della riduzione dei prezzi al consumo (meno 3 per cento la variazione media riferita al primo semestre del 2010).

Il dato complessivo sui volumi di acquisto -come avverte l’Ismea nel suo ultimo rapporto- nasconde, tuttavia, al suo interno, dinamiche molto differenti da settore a settore. Innanzitutto, la stagnazione dei consumi domestici nei primi sei mesi del 2010 riguarderebbe, di fatto, solo alcuni dei principali aggregati: derivati dei cereali, carni suine e salumi, frutta e agrumi. Appaiono in flessione, invece, i consumi di prodotti ittici, vini e spumanti e carni bovine; all’opposto, risulterebbero in crescita latte e derivati, ortaggi e patate, olio di oliva e carni avicole.

Tra i derivati del frumento (più 0,2 per cento nel primo semestre 2010), continua la flessione dei consumi domestici di pasta (meno 3,6 per cento) e pane (meno 2,4 per cento), nonostante il calo dei prezzi nel primo caso e l’ulteriore crescita dei prezzi nel secondo caso. La frutta fresca ha, dal canto suo, registrato una flessione dei volumi di acquisto (meno 1,5 per cento nei primi sei mesi dell’anno) e la concomitante riduzione dei prezzi medi al consumo ha provocato un’accentuata flessione della spesa (meno 11,5 per cento).

 

 

Previsioni future incerte – Nel 2010 è previsto un calo (meno 3,5 per cento) degli investimenti imprenditoriali e il numero delle aziende dovrebbe segnare una nuova flessione: oltre 50 mila in meno rispetto al 2009, con una contrazione del 2,4 per cento. Un quadro allarmante al quale si aggiunge il fatto che dal 2000 hanno chiuso i battenti più di 500 mila imprese. Non basta. Solo 112 realtà imprenditoriali hanno un conduttore giovane, il 6,6 per cento del totale. Il che significa che nell’agricoltura italiana non vi è ricambio generazionale: soltanto il 16 per cento delle nuove aziende è guidato da un giovane e solo nel 2,3 per cento delle aziende storiche è subentrato un giovane nella conduzione.

 

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