Indicazioni geografiche. Vera tutela solo con accordi internazionali. De Castro: ma in Europa è tema che interessa solo 5-6 paesi su 28

«Dop e Ipg rappresentano un asset importante, con un valore superiore ai 15 miliardi di euro. Produzioni in gran parte esportate, e quindi è fondamentale riuscire a crescere da questo punto di vista, trovare le strade migliori per la promozione, lavorare sulla certificazione. Penso ad esempio alle modifiche dei disciplinari di produzione, tema molto sentito dai nostri Consorzi. Non si può perdere lo stesso tempo per modificare il disciplinare del Parmigiano Reggiano o del Grana Padano rispetto ad un disciplinare di piccole denominazioni che magari hanno un mercato solo locale. Dobbiamo creare i meccanismi che semplifichino e che non intoppino a livello burocratico, anche con i molti cambiamenti, alcuni dei quali potrebbero essere risolti a livello nazionale».

Paolo De Castro, primo vice presidente della Commissione Agricoltura e sviluppo rurale
Parlamento Europeo, anche in qualità di presidente del Comitato scientifico di Qualivia sarà presente a Siena, martedì 5 febbraio al Kickoff meeting di Qualivita in cui si parlerà di in cui si farà il punto sulle indicazioni geografiche e sulle opportunità di crescita del sistema delle denominazioni.

Ad agricultura.it anticipa alcuni temi dell’evento senese: «Sarò presente – aggiunge De Castro – per cercare di stimolare il dibattito. E’ molto importante che si riesca a fare il punto della situazione non solo di carattere normativo, ma anche dal punto di vista del mercato. Molti, come ricordato, i temi da affrontare: mi auguro che il 5 febbraio sia anche il momento per fare accordi con altri paesi che come noi vedono nelle produzioni a denominazione di origine un interessante e importante sviluppo culturale e produttivo».

Le indicazioni geografiche valgono 15,2 miliardi di euro. Ma fuori dall’Europa mancano le tutele che i Consorzi chiedono. Cosa si può fare?  «A livello europeo per quanto riguarda le Dop e Igp, abbiamo rafforzato la tutela in maniera molto forte grazie al Pacchetto Qualità approvato la scorsa legislatura in cui avevamo introdotto il principio secondo il quale è lo stato membro che deve intervenire quando c’è la contraffazione sullo scaffale e non è il singolo produttore che deve fare la denuncia. Quindi fine dei prodotti imitati, come il parmesan, il regianito o il Daniele Ham, quindi finita tutta questa storia dentro i confini europei grazie a norme molto più severe che ci tutelano. Fuori dall’Europa il terreno è invece completamente aperto perché le regole europee, ovviamente non valgono, e sono poche le possibilità di tutelare le nostre produzioni che non hanno un copyright e non hanno una garanzia di marchio internazionale, se si eccettua qualche eccezione del mondo del vino e il Parmigiano Reggiano che ha avviato una serie di registrazioni del marchio in vario paesi. L’unica soluzione per tutelare i prodotti Dop e Igp al di fuori dell’Europa sono gli accordi internazionali, che non sempre riescono ma sono l’unica strada per poter estendere la tutela. L’Europa è riuscita a farlo in alcuni accordi, in altri accordi meno, noi siamo stati molto critici per non essere riusciti ad estendere la tutela ad esempio negli stati di America Latina.  Comunque sia, questa resta l’unica strada. Ricordandosi sempre che il tema delle denominazioni geografiche è molto importante per noi ma non lo è per tutti i 28 stati membri, perché l’80 per cento di queste produzioni si trova in Italia, Francia, Spagna, Grecia, Portogallo e poco più. Pe cui lavorare ad accordi internazionali per una tutela delle produzioni europee, può sembrare una partita facile a dirsi ma non sempre facile a farsi».

Pratiche commerciali sleali, l’accordo nelle scorse settimane. Che risultato è stato? «Un risultato molto importante e siamo riusciti a ottenerlo dopo appena otto mesi di trattative dalla presentazione della proposta da parte del commissario Phil Hogan. Inoltre, abbiamo moltiplicato per sette il perimetro di applicazione della direttiva che in realtà supererà anche le frontiere europee. Infatti, le nuove regole dovranno essere rispettate anche dagli acquirenti di prodotti agroalimentari che hanno sede legale nei Paesi terzi. Senza dimenticare il florovivaismo, la mangimistica, il tabacco e il cotone che ora saranno protetti come tutti gli altri prodotti alimentari e agricoli. Cosa cambia? Ad esempio i contratti poi tra fornitori e acquirenti dovranno essere scritti e chi subisce ingiustizie potrà denunciarle personalmente o tramite le associazioni mantenendo l’anonimato. L’acquirente non potrà avviare ritorsioni commerciali mentre l’autorità legale di contrasto avrà l’obbligo di agire in tempi certi.

Pac post 2020, quali sono le prossime tappe? «Intanto abbiamo la scadenza elettorale del maggio 2019. La Pac così come è stata presentata da Hogan non troverà conclusione in questa legislatura; quindi i dibattiti vanno avanti, e dubito che ci si sarà un voto in aula. Probabilmente avremo un voto in Commissione, ma purtroppo i tempi ristretti non ci consentono di fare un dibattito approfondito visto anche l’impatto che genera la proposta del Commissario -, che è una proposta abbastanza forte, una sorta di nazionalizzazione della Pac -, in cui viene data maggiore potere agli stati membri. Mi piace la flessibilità, ma una cosa è la flessibilità e la sussidiarietà, altra cosa è dare agli Stati membri la possibilità di ridisegnare le modalità applicative. Riteniamo che si debba mantenere una regia europea uguale per tutte per evitare distorsioni e rischi di competizione non leale fra i vari paesi europei. Ci sono molti dettagli da affrontare, io da solo ho presentato trecento emendamenti per cui c’è tanto da discutere e da dire, se avremo il tempo di farlo perché la attuale Pac verrà prorogata di almeno uno-due anni per consentire che questo dibattito abbia luogo e che si possa arrivare poi ad un accordo. Ma questo avverrà nella prossima legislatura».

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