Zootecnia. 38.000 euro al mese di energia per alimentare un allevamento. In Veneto Confagricoltura fa i conti

VERONA – Dodici euro in media per un chilo di carne, 2,5 euro per un litro di latte, 8 euro per un chilo di albicocche. Sono i prezzi che dovrebbero costare questi prodotti, secondo una stima di Confagricoltura, per garantire una giusta retribuzione alla filiera agroalimentare. Prezzi impossibili, che il consumatore non si potrebbe mai permettere. Ma con i rincari attuali i produttori lavorano in perdita e anche le famiglie sono comunque in difficoltà, perché i continui aumenti costringono ad alleggerire il carrello della spesa  per far tornare i conti.

“Sono arrivate le bollette dell’energia elettrica e sono la mazzata di Ferragosto, tanto per non farci mancare niente quest’anno – dice Michele Barbetta, presidente degli allevamenti avicoli di Confagricoltura Veneto e allevatore di Carceri, provincia di Padova -. Io ho un conto di 38.000 euro da pagare per un mese, e la cosa incredibile è che la mia azienda è coperta pure da fotovoltaico. Con il caldo africano di questi mesi noi allevatori abbiamo dovuto far andare al massimo i ventilatori nelle stalle per garantire il benessere agli animali. Nell’estate 2021 la quota energia, in bolletta, si pagava 8-10 centesimi a kilowatt, adesso stiamo parlando di 53. Un aumento del 500%. Non ce la facciamo più ad andare avanti, le spese stanno superando in maniera abnorme i guadagni. Il gasolio è andato alle stelle. Il prezzo dei fertilizzanti è aumentato del 130%, i mangimi pure. E i nostri consulenti prevedono ulteriori aumenti in autunno e inverno per la crisi delle materie prime, l’inflazione e la guerra”.

A fronte di simili rincari, anche i prezzi dovrebbero essere ritoccati di parecchio per riequilibrare le retribuzioni lungo la filiera. Il latte, che alla fine del 2021 era stato portato a 42 centesimi al litro, dovrebbe essere pagato 80 centesimi agli allevatori per coprire le spese. Così sugli scaffali un brik potrebbe arrivare a costare 2,50 euro. E la carne? Oggi in media un chilo costa 8 euro, ma servirebbe un ritocco in su almeno del 50% per ristabilire gli equilibri. La frutta? Dovrebbe costare da 8 a 10 euro al chilo.

“In realtà non si può rincarare così i prezzi, perché va garantito il potere d’acquisto delle famiglie – dice Barbetta -. A rimetterci, però, è il primo anello della catena produttiva, cioè gli agricoltori, che non riescono a scaricare in alcun modo gli aumenti che stanno subendo. La grande distribuzione, invece, riesce a fare sempre benissimo i propri conti, perché mantiene bassa la nostra remunerazione, ma sugli scaffali ritocca i cartellini. Quindi alla grande distribuzione diciamo: dateci 10 centesimi in più, basterebbero a noi per avere un minimo guadagno e per voi sarebbe un esborso ininfluente. Se così non sarà, l’inverno prossimo assisteremo a un bagno di sangue: tante aziende si fermeranno per mancanza di remunerazione”.

Il conflitto in Ucraina ha aggravato la situazione relativa ai prezzi dei cereali, degli oli vegetali, dei fertilizzanti e dei carburanti. La siccità e il caldo di questa torrida estate 2022 hanno aggiunto sofferenza a sofferenza,  riducendo in maniera pesante le produzioni (-30% di grano, -50% di mais) e appesantendo i costi dell’energia elettrica e dell’acqua per irrigare i campi. “Alcuni distributori ci chiedono fidejussioni per fare i contratti, tanto è instabile il mercato. È una situazione esplosiva, ormai insostenibile”, chiude Barbetta.

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