Osservatorio Food Sustainability PoliMi: Dall’innovazione la risposta alla crisi alimentare, 2527 startup agrifood sostenibili nel mondo

MILANO – Ci troviamo di fronte ad una vera e propria crisi alimentare. Secondo le ultime previsioni della FAO, il livello di insicurezza alimentare globale, che nel 2021 ha raggiunto 828 milioni di persone che soffrono la fame e altri 2,3 miliardi di persone in stato di moderata o severa insicurezza alimentare, è destinato a peggiorare ulteriormente a causa degli effetti della pandemia, degli eventi climatici estremi e della guerra in Ucraina. In Italia nel triennio 2019-21 il 6,3% della popolazione ha avuto problemi di accesso al cibo e la situazione si è aggravata. Le risposte alla crisi e alle sfide epocali del settore agroalimentare si attendono in primo luogo dai decisori politici. Un ruolo importante è giocato anche dalle collaborazioni cross-settoriali tra enti pubblici locali e settore privato (profit e non profit). Al contempo le imprese rafforzano i propri sforzi di innovazione per introdurre soluzioni nuove alle sfide di sostenibilità del settore.

Di 7.337 startup agrifood censite nel quinquennio tra il 2017 e il 2021 a livello mondiale, il 34% (2.527 startup) persegue uno o più degli obiettivi di sviluppo sostenibile inclusi nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Le soluzioni sviluppate dalle startup agrifood mirano innanzitutto a ottimizzare l’utilizzo delle risorse (SDG 12 target 12.2, 30%); inoltre, promuovono la tutela degli ecosistemi terresti e d’acqua dolce (SDG 15 target 15.1, 21%). A seguire, le startup investono su soluzioni per sensibilizzare e incentivare l’adozione di stili di vita e pratiche sostenibili (SDG 12 target 12.8, 17%), aumentare la produttività e la capacità di resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (SDG 2 target 2.4, 17%) e favorire il turismo sostenibile e le produzioni locali (SDG 8 target 8.9, 16%). In misura più modesta le giovani imprese puntano a tutelare i piccoli produttori (SDG 2 target 2.3, 12%), ridurre eccedenze e sprechi alimentari lungo la filiera (SDG 12 target 12.3, 11%), assicurare il lavoro a tutti e una remunerazione equa (SDG 8 target 8.5, 8%) e promuovere l’uso efficiente e accesso equo alle risorse idriche (SDG 6 target 6.4, 7%).

Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi durante il convegno “Sicurezza alimentare e sostenibilità della filiera agrifood: a che punto siamo?”

“La crisi alimentare va affrontata azionando molte leve – spiega Raffaella Cagliano, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability. Una risposta fondamentale viene dagli accordi tra Paesi per salvaguardare una fornitura adeguata ed equa di prodotti alimentari, insieme alle politiche di Commissione Europea e governi nazionali per rafforzare sicurezza, resilienza e sostenibilità dei sistemi agroalimentari. Altre misure devono essere prese da governi locali e nazionali in partnership con le organizzazioni non profit per mitigare nel breve termine gli impatti sociali più negativi. Una spinta decisiva viene anche e soprattutto dal sistema delle imprese con il loro contributo di innovazione, che è la leva per una trasformazione duratura e sostenibile del sistema agroalimentare”.

“Di fronte alle sfide epocali ed emergenti del settore, le startup agrifood propongono soluzioni innovative che puntano a migliorare la sicurezza alimentare e favorire la transizione a modelli di produzione e consumo più sostenibili e inclusivi – afferma Paola Garrone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. Le giovani imprese sono le prime a farsi promotrici di tecnologie, servizi e modelli di business innovativi, cogliendo nuove opportunità di mercato. I modelli di business proposti sono essenzialmente orientati alla sostenibilità, per cui diventano il soggetto ideale per osservare da vicino i trend di innovazione e l’introduzione di nuove pratiche di sostenibilità nell’agrifood”.

Le startup nel mondo – Guardando alla concentrazione delle startup agrifood orientate alla sostenibilità nei diversi Paesi del mondo la Norvegia risulta al primo posto (25 startup agrifood, di cui il 60% sostenibili), seguita da Israele (119 startup, di cui il 58% sostenibili). In terza posizione si classifica la Nigeria (64 startup, di cui il 50% sostenibili), seguita dalla Polonia (20 startup, di cui il 50% sostenibili). L’Italia si trova al ventitreesimo posto (85 startup agrifood, di cui il 35% sostenibili). Sul fronte dei finanziamenti, invece, considerando le sole startup agrifood con chiara indicazione geografica e che hanno ricevuto almeno un finanziamento, il 40% è rappresentato da startup sostenibili. Queste ultime hanno raccolto complessivamente 6,4 miliardi di dollari dal 2017 al 2021, con una media pari a 7,3 milioni di dollari per azienda. Al primo posto, sul fronte della raccolta di investimenti, sono le startup sostenibili statunitensi (per un totale di 3,2 miliardi di dollari e 8,7 milioni di dollari a startup), seguite dalle startup operative in Asia, che hanno raccolto 2 miliardi di dollari, con un capitale medio di 10,9 milioni di dollari a startup. Seguono le startup in Europa, che hanno raccolto finanziamenti per 911 milioni di dollari (il 14% degli investimenti totali in startup sostenibili) e una media di 4,1 milioni di dollari per startup. Il finanziamento complessivo ottenuto dalle startup agrifood nel nostro Paese è di 16 milioni di dollari, con un capitale medio per startup di 1,6 milioni di dollari.

Collaborazioni cross-settoriali – Nello scenario attuale le città si trovano in grave difficoltà a garantire accesso al cibo a tutte le fasce della popolazione urbana, a causa di una continua urbanizzazione e dell’aggravarsi delle condizioni di povertà delle persone più vulnerabili. “Emerge il ruolo fondamentale delle collaborazioni cross-settoriali per il recupero e la distribuzione di alimenti a fini sociali – spiega Giulia Bartezzaghi, Direttrice dell’Osservatorio Food Sustainability – Queste esperienze coinvolgono ente pubblico locale e privato, profit e non profit, aggregando risorse e competenze strategiche sul territorio per fornire una risposta congiunta al fabbisogno crescente di cibo sano e nutriente da parte delle fasce più vulnerabili della popolazione urbana”.

Dall’analisi di 39 iniziative di distribuzione alimentare a fini sociali in vari contesti urbani, a livello nazionale e internazionale, l’Osservatorio ha identificato 4 diversi modelli di collaborazione cross-settoriale ricorrenti, che possono anche ibridarsi tra di loro: recupero e ridistribuzione di eccedenze alimentari tramite donazione, spesa sospesa, trasformazione dell’eccedenza in altro prodotto a più lunga vita residuale o in pasto cucinato e supermercato sociale. Tra le esperienze analizzate si citano gli Hub di Quartiere contro lo spreco alimentare di Milano, che coniugano attività di recupero e ridistribuzione di eccedenze alimentari donate da diverse fonti con il modello del supermercato sociale e anche la trasformazione di eccedenze, che sarà sperimentata nel nuovo e quinto Hub appena inaugurato. Altre iniziative sono “Culinary Misfit” a Berlino, che riutilizza frutta e verdura scartata per difetti estetici e acquistata a prezzo calmierato da produttori agricoli locali, per la preparazione di piatti cucinati, anche serviti gratuitamente alle persone in difficoltà. Ed esperienze di supermercato sociale basate su un sistema di tessera a punti, tra cui l’iniziativa “Ri:Colt.O” della Cooperativa sociale Tempo Libero, che rifornisce il proprio negozio solidale anche di alimenti prodotti con ingredienti coltivati nel proprio orto. Esperienze di spese sospese sono “Spesa SOSpesa” al mercato comunale nel quartiere Nolo di Milano e “Fate Bene” a Torino, in cui le spese per le persone in difficoltà si compongono di eccedenze donate o prodotti acquistati dai mercati urbani, punti vendita o negozi del quartiere grazie al supporto economico dei cittadini privati.

La catena del freddo – L’Osservatorio ha analizzato oltre 79 soluzioni innovative introdotte dalle startup agrifood, operative nel quinquennio 2017-2021, orientate a ridurre gli sprechi nella catena del freddo. Le soluzioni mirano ad ottimizzare la produzione in risposta all’andamento della domanda e a diminuire le scorte in magazzino, tramite un migliore allineamento di domanda e offerta (11% del campione) e l’accorciamento della supply chain (6%). Puntano a migliorare la conservazione dei prodotti attraverso l’estensione della shelf life (10%) e il monitoraggio della temperatura e di altri parametri critici (9%). Infine, per valorizzare le eccedenze di prodotti freschi, le startup propongono piattaforme digitali per la ridistribuzione dei prodotti tramite vendita a prezzo scontato o donazione (28%), o in alternativa varie soluzioni tecnologiche di upcycling per trasformare l’eccedenza in altro prodotto edibile a più lunga vita residuale o per recuperarne parte del valore per fini di alimentazione animale, riciclo o recupero energetico (36%).

“La catena del freddo è di fondamentale importanza nel settore agroalimentare per il ruolo insostituibile che i prodotti freschi e freschissimi ricoprono per una dieta sana e nutriente – spiega Marco Melacini, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. Ma bisogna superare le criticità delle interfacce tra i diversi attori della filiera, in particolare durante il trasporto o nelle fasi di carico e scarico della merce, e poi il trade-off tra decisioni strategiche e pratiche operative orientate, da una parte, a obiettivi di efficientamento energetico o di incremento delle vendite in store e, dall’altra, a obiettivi di mantenimento delle condizioni ottimali di conservazione dei prodotti e quindi prevenzione degli sprechi”.

Misurare la sostenibilità – L’Osservatorio Food Sustainability ha sviluppato un sistema di misurazione delle performance di sostenibilità di filiera, basato su diversi step, che consistono in un’analisi di dettaglio sempre crescente degli aspetti di sostenibilità e circolarità rilevanti per la filiera, fino ad arrivare a definire degli indicatori di prestazione. “L’attenzione da parte delle aziende verso la misurazione delle prestazioni di sostenibilità è in continua crescita, sia in ambiti specifici sia a livello di filiera – afferma Federico Caniato, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -: la sfida rimane la condivisione efficace di dati affidabili e precisi tra i diversi e molteplici attori che ne fanno parte”.

“I sistemi di misurazione delle performance di sostenibilità e circolarità trovano sviluppo e applicazione anche nel campo del packaging alimentare – spiega Barbara Del Curto, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability -. In particolare, l’impatto ambientale di questo ambito risulta ad oggi essere l’aspetto su cui si concentrano la maggior parte degli sforzi portati avanti dalle aziende e dagli operatori del settore, spinti anche da Direttive Europee”.

Tra i numerosi strumenti esistenti, il Life Cycle Assessment (LCA) è ormai ampiamente utilizzato anche nel campo del packaging alimentare, per quantificare gli impatti di ogni fase del ciclo di vita del prodotto. Esistono tuttavia numerosi eco-tools, software, linee guida, checklist, che consentono di misurare l’eco-sostenibilità del packaging. L’Osservatorio ne ha mappati 35, con l’obiettivo di comprenderne i tratti distintivi e i vantaggi di applicazione. L’analisi ha consentito di approfondire 17 software, 12 linee guida di tipo generale per la sostenibilità del packaging e specificatamente orientate alla riciclabilità e circolarità, 6 checklist, classificate in base alla funzione di fornire un’analisi di prestazioni di sostenibilità, un’analisi della riciclabilità e/o circolarità.

 

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