Acqua. Così conserviamo la poca che piove. Il caso dei fratelli Repetti nel piacentino

PIACENZA – Stefano Repetti, tesoriere di Confagricoltura Piacenza, è un noto agricoltore che con i fratelli Angelo e Gianni e il nipote Leonardo coltiva circa 300 ettari in Val Trebbia “Terre della Valtrebbia” è infatti anche il nome di una delle sue aziende, l’altra si chiama Podere Mangialupo. I Repetti coltivano zucche, colture industriali, ma soprattutto pomodoro da industria.  Interviene sul tema della poca piovosità e sulla raccolta dell’acqua.

“Nei mesi invernali cerchiamo di far scorrere l’acqua nei canali per ricaricare le falde a beneficio di tutta la cittadinanza e degli ecosistemi del reticolo” – sottolinea Repetti.  Chiuso il 2022 con tutti i problemi legati alla siccità Repetti ha fatto due conti su uno dei canali che solcano i suoi campi. “Il Rivo Banco (o Seccamelica) è lungo 5700 metri prima di confluire nel canale Rifiuto. Abbiamo aperto le paratie a monte il 12 novembre e ad oggi ha percorso 3.250 metri assorbendo 470.000 metri cubi d’acqua che sono andati in falda. Questo significa – commenta Repetti – che le falde non sono mai state così bisognose d’acqua. Fino a vent’anni fa occorreva un solo giorno perché l’acqua arrivasse a scaricare nel canale Rifiuto. Quest’anno stimo ci vorranno circa tre mesi”.

Gli agricoltori stanno già iniziando la programmazione per la prossima campagna. “C’è preoccupazione per l’irrigazione, perché le falde sono già molto basse, mentre l’acqua che scorre nei fiumi la lasciamo defluire in Po. Quando dicono, specialmente nella stagione estiva, che l’acqua del Trebbia non arriva a destinazione, voglio sottolineare che in parte va in falda e in parte viene utilizzata per produrre cibo e se la falda è bassa non è solo responsabilità degli agricoltori, ma di tutta la popolazione perché l’acqua potabile, in particolare, viene presa dai pozzi. Possiamo dire che in questo periodo agricoltori e consorzio di bonifica stanno ricaricando le falde. Si tratta di volumi enormi. Il mio canale arriverà a far immagazzinare in falda circa un milione di metri cubi, se alziamo lo sguardo su tutta la provincia sono milioni e milioni”. Al netto di questa operazione che ha un suo valore, si pone il tema di immagazzinare l’acqua quando c’è e ragionare sul minimo deflusso vitale che di quest’azione non considera nulla.

“Sull’ acqua che stiamo immagazzinando in falda ora, pagheremo i prelievi dai pozzi – sottolinea Repetti –. Mi chiedo se non sia ambientalmente più sostenibile trattenere l’acqua quando c’è in abbondanza a monte e poi goderne per caduta, piuttosto che non doverla pompare dai pozzi e dal Po con consumo di gasolio e di energia. L’acqua che scorrerà via dai fiumi, poi, per defluire in ultima analisi in Po, sarà per noi persa definitivamente.  È la riprova che le dighe costerebbero e impatterebbero meno. Come chiediamo ormai da troppi anni, urge un piano di stoccaggio idrico razionale, come razionale è la programmazione in campo. Chiediamo che non vengano messe a rischio le produzioni, con il lavoro di centinaia di agricoltori e delle loro famiglie e le filiere agroalimentari dei trasformati a valle. Latte e pomodoro sono attività che hanno bisogno di acqua e senz’acqua non si produce nulla, tant’è che nel 2022 sono state sacrificate alcune produzioni non centrali”.

Dello stesso avviso – ricorda Confagricoltura Piacenza – anche il direttore del Crea, Centro di ricerca Genomica e bioinformatica di Fiorenzuola, Luigi Cattivelli che proprio dalle colonne del quotidiano locale, domenica 8 gennaio, ha dichiarato: “Per continuare a fare agricoltura sarà quindi indispensabile immagazzinare acqua. A Piacenza la piovosità annuale “normale” si attesta sugli 800 – 850 mm; in realtà anche con 500 mm di piovosità all’anno si può fare un’ottima agricoltura, come accade ad esempio in Israele con risultati eccellenti. Il punto cruciale è quello di metterci nelle condizioni di trattenere e conservare l’acqua”.

“Ci si pensi ora, che lasciamo scorrere via l’acqua invece di stoccarla adeguatamente per rispettare leggi ideologicamente ambientaliste – commenta Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza -. È un sistema alimentato da un brodo di coltura di politica e società decadenti a cui si aggiunge un’Europa contraria al bene dell’economia e degli agricoltori. Quali sovranità alimentare, filiera corta e benessere animale sono possibili se manca l’acqua? Se facciamo seccare i prati e razioniamo l’acqua negli abbeveratoi? Il benessere degli animali non è forse fondato sulle cinque libertà, tra cui quella dalla sete e dalla fame? Cosa si pensa quando si parla di economia circolare? Il mondo urbano è lontanissimo dalla realtà.

Questa schizofrenia non porta solo a costi, ma anche a situazioni paradossali. Vogliamo i prodotti locali e la sovranità alimentare, ma non possiamo ragionare sull’approvvigionamento idrico adeguato allo scopo. Il comparto del pomodoro da industria, che vede la nostra provincia secondo produttore nazionale, è basato su una programmazione ferrea, compressiva di penali in caso di mancato rispetto della programmazione stessa. Come è possibile programmare gli ettari a pomodoro senza la certezza di poterli poi irrigare? È al via lo studio di fattibilità della diga di Vetto – sottolinea il presidente di Confagricoltura Piacenza – misureremo la forza del mondo economico e politico piacentino in base alla capacità di inserire nel piano regionale anche le dighe in Val Trebbia e in Val Nure”. Confagricoltura Piacenza suggerisce tempi e metodi: si parta subito e, quanto a i metodi, si parta con lo studio dei fabbisogni idrici di un territorio, quello piacentino, in grande deficit.  “Non sia mai – conclude il presidente di Confagricoltura Piacenza – che nel piano delle grandi opere della Regione ci sia la diga di Vetto e non quello che chiediamo da tempo, le dighe piacentine: una in Val Nure e una in Val Trebbia”.

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