Pizza e pane ma con grano tenero (anche) estero. Valente (Italmopa): Filiera italiana non è indipendente con un export di pasta del 60%. E attenzione alla qualità

ROMA – Oscillazioni del prezzo, scarsità di materia prima di qualità.

L’industria delle farine non può dipendere solo dalla produzione nazionale. Se la pasta col grano duro ce la può fare a dipendere da una filiera italiana, lo stesso non si può dire per la farina da grano tenero, quindi pizza, pane e derivati. Il concetto è tuttavia quello di puntare alla qualità del prodotto e in questo la professione del mugnaio in Italia è avanti.

Ad agricultura.it parla Andrea Valente, presidente di Italmopa, l’Associazione dei Mugnai d’Italia della Confindustria.

Un periodo di grande preoccupazione per i produttori di grano, è legittimo secondo voi?

Le preoccupazioni, se motivate e non strumentali, sono sempre legittime. Esse comunque riguardano, di volta in volta, e spesso anche simultaneamente, tutti gli attori di una filiera nazionale, quella cerealicola, caratterizzata da una redditività marginale. L’errore, purtroppo ricorrente, riguarda la tendenza, da parti di alcune rappresentanze sindacali, di considerare che l’origine delle proprie difficoltà è sempre e comunque riconducibile altri attori della filiera o comunque a fattori esogeni coercitivi e di sviluppare questa strategia anche attraverso una comunicazione istituzionale che non consideriamo in alcun modo condivisibile. In altre parole, in questa filiera come in altre, c’è una marcata inclinazione a ignorare le criticità, talvolta strutturali, del proprio comparto produttivo e a privilegiare un approccio dirigista e poco imprenditoriale. Tale atteggiamento risulta molto pericoloso tenuto conto che la filiera frumento si muove in un contesto internazionale sempre più competitivo.

L’Italia può dirsi, in chiave futura, un potenziale Paese autarchico a livello alimentare? In particolare pasta e pane possono provenire da sole farine italiane ?

La produzione italiana di frumento duro risulta, quantitativamente, sufficiente a coprire i consumi interni, costituiti essenzialmente dalla pasta alimentare, mentre quella del frumento tenero soddisfa solo parzialmente il fabbisogno quantitativo per la produzione di pane, pizza o biscotti destinata ai consumatori italiani. Questa considerazione, del tutto teorica, non tiene tuttavia in considerazione la variabile qualitativa. L’andamento delle condizioni agronomiche o meteorologiche può determinare non soltanto significative fluttuazioni dei volumi ma anche della stessa qualità tecnologica o sanitaria della materia prima che potrebbe, in alcune campagne, non corrispondere alle esigenze dell’Industria della trasformazione e dei consumatori. E la riconosciuta eccellenza delle nostre farine e delle nostre semole, e pertanto dei prodotti che ne derivano, è in primis riconducibile alla capacità dei nostri mugnai di saper individuare e miscelare le migliori varietà di frumento, quale che sia la loro origine.

Detto questo, è nuovamente opportuno evidenziare che il nostro Paese è da sempre, strutturalmente importatore di materie prime agricole e esportatore di prodotti trasformati: basta ricordare, a mero titolo esemplificativo, che il 60 percento circa della produzione nazionale di pasta è destinata ai mercati esteri e che questo flusso non può e non potrà essere garantito che attraverso il ricorso alle importazioni di frumento, che sono complementari e non alternative alla produzione nazionale. E questo anche per l’oggettiva impossibilità di incrementare in modo adeguato le attuali aree e quindi i volumi di produzione di frumento nazionale.

Quali sono state le risposte di Italmopa al post crisi Russia-Ucraina e quali le prospettive future? 

Intanto è opportuno ricordare che la Russia, e più ancora l’Ucraina, non sono certamente da annoverare – né ora, né in passato – tra i paesi più rappresentativi per quanto concerne le nostre importazioni di frumento tenero e di frumento duro. E’ pertanto evidente che il conflitto non determina particolari conseguenze sulle strategie di approvvigionamento delle nostre Aziende. Ciò sottolineato, il conflitto ha certamente enfatizzato e alimentato in modo drammatico una situazione di squilibrio, antecedente al conflitto, costatato sui mercati internazionali delle materie prime, in particolare agricole e energetiche. Una situazione che ha raggiunto il suo punto più critico nella prima parte del 2022 e le cui conseguenze – sull’insieme dell’economia nazionale, sul tessuto produttivo, sulle famiglie – sono tuttora chiare e manifeste e purtroppo, solo molto parzialmente governabili.

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