I derivati del latte tengono la crisi internazionale: a Fieragricola il punto della situazione sul settore

VERONA – Cosa attendersi dal mercato del latte nei prossimi mesi? La parola d’ordine, a causa delle tensioni geopolitiche su scala mondiale – dall’Ucraina al conflitto israelo-palestinese, dal Canale di Suez alle incognite nell’area asiatica (Taiwan e Corea del Nord) – è prudenza, in quanto i costi di produzione e di internazionalizzazione potrebbero subire degli scatti anche repentini verso l’alto.

Tuttavia, alla vigilia della 116ª edizione di Fieragricola, rassegna internazionale di agricoltura in programma a Veronafiere da mercoledì 31 gennaio a sabato 3 febbraio, si possono cogliere diversi segnali che indicano che nelle prossime settimane i prezzi del settore lattiero caseario dovrebbero mantenersi su valori sostenuti, favorendo così la possibilità delle catene di approvvigionamento di pianificare investimenti per migliorare produzioni, benessere animale, sostenibilità, internazionalizzazione, introdurre soluzioni digitalizzate, energie da fonti rinnovabili, strumenti di Agricoltura 4.0.

Dal Far East segnali positivi. I risultati dell’ultima quotazione del Global Dairy Trade, l’asta dei prodotti lattiero caseari in Oceania con cadenza quindicinale e che rappresenta il termometro di fatto delle tendenze globali (la Nuova Zelanda ha un tasso di autosufficienza delle produzioni lattiero casearie dell’869,4% e, pur producendo il 3,4% del latte mondiale, è il secondo esportatore mondiale dopo l’Unione europea) segna quotazioni positive per tutte le principali voci a listino (burro +5,8%, cheddar +1%, polvere di latte intero WMP +1,7%, polvere di latte scremato SMP +1,2%, fonte: Clal.it), a conferma di una certa vivacità nella domanda mondiale.

La Cina, che nel 2023 anche per effetto di un’economia che si è mossa meno brillantemente rispetto agli anni precedenti e per un incremento delle produzioni lattiere interne (confermate anche dall’incremento delle importazioni di mais e soia, a dicembre ha visto crescere le importazioni sul versante lattiero caseario, in particolare per latte e panna (+4%), formaggi (+32,2%), burro e altri grassi (+20%).

Produzioni in equilibrio e domanda mondiale in crescita. A fronte di produzioni sostanzialmente invariate, con i principali Paesi esportatori di formaggi, polveri e burro (Argentina, Australia, Bielorussia, Cile, Nuova Zelanda, Ue-27, Usa, Uruguay) che hanno prodotto solamente lo 0,2% di latte in più rispetto all’anno precedente, la domanda mondiale di prodotti lattiero caseari si è mostrata dinamica, con consumi in aumento dello 0,6% e scambi mondiali sostenuti (+4,1% le importazioni in milk equivalent e +3,1% le esportazioni, fonte: Clal.it) fra le principali aree del pianeta, lascia sperare che il 2024 possa assicurare margini di guadagno in crescita per gli allevatori.

Anche i costi di produzione, rappresentati in buona parte in zootecnia dalle razioni alimentari, potrebbero tracciare una parabola discendente, a fronte di prezzi del mais che potrebbero indebolirsi (si segnalano scorte globali su livelli massimi dal 2018-19) e possibili spirali ribassiste anche per la soia, proiettata grazie alla super-produzione sudamericana su ending stock da record (fonte: Commodity Outlook Ing Bank).

L’Unione europea. Anche la produzione lattiera comunitaria sta tirando il freno, con un aumento complessivo dei 27 Paesi dell’Ue dello 0,1% fra gennaio e novembre 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. Fra i big player, crescono le consegne di latte della Germania, primo produttore Ue con 29.773.000 tonnellate prodotte (+1,7%, ma in frenata a ottobre e novembre), Paesi Bassi (12.748 tons prodotte, +1,2% su base tendenziale) e Polonia (che con 11.906.000 tonnellate prodotte fra gennaio e novembre 2023, +1,6%, supera l’Italia, che si attesta a 11.815.000, -1,1 per cento).
Francia e Irlanda, rispettivamente al secondo e al sesto posto per volumi prodotti in Ue-27, tirano il freno, con una flessione del –2,9% e del -3,2% tendenziale.

L’Italia. In Italia i prezzi del latte spot stanno registrando una ripresa, dopo la flessione segnata a dicembre. In Borsa merci a Verona, piazza di riferimento nazionale insieme a Milano per il latte spot (è il latte libero sul mercato, con contratti di fornitura non superiori a tre mesi), l’ultima quotazione di lunedì 22 gennaio ha segnato un incremento dello 0,5%, portando i valori della materia prima italiana a 51 €/100 kg.
Segnali positivi per il sistema lattiero caseario Made in Italy arrivano anche dall’export, che ha superato fra gennaio e ottobre 2023 i 6,37 miliardi di euro in valore (+10,2% sullo stesso periodo del 2022), grazie a prezzi unitari in aumento. Positive, in particolare, le voci dell’export di burro e altri grassi (+30,6%), delle polveri (+217,1% per la WMP e +38,9% per la SMP), e dei formaggi, che sono il simbolo dell’arte casearia tricolore.

Bene export formaggi italiani. I formaggi Made in Italy nei primi dieci mesi del 2023 hanno incrementato le vendite oltre confine del 5,8% in quantità e del 13,7% in valore, superando complessivamente i 4,16 miliardi di euro e confermandosi uno dei pilastri dell’export agroalimentare. Confermano il proprio appeal Grana Padano e Parmigiano Reggiano (+5,5%, con il 59% del market share in Ue), che sono i formaggi Dop a pasta dura più venduti in quantità, ma anche i formaggi freschi (+8,1%) e i formaggi grattugiati o in polvere (+7,7 per cento).

Un nuovo approccio: da filiera a organismo. È la riflessione che Clal, portale di riferimento mondiale del settore lattiero caseario, porterà a Fieragricola (venerdì 2 febbraio, ore 10, Sala Rossini), coinvolgendo la catena di approvvigionamento, dai produttori alla grande distribuzione organizzata, affrontando anche i temi dei cambiamenti climatici, della mangimistica e dei costi di produzione, del dialogo per affrontare insieme le nuove sfide dei mercati.
«In un concetto di filiera – spiega Francesco Branchi di Clal – i singoli anelli dialogano solo con gli attori più vicini, attraverso un passaggio di materie prime. Adottare un approccio più globale, in cui da filiera si passa a organismo, permette di ampliare il dialogo, così da poter assorbire le richieste dei consumatori e fare in modo che gli anelli della distribuzione possano confrontarsi direttamente con gli allevatori. Deve quindi cambiare la figura dell’allevatore, che non è solo produttore di latte, ma garante del benessere animale, della sostenibilità, è artefice di un modello produttivo che porta con sé la storia e i valori dell’azienda e dovrebbe essere sempre più un attore di marketing e confrontarsi con chi acquista il prodotto finale».

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