AREZZO – Nel giro di poco più di un decennio è sparito un albero da frutto su due anche in provincia di Arezzo con una contrazione importante di tutte le principali produzioni: dalla mela (-27%) alla pesca (-56%), dalla pera (-35%) all’albicocca (-38%), dalla ciliegia (-57%) alla pesca noce (-27%) fino al fico (-55%) aggredito dal punteruolo nero.
A mettere in crisi il settore sono una serie di fattori, climatici, economici ed ambientali, che hanno colpito al cuore la competitività e la redditività di colture da sempre importanti nel paniere aretino e per le imprese agricole. A fotografare la crisi è Coldiretti Arezzo sulla base dei dati Istat diffusi in occasione di Macfrut di Rimini.
“L’aumento dei costi di produzione, i cambiamenti climatici, la concorrenza sleale internazionale, le pratiche sleali, l’arrivo di nuovi parassiti che colpiscono le piante come la cimice asiatica o la Drosophila Suzuki e la difficoltà di reperire manodopera sono l’insieme delle componenti che rendono la coltivazione di pere, mele, pesche non sempre remunerativa. A soffrire di più sono le piccole aziende agricole che hanno meno risorse per affrontare i costi e limitati sbocchi commerciali: – spiega il presidente di Coldiretti Arezzo, Lidia Castellucci”.
In questo contesto, già fragile, diventa sempre più complicato competere sugli scaffali quando dalla Tunisia piuttosto che dal Cile, dal Sud Africa ma anche da paesi comunitari, arrivano prodotti a prezzi stracciati, molto inferiori a quelli dei frutticoltori nostrani, ottenuti però con l’utilizzo massiccio di fitofarmaci, manodopera sfruttata e sottopagata e regole sulla sicurezza alimentare spesso inesistenti. Ragioni per cui, secondo Coldiretti Toscana, è urgente ristabilire regole di mercato eque e trasparenti:
“Non è possibile chiedere standard elevati agli agricoltori italiani e tollerare l’ingresso di prodotti ottenuti con metodi che da noi sarebbero vietati – sottolinea Catellucci – noi ci stiamo battendo, da soli, per chiedere un’etichetta obbligatoria di origine su tutti gli alimenti in vendita in Europa, l’abolizione del codice doganale, un escamotage per far diventare una pesca spagnola o qualsiasi altro prodotto tricolore con una minima lavorazione nel nostro Paese e l’applicazione della reciprocità negli scambi tra paesi. La competitività non dovrebbe essere una questione di prezzi al ribasso ma di qualità, sostenibilità, eticità; valori che devono emergere ed essere riconosciuti economicamente. Questi strumenti, insieme, possono rimettere in moto un settore ora in grande affanno e con un futuro incerto”.
Uno degli aspetti più critici della mancanza di reciprocità è – secondo Coldiretti Arezzo – quello legato all’uso dei prodotti fitosanitari. Mentre negli altri continenti si utilizzano pesticidi vietati da decenni in Europa, gli agricoltori italiani sono spesso in difficoltà nel difendere i propri raccolti a causa della mancanza di sostanze adeguate. Il tutto nonostante in Italia l’utilizzo di fitofarmaci si sia ridotto del 50% negli ultimi 30 anni e i prodotti utilizzati siano passati da oltre un migliaio a circa 300. Un percorso che anche la Toscana ha seguito raggiungendo per prima l’obiettivo del 25% delle superfici coltivate a biologico chiesto dall’Europa.
Alla crisi strutturale del settore si sommano gli effetti dei cambiamenti climatici, aggravati dai ritardi nella realizzazione degli invasi, infrastrutture che Coldiretti invoca da tempo fondamentali per garantire l’acqua alle colture. La disponibilità di acqua è, infatti, un altro elemento di competitività per le imprese. Una soluzione potrebbe venire – ricorda Coldiretti Arezzo – dalle nuove tecnologie non Ogm per il miglioramento genetico, le Tea, sulle quali si continuano però a registrare incomprensibili ostacoli, spesso legati alla non conoscenza e a posizioni puramente ideologiche.
Ma il problema riguarda anche i consumi. Negli ultimi cinque anni è sparito dalle tavole delle famiglie italiane quasi un miliardo di chili di frutta e verdura, secondo l’analisi Coldiretti su dati Cso Italy, mettendo a rischio la salute soprattutto delle giovani generazioni, considerata anche l’invasione di cibi ultraformulati nella “dieta” di bambini e adolescenti. Da qui l’importanza di aumentare le ore di educazione alimentare nelle scuole per riaffermare i principi della Dieta Mediterranea.