Allarme caldo: il report settimanale di ANBI

ROMA – Il riscaldamento dei mari (ad iniziare dal Mediterraneo) comporta la dilatazione delle molecole idriche che, per raffreddarsi, abbisogneranno di tempi largamente superiori: ecco, perché il top di temperatura raggiunto dal mare Nostrum è foriero di conseguenze, che fanno presagire scenari ancora insondati.

A segnalarlo è l’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, che indica come il Mediterraneo occidentale e l’Atlantico Nord-Orientale si stiano riscaldando ben più di quanto accada nel resto dei mari: se infatti le anomalie marine a livello globale si attestano in questi giorni sui +0,37° rispetto alla media 1991-2020 e sono inferiori a quelle registrate nello scorso biennio (fonte: Copernicus Climate Change Service – ECMWF), il Mare Nostrum sta invece facendo segnare le temperature più alte mai rilevate e questo nonostante, nella parte orientale del bacino, le acque dell’Egeo fino a quelle, che lambiscono le coste orientali egiziane (con l’esclusione della porzione di mare, che bagna il Medioriente), risultino maggiormente in linea con le temperature medie, se non localmente addirittura più fresche del normale; questo significa che il Mediterraneo occidentale è un “brodo”, dove le anomalie termiche arrivano a superare i 5 gradi tra Spagna, Francia, Corsica e Sardegna occidentale. Nei prossimi giorni tra mar Tirreno e Ionio (così come nelle acque, che bagnano le coste meridionali di Turchia, Siria, Israele, ecc.) le temperature raggiungeranno i 29° e non scenderanno sotto i 27°: come già segnalato, si è in anticipo di almeno una settimana sullo scorso anno (il più caldo in assoluto per temperature marine globali), quando nella prima settimana di Luglio si raggiunsero i 30°.

Quanto poi questo influisca sul clima della terraferma è testimoniato dai dati: lì, dove a Maggio il mare è stato più freddo (ad Est, compreso il mar Nero), anche la temperatura dell’aria è stata più fresca del consueto; nell’Europa Occidentale, dove invece Mediterraneo ed Atlantico registrano record di temperature, il mare non riesce più ad assolvere al compito di mitigare le correnti calde, senza contare i rischi meteorologici, dovuti all’energia scaturita dall’incontro tra correnti calde ed umide con quelle più fredde d’alta quota dell’Artico.

“La crisi climatica, seppur largamente predetta, sta subendo una straordinaria accelerazione soprattutto nell’area mediterranea, dove i territori  sono esposti a crescenti rischi” commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).

“Accanto ad un programma pluriennale di opere infrastrutturali, accompagnato  ad un grande sforzo in ricerca ed innovazione, sono necessari interventi, che invertano l’esodo dalle aree interne del Paese: abbandonare quei territori, accentuando la pressione antropica lungo le coste, nei nuovi scenari climatici può diventare un pericoloso boomerang” aggiunge Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI.

Per tutto il mese di giugno l’Italia è stata stretta nella morsa del caldo africano e le temperature in alcune zone hanno già toccato i 40°. Nei prossimi giorni si prevede che le zone più calde siano quelle interne della Sardegna Occidentale, la Pianura Padana e la fascia tirrenica; il record dovrebbe toccarsi sui colli attorno a Roma, città dove negli anni a venire ci si aspetta un aumento di ondate di calore estive fino al 186% (fonte: CMCC). Nel fine settimana andrà un po’ meglio al Sud, dove in linea di massima le temperature dovrebbero essere più sopportabili.

Il report dell’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche registra, questa settimana, perlopiù una decrescita generalizzata dei livelli idrometrici dei corpi idrici lungo la Penisola per via della stabilità atmosferica e delle alte temperature: al Sud la situazione è sempre più difficile, mentre al Centro preoccupano i livelli idrometrici dei laghi.

Al Nord i grandi bacini naturali mantengono percentuali di riempimento, che vanno dal 71,8% del lago di Como al 95,4% del Maggiore.

Le portate del fiume Po hanno subìto una drastica riduzione: a Pontelagoscuro il flusso si è ridotto di circa il 25% in 7 giorni.

In Valle d’Aosta calano i livelli idrometrici di Dora Baltea e torrente Lys.

Anche in Piemonte si riducono le portate fluviali di Stura di Demonte, Stura di Lanzo e Toce; in crescita, invece, quelle del Tanaro.

In Liguria calano i livelli nei bacini di Levante; stabile quello dell’Argentina, a Ponente.

Nel Veneto le portate dei fiumi scendono sotto le medie storiche mensili: attualmente l’Adige registra un deficit del 45,6%, mentre quello del Brenta si aggira attorno al 50%.

In Emilia-Romagna tornano ad essere deficitari i flussi nei fiumi beneficiari, la scorsa settimana, di forti apporti pluviali: caso emblematico è quello della Secchia scesa dai mc/s 50,25 di una settimana fa ad una portata inferiore al metro cubo al secondo.

In Toscana calano i livelli dei fiumi Arno e Serchio, mentre Sieve ed Ombrone registrano una sostanziale invarianza.

Nelle Marche sono stabili le portate dei fiumi e ricca è ancora la dotazione d’acqua stoccata negli invasi (mln. mc. 53,2).

In Umbria il livello del lago Trasimeno si è ridotto di 5 centimetri in 7 giorni!

Nel Lazio l’abbassamento del livello del lago Sabatino è stato di 3 centimetri; continuano a decrescere anche i livelli nei due bacini vulcanici dei Castelli Romani: Nemi (-cm.3) ed Albano, che da Settembre 2023 è sceso di ben 63 centimetri! Cresce invece la portata del fiume Tevere, che però rimane ampiamente sotto media, seppur superiore allo scorso anno; sono stabili i flussi di Aniene e Velino (fonte: AUBAC).

In Abruzzo, il caldo non fa eccezione e, in un mese, la diga di Penne ha erogato, al netto dell’evapotraspirazione, un  volume idrico pari a mln. mc.1,46.

Si aggrava la condizione idrica della Basilicata, dove i volumi contenuti negli invasi si riducono al ritmo di 1 milione di metri cubi al giorno ed ora rimangono mln. mc. 252,94!

In Puglia, infine, continua pressante l’attenzione per risparmiare la poca acqua contenuta negli invasi della Capitanata: i volumi trattenuti dalle dighe sono oramai inferiori ai 100 milioni di metri cubi (lo scorso anno, già molto difficile, erano disponibili quasi 50 milioni in più…).

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