Il no alla criminalità passa anche dal lavoro sui campi confiscati

Le mozzarelle, il vino, i taralli, i paccheri, l’olio e il succo d’arancia. Sono tanti i prodotti al gusto della legalità coltivati sulle terre confiscate alle mafie. Tutti simboli di una lotta alla criminalità combattuta con il lavoro della terra e oggi minacciati dalle fiamme dell’intimidazione e della ritorsione. La Cia-Confederazione italiana agricoltori, in occasione della presentazione del IV Rapporto sulle agro-mafie, vuole esprimere una ferma condanna agli autori degli incendi e piena solidarietà a Libera e a tutti i lavoratori delle cooperative colpite.

La cronaca – Prima gli uliveti di Castelvetrano e di Partanna nel trapanese, poi i campi di grano a Pignataro nel casertano e quelli a Mesagne nel brindisino, e poi ancora gli agrumeti di Belpasso in provincia di Catania: è un lungo elenco quello dei terreni confiscati alle mafie, prima “liberati” dal lavoro delle cooperative dell’associazione di don Ciotti e poi di nuovo offesi e umiliati dagli incendi dolosi che nell’ultimo mese hanno distrutto ettari ed ettari di campi coltivati.

Il commento – “Di fronte a questi atti di un vandalismo spregevole e meschino -ha affermato il presidente della Cia Giuseppe Politi- vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza a Libera e ai tanti ragazzi che lavorano alla rivalutazione di queste terre, dove si coltivano legalità e giustizia. E ribadiamo ancora una volta il nostro impegno al fianco dell’associazione di don Ciotti, a cui da anni garantiamo ‘sul campo’ consulenza e assistenza tecnica”.

L’intesa – Con un accordo sottoscritto nel 2008, infatti, la Cia e Libera hanno ufficializzato una collaborazione che va avanti da più di un decennio: dalla fondazione nel 2001 della cooperativa “Placido Rizzotto” che produce l’ormai noto vino “I cento passi” dalle uve delle terre sequestrate ai boss Brusca e Riina del clan dei Corleonesi e arriva fino alla costituzione della cooperativa casertana “Terre di don Peppe Diana”, che ha recuperato i campi del clan camorristico dei casalesi capeggiato da Francesco Schiavone. Il lavoro che Libera e Cia svolgono insieme è la dimostrazione di un impegno civile che vuole partire proprio dall’agricoltura per proporre un modello di sviluppo alternativo alla logica del sopruso e del ricatto. Un impegno che non si fermerà di fronte a questi roghi intimidatori, ma che anzi ora ritroverà ancora più determinazione nella lotta alla criminalità.

La collaborazione – Proprio con la cooperativa “Terre di don Peppe Diana”, che recentemente ha visto andare in fumo dodici ettari coltivati, oltre metà del grano coltivato nei terreni strappati alla camorra, la Cia ha lavorato insieme a Libera per produrre i “paccheri della legalità”, frutto sano di una terra fino a ieri umiliata dallo sfruttamento mafioso e che oggi ritrovano la dignità perduta nelle mani dei giovani a cui Libera li affida. Ma il menù dei prodotti della legalità è ancora lungo, così come quello dei territori minacciati dalle mafie. Cinque ettari coltivati a legumi -ricorda la Cia- distrutti a Isola Capo Rizzuto, così come le duemila piante di arance bruciate a Belpasso o i cento ulivi nel catanese. Ma non solo incendi, a minacciare l’economia del lavoro onesto e legale delle cooperative di Libera sono state anche le intimidazioni e gli atti vandalici subiti nello scorso mese di ottobre dalle strutture agricole di Borgo Sobotino, in provincia di Latina, e ancora prima nella piana di Gioia Tauro in Calabria.

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