Fame e obesità, due facce della crisi alimentare

Fame nel mondo e obesità, due facce della stessa medaglia. Quelle di una crisi alimentare di tipo strutturale a cui siamo ormai di fronte a pieno titolo. Non sembra esistere una soluzione univoca per uscirne: sia a livello locale che globale le cause sembrano essere molte e concatenate fra di loro, cause che vengono da lontano. Insomma oggi nel mondo Occidentale e nei Paesi in via di sviluppo si pagano sbagli fatti in passato. Un quadro complesso quello uscito dalla tavola rotonda  “Economia del cibo e crisi alimentari”, organizzata dalla Regione Toscana ed il supporto dell’Arsia, che si è svolta a Prato nell’ambito di Economia3, il Forum culturale ed economico, in cui sono stati affrontati i temi dell’economia globalizzata, con spazio anche per l’agricoltura e il cibo.

Numeri amari – L’aumento dei prezzi è consistente: il prezzo del riso nell’ultimo anno (marzo 2007-2008) è aumentato del +70% (fonte International Rice Research Institute di Manila) con punte fino al +141% in alcuni paesi importatori; il mais (marzo 07-08) +31% (Fao); per i grani, stesso periodo, aumento medio del +130% (Bloomberg), e soia (mar 07-08) + 87% (Bloomberg). Aumentano i consumi di carne: in Cina si consumavano nel 1980 20 kg di carne pro capite, mentre nel 2007 i kg a persona sono 50. Quanto spende una famiglia per il cibo? Il 16% del reddito in Usa, il 65% in Vietnam e il 73% in Nigeria. Ecco che oggi i sottonutriti nel mondo sono 854milioni di persone (stima Fao 2006) pari al 12.6% della popolazione mondiale: erano 824milioni nel 1992 e 820milioni nel 2002. Inoltre oggi nel mondo 982milioni di persone vivono con un dollaro al giorno o meno (stima 2008 Banca Mondiale). E poi l’allarme petrolio (arrivato a 110 dollari al barile): è noto che fra circa 25 anni il petrolio scarseggi, il problema diventa quello di spostare le derrate alimentari nel mondo visto che consumiamo più di quanto produciamo.

Molte ricette per una piaga globale – "Anche gli Ogm – commenta Maria Grazia Mammuccini, amministratore Arsia – non sono una soluzione, come è dimostrato visto che negli ultimi 10 anni a fronte di una crescita di colture geneticamente modificate non si è assistito ad un aumento delle produzioni. Il prezzo del petrolio sta diventando un peso non più sostenibile per l’agricoltura mondiale e di conseguenza per i produttori. Le tante strade intraprese – dalla filiera corta, ai mercatali, ai gruppi di acquisto solidale – rappresentano buone soluzioni ma da soli non possono cambiare le cose, ci vuole una svolta che coinvolga tutti a partire da ogni individuo portando cambiamenti al proprio stile di vita, fino ad arrivare ai governi con scelte politiche all’altezza delle sfide". Uno stile di vita senz’altro meno consumistico, che ritorni a rispettare le produzioni per quelle che sono (ad esempio un’insalata di quarta gamma già lavata costa circa quattro volte in più rispetto ad un’insalata da imbustare) e che sia più rispettoso dell’ambiente. "Il problema è di mercato – aggiunge Andrea Segrè, preside della Facoltà di agraria dell’Università di Bologna – il rapporto fra domanda e offerta si è alterato, non è sostenibile una crescita con questi numeri di consumi. E’ paradossale pensare che nei paesi in via di sviluppo ci sia una percentuale consistente di obesi e nei paesi industriali molte persone che lottano per la sopravvivenza alimentare. Forse abbiamo esportato un modello di sviluppo sbagliato". Crescono inoltre gli sprechi, visto che non si acquistano prodotti vicini alla scadenza, e crescono contemporaneamente i poveri. Attacco agli Ogm da parte di Cinzia Scaffidi, di Slow Food International: "Di certo non nutrono gli affamati della terra", e poi un riferimento all’attualità, nell’anno horribilis per le api: "per produrre di più nei campi sono stati utilizzati  i neonicotinoidi (i principi attivi utilizzati per la concia delle sementi che potrebbero essere responsabili della moria delle api) ed il risultato è stato quello di una riduzione di gran parte della popolazione delle api, dando un colpo mortale alle produzioni apistiche e compromettendo quelle colture che utilizzano le api per l’impollinazione". Per la grande distribuzione è intervenuto Franco Cioni, dirigente di Unicoop Firenze, una realtà molto attenta al territorio locale, con accordi anche con piccoli agricoltori i cui prodotti vanno poi in vendita a marchio Coop: "Siamo obbligati a soddisfare le esigenze dei consumatori, quindi con un occhio sempre attento ai prezzi, ma anche sui produttori a cui siamo legati in quanto, essendo radicati nei nostri territori, rappresentano una risorsa fondamentale per il nostro sistema distributivo. Ed è per questo che è nel nostro interesse e di quello dei consumatori che le piccole realtà produttive locali riescano a fare sistema , condizione indispensabile per stare sul mercato".

Caro carburante – L’imputato numero uno per il caro prezzi sembra essere il carburante: "E’ necessaria un’agricoltura che non dipenda dal petrolio – ha sottolineato Gianluca Brunori, del Dipartimento di agronomia e gestione dell’agroecosistema dell’Università di Pisa -, in Italia anche il ceto medio si sta impoverendo e reclama il diritto alla qualità, che l’attuale modello economico non è più in grado di garantire". Il contributo di Alessandro Meschinelli, dell’International Found for Agricoltural Development (IFAD), spazia nelle problematiche globali: "L’effetto aumento dei prezzi si traduce in diminuzione di pasti (nei paesi in via di sviluppo) passando da 2 a 1 al giorno, con diminuzione anche della qualità. Inoltre aumenta il valore della terra non più ormai alla portata dei contadini". Per le associazioni agricole è intervenuta Natalia Gusmerotti di Coldiretti: "Bisogna incentivare le possibilità di acquisto a “km zero” e avvicinare i consumatori ai produttori, ma di certo non esiste una ricetta unica per uscire da questa crisi alimentare". 

Lorenzo Benocci

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