Ricasoli, il Chianti e l’Unità d’Italia

E se i francesi scoprissero che una vigna del Bordeaux è appartenuta a Napoleone? Vi immaginate quanta risonanza potrebbe avere una notizia del genere? Quante iniziative, quanti festeggiamenti, e quante ricadute positive sul mercato del vino francese? Già, sarebbe proprio una bella fortuna poter legare un prodotto locale a eventi o personaggi storici di tale portata.

Il vino del Barone – Ma noi non siamo i francesi, non abbiamo il Bordeaux e non abbiamo avuto Napoleone… Però abbiamo il Chianti, e forse non ci rendiamo conto di quale patrimonio storico e culturale si racchiuda in questo vino, che ha una precisa origine geografica ma un’importanza che travalica sicuramente i rigidi confini territoriali. Sì, perché la storia del Chianti si intreccia a maglie strette non solo con la storia della Toscana ma con la storia dell’Italia intera, o meglio con la storia dell’Unità d’Italia. E questo grazie a un personaggio chiave, il barone Bettino Ricasoli, che a ben vedere tracciò la sua stessa vita sul perseguimento di due obiettivi principali, la nascita del vino Chianti e la nascita dell’Italia Unita. Nato a Firenze nel 1809, il barone studiò prima in una scuola di Prato e poi in una di Firenze e, dopo alcuni viaggi di istruzione in Italia e all’Estero, nel 1830 prese le redini degli affari di famiglia stabilendosi a Brolio. All’epoca, il vino delle cantine di Brolio era già famoso e solcava i mari in svariate direzioni; ma il barone non era soddisfatto e allora si spese in continui studi e sperimentazioni per dargli quel profumo, quella grazia e quella scioltezza a cui, come lui stesso ebbe modo di dichiarare, “mirava in modo particolare”.

La storia – Tutto questo mentre, in un altro ambito, si stava compiendo un altro processo, altrettanto laborioso e altrettanto importante; quello che avrebbe portato alla nascita del Regno d’Italia e del quale proprio il barone Ricasoli fu un protagonista assoluto. Gonfaloniere a Firenze nel 1848 durante il Granducato di Leopoldo II d’Asburgo Lorena, sostenne da subito e con un vigore senza eguali, la causa dell’Unità d’Italia. Non a caso nel 1859, dopo la fuga di Leopoldo II, divenne “dittatore” di Toscana. Un dittatore che l’11 Marzo 1860 volle dare la possibilità ai toscani di votare a favore o contro l’annessione allo stato Sabaudo e sostenne segretamente l’impresa di Garibaldi. Quando il progetto di un’Italia unita entrò nella fase decisiva, altri granducati ne seguirono l’esempio, finché il 17 Marzo 1861 il parlamento italiano proclamò la nascita del Regno d’Italia sotto la guida del primo ministro Camillo Benso conte di Cavour. Ma Cavour fece appena in tempo ad iniziare il suo mandato e alla sua morte, il 6 giugno 1861, fu proprio Bettino Ricasoli a succedergli. Apprezzato per le innegabili doti da statista, il “barone di Ferro” (così veniva chiamato Ricasoli) si dimostrò poco incline ai compromessi ed agli intrighi di palazzo, e per questo non ebbe vita facile nell’ambiente politico; costretto a lasciare presto l’incarico di primo ministro, fu poi richiamato dal Re Vittorio Emanuele II a guidare l’Italia in vista della terza guerra d’indipendenza, per poi doversi nuovamente dimettere pochi mesi dopo.

Storia, non solo enogastronomia – Questo altalenarsi di vicende politiche non gli impedì di continuare a dedicarsi all’altra sua grande passione. E così Ricasoli riuscì finalmente a mettere a punto la “formula magica” del Chianti, che pubblicò nel 1872: “7/10 Sangiovese, 2/10 Canaiolo, 1/10 di Trebbiano e Malvasia”. Ma, aggiungiamo noi, il Chianti non sarebbe mai diventato il vino voluto dal barone senza il carattere dei personaggi che lo curarono, senza le atmosfere dei luoghi e delle vicende storiche che lo accompagnarono, senza la cultura dei contadini che lo coltivarono. Un legame indissolubile, quello tra il prodotto e il suo contesto, che meriterebbe di essere esaltato e diffuso. Perché allora non pensare a un’iniziativa che associ il Chianti ai festeggiamenti per l’Unità d’Italia? Perché non organizzare i festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia proprio in quel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio dove Ricasoli guidò il neonato Regno d’Italia, magari sorseggiando di tanto in tanto un po’ di quel suo vino tanto amato? In fondo, come abbiamo visto, il vino non è solo gastronomia, ma è anche cultura e storia, la nostra storia.

Paolo Fabrizzi                                                                                                                                                   (Dimensione Agricoltura – febbraio 2011)

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