La cooperativa olearia larinese e il suo ruolo di esempio per l’olivicoltura molisana

Nel tempo è riuscita ad essere quel frantoio moderno dove regna l’ordine e la pulizia, punto di riferimento di pullman pieni di turisti, che hanno così modo di capire il processo di trasformazione delle olive in olio, degustarlo e apprendere il valore e il significato di una coltivazione che, da sola, è tornata a far rivivere a Larino il suo ruolo di capitale, due millenni fa del popolo frentano, e da vent’anni dell’Associazione nazionale delle città dell’olio.

Nelle campagne di Larino – Sta qui, in questo ruolo moderno di una Larino capitale e nella distesa olivicoltura, la centralità della cooperativa olearia larinese, che ha guidato e stimolato il processo di ammodernamento dell’olivicoltura molisana. Essa ha dato molto e più di altri alla fama che vive oggi una delle 18 varietà autoctone del Molise, la più diffusa e, come tale, la più importante, la Gentile di Larino, fra le più quotate a livello nazionale per le sue caratteristiche organolettiche e la indiscussa qualità. Una Larino capitale dell’olio anche per quell’altro suo primato, questa volta mondiale, proprio nel campo della biodiversità olivicola, con ben tre varietà che portano il suo nome, la Gentile, la Salegna o Saligna e la Oliva San Pardo, tutt’e tre legate al nome della città e, quindi, patrimonio esclusivo di un territorio che, grazie a questi tre olivi, ha modellato il suo paesaggio, scritto tanta parte della sua storia, della sua cultura e delle sue tradizioni, in primo luogo le feste e le fiere e poi la gastronomia.
Oggi, alla luce di una raccolta che ha dimezzato il ruolo della cooperativa e degli altri 4 frantoi privati che operano a Larino, c’è tutto per dire che la situazione è molto delicata che pesa sulle strutture di trasformazione come sull’insieme dell’olivicoltura larinese e molisana.
Ne parliamo con il responsabile della cooperativa, Alessandro Patuto, che è stato quello che ha rilanciato la cooperativa dopo un periodo di grandi difficoltà che rischiavano di farla chiudere.

Che ne pensi di questa raccolta appena terminata?

C’è da dire – comincia un Patuto preoccupato– che è un anno tremendo ovunque nel Paese quello che ha registrato un abbattimento di oltre il 50% dei quantitativi raccolti, molto di più di quello che raccontano le statistiche. Stanno dando i numeri e parlano di un 30/35% di produzione – ci tiene a sottolinearlo – ma non è così. I danni sono enormi ed a questo c’è da aggiungere il calo della qualità che ci portano a parlare di olio buono ma non eccellente qual è stata la media raggiunta negli ultimi anni.

La colpa è tutto dell’andamento climatico?

L’andamento climatico – riprende Patuto con un tono ancora più basso – è certamente il maggior responsabile della perdita della quantità. Anche la mosca ha inciso sulla minor quantità, ma il suo attacco tremendo e continuo ha messo in dubbio la qualità, costringendo i produttori a fare ripetuti trattamenti contro l’insetto, quest’anno più cattivo che mai. Due elementi negativi che hanno portato in superficie i ritardi del mondo olivicolo e di quello istituzionale.

Quali sono questi ritardi? 
 
Le politiche di questi anni, che hanno messo in ginocchio l’agricoltura spingendo molti produttori ad abbandonare la terra o parti delle colture. La mancanza dei piani, nel nostro caso di quello olivicolo, che serve a creare solo confusione e nuove incertezze. Politiche che hanno reso ancor più forti quelli dell’industria olearia (in mano quasi tutta alla Spagna) e del commercio, e, ancora più deboli gli olivicoltori. Una filiera ancor più squilibrata di sempre. Poi ci sono le colpe di una categoria che vive di divisioni e molto del passato.

Cosa fare?

Ridare forza e slancio all’agricoltura se si vuole dare davvero ai giovani una ragione per tornare alla terra. Con i giovani è possibile superare gli errori, in particolare le divisioni e il senso dell’emarginazione. L’olivicoltura, per me, è il comparto giusto per provare a rinnovare e i tempi sono stretti. Spero che la mazzata di questa raccolta sia d’insegnamento al mondo dell’olivo e dell’olio che, oggi e ancor più domani, ha dalla sua parte un consumatore che vuole la qualità di un prodotto fondamentale per la sua salute. Sta qui – conclude Patuto, questa volta con un sorriso di soddisfazione – il grande ruolo dell’associazionismo e della cooperazione, la garanzia della qualità. In questi anni la cooperativa olearia larinese ha lavorato, e non senza sacrifici, al raggiungimento di questo obiettivo tanto da poter dire, con la piena soddisfazione mia e degli amministratori, dei soci e della nostra clientela, “olio poco ma buono”, anche in momento per niente facile come la campagna appena conclusa.

Pasquale Di Lena

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