Altro che naturale perché locale. L’agricoltura italiana fatta da un mix di importazioni

ROMA – I consumatori cercano il prodotto naturale come se fosse necessariamente più buono solo perché l’ha prodotto la natura. Ma è solo un luogo comune.

La maggior parte delle piante di cui ci nutriamo, tutte quelle coltivate, sono state migliorate durante la storia dell’agricoltura, per diventare più produttive, più facili da raccogliere e da mangiare, più saporite, più uniformi nelle forme e nei colori. Più vicine alle necessità dell’uomo.

Una storia di importazioni

L’agricoltura italiana, è un mix bellissimo di tradizione e di innovazione, ma soprattutto di importazioni e adattamento di colture provenienti da ogni parte del mondo.

Grano, piselli e lenticchie addomesticati nel vicino e nel Medio Oriente, arrivarono in Italia qualche migliaio di anni prima di Cristo; l’ulivo e il pero dal Caucaso; il melo dal Kazakistan, il pesco dall’estremo oriente, l’albicocco e il mandorlo dall’Asia centrale, il ciliegio dalla Turchia. Nel Medioevo, con gli Arabi arrivarono agrumi e riso provenienti dall’Asia orientale, le melanzane dall’India, le angurie dall’Africa tropicale.

Nel Cinquecento dalle Americhe arrivarono mais, patate, pomodori, peperoni e zucche. La fragola arrivò alla fine del settecento da un incrocio tra due piante selvatiche e solo nel Novecento è arrivata l’attinidia (frutto del kiwi) e, più recentemente, il mango in Sicilia.

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