Export sardo, agroalimentare in ripresa + 1,5%. Raddoppiata la vendita all’estero di carni sarde lavorate

Export regionale in netta frenata in Sardegna. Nel primo trimestre dell’anno in corso, al netto del settore petrolifero, il volume complessivo dell’export regionale si è fermato a 219 milioni di euro, segnando un calo tendenziale del -2,9% rispetto allo stesso periodo 2018. Le cose non vanno meglio se si include anche il comparto petrolifero che, con una contrazione del – 20,9%, ha portato l’export complessivo a poco più di un miliardo di euro, determinando un calo tendenziale del -17,8%.

A contenere, anche se parzialmente, il crollo del comparto petrolifero (219 milioni di euro in meno nel primo trimestre 2019), va evidenziato il buon risultato dell’export agroalimentare che, dopo un triennio in calo e un disastroso 2018 (-17,8%), nel primo trimestre 2019 ha dato segnali di inversione di rotta: rispetto al primo trimestre del 2018 il bilancio è di un milione di euro in più, pari ad una variazione tendenziale del +4,2%.

Sebbene incoraggiante, si tratta soltanto di un timido segnale di recupero, e rimangono distanti i brillanti risultati del triennio 2012-2015, quando, anche beneficiando di un cambio favorevole, la domanda USA aveva trainato l’export agroalimentare sardo ad un ritmo medio annuo del +12,3% (la performance più brillante tra le regioni italiane).

Nella fase attuale, invece, i prodotti sardi sembra abbiano beneficiato marginalmente di una congiuntura tornata favorevole, realizzando dinamiche di crescita assai distanti da quelle di Molise (+30,4%), Piemonte (17,8%), Emilia (12,3%) e Marche (12,2%). Con un +4,2% la Sardegna rappresenta l’undicesima regione per intensità di crescita dell’export agroalimentare. Il dato rimane comunque significativo, evidenziando il consolidamento di un comparto strategico per l’economia regionale che, al netto del settore petrolifero, vale un quinto dell’export manifatturiero isolano.

Ma quali sono i fattori che hanno determinato la ripresa? Non l’inversione di tendenza delle destinazioni tradizionali; l’export agroalimentare verso USA, Germania e Francia, infatti, conferma un andamento in calo anche nei primi tre mesi del 2019. La nuova fase di crescita dell’export agroalimentare trova spiegazione nella prepotente affermazione di due nuovi mercati di sbocco: in Europa, è interessante l’incremento del mercato spagnolo che, passando dagli 1,8 miliardi di euro del primo trimestre 2018 ai 3,2 miliardi dell’anno in corso (+82%), è diventato il secondo mercato per volume di export dopo gli Stati Uniti. Tuttavia, è da evidenziare la crescita continua del mercato cinese, passato dai 446 milioni di euro dei primi tre mesi dell’anno scorso a 1,5 miliardi, un mercato che, nell’arco di un anno, è praticamente triplicato, facendo della Cina il quinto partner commerciale in termini di volumi importati, subito dopo Germania e Francia.

Il comparto lattiero-caseario – Il comparto lattiero-caseario rappresenta attualmente circa il 60% dell’export agroalimentare sardo. Dal 2015 (anno di picco) al 2018, i prodotti caseari hanno perso un terzo del volume dell’export (da 136,2 milioni di euro a 91,4) registrando una caduta verticale proprio tra 2017 e 2018 (-24%). Ma i dati del primo trimestre 2019 mettono in evidenza timidi segnali di ripresa: dai 24,7 milioni di euro del primo trimestre dell’anno scorso, l’export di prodotti caseari è passato a 25,7 milioni, una variazione su base annua dell’1,5%. Il contributo più rilevante alla crescita dell’agroalimentare nella prima parte del 2019, tuttavia, è venuto dal comparto delle carni lavorate che rispetto al primo trimestre 2018 ha visto raddoppiare le vendite all’estero.

Tornando al settore caseario, la ripresa della domanda statunitense (circa il 73% della domanda) è senza dubbio una questione rilevante, ma da ribadire è la rapida affermazione di nuovi mercati di sbocco, ed in particolare di Cina e Spagna.

Se nel primo trimestre 2019 il mercato statunitense ha registrato, rispetto alla prima parte del 2018, un aumento di 371mila euro (+2,1%), le esportazioni lattiero-casearie verso la Cina sono aumentate di 426mila euro e di 358mila quelle verso la Spagna. Nell’arco dell’ultimo anno la capacità di assorbimento di questi due mercati di sbocco è passata da pochi decimi di punto a quasi il 2% dell’export sardo di prodotti caseari.

«In un quadro generale abbastanza problematico, che al netto del settore petrolifero misura una contrazione del volume di export del -2,9% (-17,8% con il petrolifero), la crescita del comparto agroalimentare (+4,2%) costituisce un segnale importante – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -. In quest’ambito assume grande rilevanza sia la rapida affermazione di nuovi mercati di sbocco, tra cui Cina e Spagna, sia il forte incremento dell’export di carni lavorate. Sebbene l’osservazione dei dati di un solo trimestre non sia sufficiente a definire con certezza una mutazione di scenario, si può esprimere una valutazione di prudente ottimismo. La diversificazione geografica e di prodotto è fondamentale per ridurre i rischi provenienti dalla fluttuazione dei prezzi delle materie prime e dei tassi di cambio, oltre che da politiche commerciali sfavorevoli messe in atto da importanti partner commerciali come gli USA. Gli scenari di mercato evidenziano bene quanto oggi sia fondamentale investire sullo sviluppo del settore agroalimentare nel suo complesso, promuovendo l’accesso ai mercati internazionali di altre produzioni oltre a quelle lattiero-casearie. I buoni risultati del comparto delle carni lavorate sono decisamente incoraggianti, e qualcosa di positivo si rileva anche per le produzioni regionali di qualità del settore pastaio e dei prodotti da forno, mentre sono ancora molto poco conosciute all’estero ed hanno un ampio potenziale di crescita prodotti di elevata qualità del comparto enologico ed oleario».

 

 

 

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