Pesche veronesi. Partenza con prezzi deludenti (40 centesimi al chilo), non bastano per pagare i lavoratori

È partita da pochi giorni la raccolta delle pesche in provincia di Verona, ma tra maltempo e prezzi in calo la stagione si preannuncia deludente.

“La prima gelata primaverile ci ha portato via il 50 per cento del prodotto – spiega Andrea Tosoni, dei peschicoltori di Confagricoltura Verona, contitolare dell’azienda agricola Tosoni fratelli a Valeggio ex ex presidente della Pro loco -. Ora speriamo che cessino queste piogge continue perché rischiamo altre complicazioni, come muffe e parassitosi. Le pesche in raccolta sono di buona qualità, ma speravamo, proprio in virtù dei bassi quantitativi, che il mercato le premiasse di più. Invece siamo partiti con prezzi pagati ai produttori di 40 centesimi al chilogrammo, cioè in linea con quelli insoddisfacenti dell’anno scorso. E 40 centesimi a inizio stagione sono davvero pochi, perché poi, quando aumenteranno i quantitativi della raccolta, diminuiranno ulteriormente. Peraltro con la produzione dimezzata quest’anno i costi di produzione verranno spalmati su un reddito minore, e quindi a stento si pareggia. Come sempre a farci male è la concorrenza dalla Spagna, oltre a quella interna dal Sud Italia. Loro hanno condizioni migliori e pezzature più grandi. E riescono ad essere più competitivi di noi”.

La coltivazione delle pesche, in provincia di Verona, è sempre più in crisi. Dal 2011 gli ettari coltivati a pesche sono passati in provincia di Verona da 2.736 ettari a 1.743 ettari (dati di Veneto Agricoltura). Una perdita di un migliaio di ettari in un decennio, pari a più di un terzo delle piante. “Mi dispiace dirlo, ma se va avanti così le pesche da noi sono destinate a scomparire – conferma Tosoni -. Gli anni d’oro sono terminati nel 2010. Da allora è andata sempre peggio. Noi avevamo 30 ettari di pesche, ma li abbiamo ridotti a 24. Siamo una delle grosse aziende che porta avanti ancora la tradizione, ma saremo costretti anche noi a prendere delle decisioni sul nostro futuro, perché non possiamo più sostenere una coltivazione che non dà reddito. Anche i grossisti si stanno spostando negli areali dove ci sono una maggiore quantità e una maggiore offerta. La grande distribuzione non aiuta, perché, al di là dei bei discorsi sui prodotti a km 0, sceglie anche chi fa un centesimo di sconto. Un po’ ci sta aiutando la consegna a domicilio, iniziata nel periodo di lockdown, ma i nostri 5.000 quintali sono una produzione che per essere assorbita ha bisogno dei canali tradizionali. Esportiamo anche nei Paesi del Nord Europa, ma anche su quel fronte i prezzi lasciano a desiderare. Due anni fa ci davano 1,20 euro al cestino retinato, adesso prendiamo la metà”.

I problemi quest’anno sono anche sul fronte della manodopera. “Prima c’è stata la difficoltà di reperimento nel periodo di lockdown, adesso i lavoratori stranieri sono presi dalla fibrillazione per farsi regolarizzare e sono tutti in giro a uffici – spiega Tosoni -. Si fatica a reperire raccoglitori e soprattutto che siano un minimo specializzati. La raccolta delle pesche si impara con il tempo: bisogna saper “pescare”, come dice il nome, il frutto maturo al punto giusto, in base al colore e alla consistenza. Formare i lavoratori è un impegno che richiede tempo. I lavoratori italiani sarebbero i migliori, perché sono sul posto ed è più facile comprendersi. Ma fanno le raccolte solo per ripiego e, non appena trovano un’altra opportunità, se ne vanno. Per noi significa aver sprecato inutilmente tante ore a spiegare il lavoro”.

Unica nota positiva la presenza minore della cimice asiatica: “C’è, ma è meno aggressiva degli altri anni. Io credo che la natura faccia il suo corso e tra qualche anno troverà il suo equilibrio naturale, neutralizzando in gran parte l’azione di questo insetto alieno”.

Come per altre colture arboricole, anche per la peschicoltura l’86% circa degli investimenti si concentra in provincia di Verona. La panoramica veronese rispecchia quella nazionale: quest’anno la produzione italiana di pesche e nettarine si prevede che scenderà sotto le 820mila tonnellate, riportando un calo del 28% sul 2019 e del 34% rispetto alla media del quinquennio 2014-18.

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