Ucraina. Aumentare produzione agricola nazionale, CAI: servono contratti di filiera

ROMA – Contratti di filiera nazionali blindati su grano, mais, soia, foraggere e girasole per dare certezze agli agricoltori a cui si chiedono investimenti importanti, in questo periodo di forte instabilità e costi aziendali esorbitanti, per recuperare maggiori superfici coltivabili e aumentare le produzioni nazionali di prodotti agricoli.

È questa la ricetta di CAI – Consorzi Agrari d’Italia, alla luce del via libera dell’Ue alla semina di nuove superfici, per dare certezze agli agricoltori, aumentare la produzione agricola nazionale e, di conseguenza, evitare che le ripercussioni della guerra in Ucraina possano creare al nostro Paese, nel lungo periodo, problemi su scorte e approvvigionamenti che certamente andrebbero ad influire sui costi dei prodotti finali alle famiglie italiane.

Il vero problema, in questo momento, ricorda Consorzi Agrari d’Italia, è quello relativo alle concimazioni, fondamentali per ottenere quantità e qualità dei prodotti, all’inizio delle semine primaverili.

All’Italia manca il 40% del fabbisogno di fertilizzanti a causa del caro energia, del blocco dell’export di alcuni Paesi produttori e dei prezzi alle stelle dei prodotti dovuto anche alla guerra.

I tecnici di CAI – Consorzi Agrari d’Italia, che quotidianamente lavorano accanto a oltre 80mila aziende agricole in tutto il Paese, consigliano di utilizzare prodotti a cessione controllata dell’azoto per ottenere un risparmio del 25% circa sui costi standard di concimazione, o di impiegare sistemi di agricoltura di precisione che permettono di massimizzare gli interventi e risparmiare il 20% sul dosaggio di prodotti tradizionali.

Sul fronte prezzi dei prodotti agricoli, ad un mese dall’inizio della guerra in Ucraina, ricorda Consorzi Agrari d’Italia in base alle rilevazioni della Borsa Merci di Bologna, il grano tenero ha subito una impennata del 32,9%, il mais del 41%, sorgo e orzo del 39,8%, la soia del 11,3%, mentre il grano duro è cresciuto solo del 2%.

L’Italia importa il 64% del grano tenero per il pane e i biscotti, il 44% di grano duro necessario per la pasta, il 47% di mais e il 73% della soia, questi ultimi due prodotti fondamentali soprattutto per l’alimentazione animale.

In base ai dati Istat 2020, sottolinea CAI, le maggiori importazioni per il grano tenero si registrano da Ungheria (30%) e Francia (20% circa), con Russia e Ucraina che incidono per il 5%.

Per il grano duro l’Italia importa il 50% del prodotto dal Canada, il 21% dagli Stati Uniti e il 7% dalla Grecia, irrisorie le percentuali dai Paesi in guerra.

Diverso il discorso per il mais con l’Ucraina che incide sul 13% delle nostre importazioni, al pari di Slovenia e Croazia, distante dal 32% dell’Ungheria, mentre su farina e olio di girasole la percentuale di dipendenza dai Paesi in guerra si attesta intorno al 50%.

“Con gli alti costi di produzione è necessario garantire agli agricoltori la giusta remunerazione, per questo sono fondamentali i contratti di filiera ed è quindi necessario che ognuno faccia la propria parte, a partire dall’industria – spiega Gianluca Lelli, amministratore delegato di Consorzi Agrari d’Italia -. Ridurre le percentuali di importazione significa anche riconoscere il giusto prezzo al prodotto italiano ed evitare che nel futuro, quando la situazione tornerà stabile, si possa rischiare di lasciare indietro le aziende agricole”.

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