Peste suina africana. Ecco che cosa è e cosa comporta per animali e esseri umani

ROMA – La Peste suina africana (PSA), è una malattia virale che colpisce i suidi sia domestici che selvatici, non è una zoonosi, quindi non è pericolosa direttamente per l’uomo. L’attuale sierotipo, che da qualche anno sta circolando in Asia e nell’Europa dell’est, vede nel cinghiale un formidabile serbatoio/diffusore e raggiunge livelli altissimi di mortalità degli animali malati (anche il 90%), a differenza del sierotipo presente da decenni in Sardegna, che presenta una bassa letalità.

Il virus della PSA è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi. Il problema della PSA sia nel cinghiale che nel suino non è solo un problema del comparto veterinario, come non solo un problema venatorio se colpisce il selvatico. Come detto, il virus non è contagioso per gli esseri umani, ma i rischi per l’economia sono elevatissimi.

I vincoli sanitari. La problematica maggiore sono i vincoli commerciali imposti dalla PSA: dalle zone infette, per esempio, non si può esportare carne suina a meno che non si dimostri di rispettare certi parametri di sicurezza, mentre gli animali sospetti vengono immediatamente distrutti, con costi elevati per lo smaltimento, che si sommano alle perdite per la mancata vendita. Per far capire l’entità dei danni che può causare questa malattia, basti pensare che prima delle gravi conseguenze dell’epidemia da Coronavirus COVID-19, la Cina è stata colpita, nel 2019, dalla PSA che ha causato danni economici per oltre 140 miliardi di dollari, determinando una perdita di PIL pari al 2% e un aumento di un punto percentuale dell’inflazione cinese.

Il primo comparto produttivo a rischiare gravissime ricadute economiche sarebbe quello della filiera suinicola e della produzione di insaccati di qualità rinomata in tutto il mondo. Non meno grave sarebbe a livello italiano l’impatto sulle produzioni suinicole di qualità, basate su allevamenti bradi e semibradi, spesso site in aziende agricole e zootecniche di piccole dimensioni.

Prima dell’Italia. Fino a pochi anni fa le aree a noi più vicine erano i Paesi dell’est Europa. Poi, le attività umane con il rilascio di scarti alimentari provenienti da animali infetti, la malattia si è presentata prima in Belgio e poi in Germania. La comparsa in Italia dei casi nei primi giorni di gennaio, fra la Liguria e il Piemonte, potrebbe avere avuto la stessa origine.

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