PADOVA – Nel Padovano e in Veneto sono quasi del tutto scomparse le cooperative di trasformazione e commercializzazione della frutta, che un tempo erano presidio fondamentale per i produttori.
Il fallimento di Opo Veneto (Organizzazione produttori ortofrutticoli Veneto) nel 2023, documentato dal decreto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy che ha decretato la liquidazione coatta amministrativa dell’organizzazione, che aggregava 485 soci produttori, è solo la punta dell’iceberg di un sistema cooperativo regionale allo sbando.
“Il paradosso è che oggi il frutticoltore veneto è ostaggio e al tempo stesso risorsa per cooperative e strutture di altre regioni -, spiega Valentino Montagner, direttore di Confagricoltura Padova, toccando il nervo scoperto della questione -. Si trova costretto a conferire la propria produzione fuori dai confini regionali, subendo una doppia penalizzazione: da un lato margini sempre più risicati, dall’altro la perdita sistematica del valore aggiunto che il nostro territorio genera. La commercializzazione, il marketing, la logistica, i servizi collaterali, persino il semplice lavoro di selezione e confezionamento: tutto finisce per alimentare economie di altre regioni. È come se il Veneto fosse diventato una colonia agricola che esporta materia prima e importa prodotti finiti. Mentre i nostri produttori arrancano per sopravvivere, aziende del Trentino, dell’Alto Adige e dell’Emilia-Romagna capitalizzano sul nostro lavoro, sui nostri investimenti, sulla qualità delle nostre terre”.
Mentre il Consorzio Melinda del Trentino, secondo i dati ufficiali del consorzio stesso, gestisce oltre 400.000 tonnellate di mele attraverso 4.000 famiglie associate in 16 cooperative, il Veneto frutticolo galleggia in un limbo organizzativo drammatico. I produttori veneti, isolati e frammentati, subiscono le logiche di mercato di strutture che hanno sede e decisioni strategiche altrove. “Non è sviluppo, è colonialismo economico -, incalza Montagner -. E quando le crisi arrivano, come quella legata al principio attivo Acetamiprid o degli insetti alieni, siamo soli contro tutti”.
In questo scenario di devastazione emerge un fenomeno ancora più inquietante: l’illusione delle varietà Club, quegli ibridi brevettati che sembrano offrire una via di fuga dalla crisi, ma che in realtà rappresentano la forma più subdola di colonizzazione agricola. Pink Lady, Kanzi, Envy, SweeTango: nomi accattivanti di mele che celano una realtà spietata. “Le varietà Club sono diventate l’unico miraggio di reddito per i nostri produttori, ma è un miraggio che costa carissimo -, spiega Montagner -. Si tratta di una moderna forma di soccida vegetale, dove l’agricoltore diventa ostaggio di multinazionali che hanno trasformato la biodiversità in proprietà intellettuale”.
Il meccanismo è diabolico quanto efficace: le industrie detengono i brevetti delle varietà, controllano la produzione delle piante, decidono chi può coltivarle, stabiliscono le quote di produzione, impongono i disciplinari di coltivazione e infine commercializzano il prodotto con brand blasonati e creativi.
L’agricoltore viene ridotto a mero esecutore materiale, un ingranaggio biologico in una macchina commerciale che non controlla. “È come un virus che tiene vivo il proprio ospite solo per potersi nutrire – incalza Montagner -. Le multinazionali hanno bisogno che l’agricoltore sopravviva, ma solo quel tanto che basta per produrre la merce che loro poi commercializzeranno con margini stratosferici. È la morte della dignità contadina, trasformata in algoritmo di profitto”.