Il tartufo si può coltivare, la ricerca batte così i cambiamenti climatici

Il tartufo diventa una coltivazione agricola vera e propria, senza perdere in qualità organolettiche e consistenza. Le aree a maggiore vocazione tartufigena in Italia, in primis l’Umbria, combattono così il crollo dei raccolti di tartufo spontaneo che si è verificato nel corso degli anni, a causa soprattutto dei cambiamenti climatici, che ha portato dalle 2mila tonnellate di tartufo raccolto nell’800, alle 50-60 tonnellate di questi anni. L’argomento è stato al centro del dibattito della giornata conclusiva di Tuber 2008, il Congresso internazionale sul tartufo che chiude oggi a Spoleto, e che ha visto la partecipazione di oltre 250 scienziati provenienti da ogni angolo del mondo, oltre a tecnici, vivaisti e imprenditori.

Ricerca e innovazione – Insomma, la nascita e la crescita del tartufo non è più in mano alla natura, ma guidata dalla mano dell’uomo, e soprattutto per merito della ricerca scientifica che in questi anni ha fatto progressi da gigante. "Sia chiaro – ci tiene a sottolineare Gabriella Di Massimo, ricercatrice dell’Università di Perugia –, stiamo parlando di un tartufo “guidato”, ovvero naturale al cento per cento, non certo di un tartufo artificiale". L’Umbria già nel triennio 1983-86 ha dato vita al primo programma tartufigeno regionale, furono impiantate 59 tartufaie per una superficie totale di 115 ettari, e realizzati 31 impianti di Tartufo nero pregiato di Norcia e Spoleto e 19 di Tartufo bianco pregiato, oltre a 8 campi collezione realizzate con le principali specie di tartufo commercializzabili (dal tartufo scorzone al tartufo bianchetto) più 1 di brumale. Nel 2008 sono già 7mila gli ettari di tartufaie produttive (si trovano in Umbria, Piemonte, Abruzzo, Marche e Toscana), di cui 5.800 ettari micorrizati (ovvero le cui radici sono già in simbiosi con i tartufi) con tartufo nero pregiato, 600 con tartufo bianco e 500 con tartufo estivo (lo scorzone), oltre a 100 ettari con i meno pregiati “bianchetto” e “brumale”.

Venti anni di sperimentazione – I risultati di questi 20 anni di sperimentazione pilota sono stati ottimi  – come è emerso a Tuber 2008 – tanto che in Umbria, ma anche in altre regioni italiane, il tartufo diventa una pratica dell’agricoltura, con ettari di terreno predisposti per il tartufo grazie ai Piani di sviluppo rurale locali. Ottima la produzione: in un ettaro di terreno vocato e con le giuste cure colturali si riescono a produrre 100 kg di tartufo nero pregiato di Norcia e Spoleto, venduto a 800 euro al kg secondo i prezzi correnti. Anche il tartufo bianco inizia ad essere prodotto con successo in tartufaia, come testimoniano le piantagioni sperimentali già realizzate dall’Università di Perugia, – anche se informano i ricercatori – esistono ancora dei problemi per la certificazione delle piantine micorrizate e per la messa a punto delle tecniche colturali.

Qualità e gusto non si discutono – Ma il tartufo coltivato è paragonabile a quello nato e raccolto naturalmente? "Non ci sono differenze tra i tartufi di bosco e quelli di tartufaie coltivate – afferma la Dott.sa Di Massimo -, sia in termini di sapore, odore e tessitura, con garanzie di produzione fin dai primi anni, il nero pregiato entra a regime dal decimo anno. Inoltre il tartufo coltivato ha a disposizione una maggiore quantità di acqua e in modo costante, così anche l’aspetto della crescita del tartufo, sia nell’estetica che nella consistenza, ne trae beneficio".
Ben 7 Piani di sviluppo rurale regionali (sia il 2000-06, che il 2007-2013) hanno previsto finanziamenti specifici per la tartuficoltura (solo in Abruzzo, Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto) mentre in altre i numerosi impianti sono stati realizzati con finanziamenti pubblici, catalogati come semplici rimboschimenti, o con finanziamenti privati. La kermesse scientifica mondiale Tuber 2008 è stata organizzata dalla Comunità montana dei Monti Martani e del Serano e dall’Università di Perugia, con il contributo del Comune di Spoleto e di 3A Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria.

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