Fra costi e prezzi i conti degli agricoltori non tornano mai

Spesso, parlando dell’importanza dell’attività agricola per la società e per l’economia, si portano in evidenza le percentuali d’incidenza sul pil nazionale, oppure l’attività complementare che il settore svolge sul turismo e la sua capacità di tutelare l’ambiente salvaguardandolo dalle catastrofi atmosferiche.

Alimentazione – Raramente, però, si parla della strategica necessità di avere una produzione agricola sufficiente e a costi tali da rendere il cibo accessibile per la popolazione. Infatti, se pensiamo a quanto è accaduto nel passato, ci accorgiamo che spesso la causa scatenante di rivolte e rivoluzioni è stata la scarsità di cibo, in alcuni casi dovuta a carestie, altre volte dovuta al costo troppo elevato delle derrate alimentari. Abbiamo ancora fresco il ricordo di quanto accaduto in Tunisia la scorsa primavera, dove l’innalzamento dei prezzi del pane ha fatto scoppiare una polveriera già molto surriscaldata.
Oggi l’aumento della popolazione a livello mondiale, la crisi e la maggiore richiesta d’alimenti proveniente dai paesi con economie emergenti, rende ancor più necessaria una strategia che garantisca l’accesso al cibo prima che la situazione sfugga nuovamente al controllo. In Europa, già dalla nascita dell’Unione Europea, sono state messe in atto politiche agricole che sopperissero alle deficienze alimentari stimolando la produzione, ma questo non è più sufficiente. La Fao, infatti, ha recentemente affermato che, nel decennio 1995-2005, il numero degli affamati nel mondo è aumentato di 60 milioni d’individui, nonostante che in questo stesso periodo i prezzi alla produzione siano rimasti relativamente stabili e che la quantità prodotta sia stata largamente maggiore del minimo necessario. Dopo il 2005 le cose sono ulteriormente peggiorate perché, anche nei paesi “ricchi”, sono aumentati i poveri e quindi le persone che hanno difficoltà ad acquistare il cibo.

Analisi – Il problema è da ricercare nella distribuzione della filiera. Gli agricoltori, spesso piccoli e poco organizzati, non riescono ad avere peso nelle contrattazioni e sono costretti a tenere bassi i prezzi alla produzione. Ma quando i loro prodotti arrivano sugli scaffali, il prezzo chiesto al consumatore è sorprendentemente lievitato, in alcuni casi di quasi 100 volte. Le carote, ad esempio, vengono vendute dai produttori a 1,4 centesimi al Kg e poi acquistate dal consumatore a 1,25 Euro al Kg. Inoltre la bassa remunerazione degli agricoltori non stimola affatto l’aumento della produzione, che anzi subisce facilmente una contrazione; e con la diminuzione delle quantità prodotte, e quindi la diminuzione dell’offerta sul mercato, si creano le condizioni perché si determini il tanto temuto aumento dei prezzi al consumo. Col risultato paradossale che, mentre a chi produce si riconosce sempre meno, al consumatore si chiede sempre di più e l’accesso al cibo diventa sempre più difficoltoso. Questa situazione obbliga la politica ad intervenire non più esclusivamente sulla produzione, ma anche e soprattutto in quelle parti della filiera che determinano la maggior incidenza sul prezzo finale del prodotto. Dal lato della produzione servono politiche che incentivino la creazione di servizi e l’innovazione dei processi produttivi, che permettano l’aumento della remunerazione degli agricoltori e di conseguenza stimolino la produzione. Nella fasi post-raccolta dovranno invece essere definiti sistemi in grado di impedire l’eccessivo ricarico sul prezzo finale. Trovare il baricentro della situazione, anche se complicato, è oggi quanto mai necessario per garantire quella prosperità e quella stabilità su cui si basano le economie in crescita.

Paolo Fabrizzi

Confederazione Italiana Agricoltori Empolese-Valdelsa

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