Inflazione: aumentano prezzi di frutta e verdura, ma è colpa della stagione

Aumentano mediamente dello 0,6% i prezzi al consumo dei prodotti alimentari non lavorati, a novembre rispetto a ottobre, ma pesano i fattori di natura stagionale. Lo rileva Confagricoltura analizzando i dati provvisori dell’Istat sull’inflazione a novembre. In particolare, proprio  per il  cambio dei prodotti sui banchi e per l’arrivo delle primizie sul mercato, sono aumentati i prezzi della verdura (+2% rispetto al mese precedente), però su base annua i prezzi sono diminuiti del 4,4%; analoga situazione per la frutta, che aumenta dell’1,6%, ma segna una flessione a livello tendenziale  dell’1,3%. In evidenza anche il calo delle quotazioni del pesce di allevamento (-0,2% a livello congiunturale, -0,4% a livello tendenziale). A monte c’è la flessione delle quotazioni all’origine che stanno sopportando i prodotti delle campagne. Ad ottobre, rispetto a un anno fa, secondo i dati Ismea, si è avuta – osserva Confagricoltura – una diminuzione del 4%.
Le imprese agricole continuano a fronteggiare – conclude Confagricoltura – una situazione estremamente difficile, con cali di redditività critici per la tenuta del sistema e con ripercussioni anche sull’occupazione.

La Cia spera nel Natale – A novembre l’inflazione frena ai minimi da quattro anni e parte del merito va al forte rallentamento dei prezzi dei prodotti prettamente agricoli, come la verdura (-4,4 per cento annuo) e la frutta fresca (-1,3 per cento). Anche così, però, i consumi restano in territorio negativo: per colpa della crisi, gli italiani stanno risparmiando anche sul cibo, con un taglio della spesa alimentare che “vale” 2,5 miliardi l’anno. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori, in merito ai dati provvisori sui prezzi al consumo diffusi dall’Istat. Non si “salva” praticamente nessun prodotto agroalimentare dal crollo degli acquisti: costrette a risparmiare, le famiglie riducono di netto le quantità di pesce (-3,4 per cento) e  di carne rossa (-3,9 per cento), così come quelle di latte e derivati (-2,7 per cento) e di ortofrutta (-2 per cento) -spiega la Cia-. Inoltre, si rinuncia drasticamente all’uso dell’olio extravergine d’oliva (-8,8 per cento) e cominciano a diminuire pure i volumi di pasta (-1,2 per cento), mentre resiste l’altro alimento “povero” per eccellenza, cioè le uova (+1,8 per cento). Ora l’unica speranza di ridare un po’ di fiato ai consumi di cibo e bevande viene dalle prossime vacanze di Natale. Secondo le prime stime della Cia, non ci saranno ulteriori crolli a tavola, anzi: ben 8 italiani su 10 -evidenzia la Confederazione- non taglieranno il budget alimentare per il cenone della Vigilia e per il pranzo del 25 dicembre, preferendo risparmiare su regali e viaggi piuttosto che rinunciare alle tradizioni enogastronomiche.

 

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