Formaggio Morbier DOP. Il diritto dell’Unione vieta la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto protetto da DOP

Il diritto dell’Unione vieta la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto protetto da una DOP in determinate circostanze. Il principio viene ribadito con il caso del formaggio francese Morbier DOP.

Occorre infatti valutare – comunica una nota della Corte di Giustizia dell’Unione europea – se tale riproduzione possa indurre in errore il consumatore tenendo conto di tutti i fattori rilevanti, comprese le modalità di presentazione al pubblico e di commercializzazione del prodotto, nonché del contesto fattuale.

Il Morbier è un formaggio prodotto nel massiccio del Giura (Francia) che beneficia di una denominazione d’origine protetta (DOP) dal 22 dicembre 2000.

E’ caratterizzato dalla presenza di una striscia nera che divide il formaggio in due parti in senso orizzontale. Tale striscia nera, originariamente ottenuta da uno strato di carbone e ora realizzata con carbone vegetale, è esplicitamente menzionata nella descrizione del prodotto contenuta nel disciplinare collegato alla DOP.

La Société Fromagère du Livradois SAS, che produce formaggio Morbier dal 1979, non è situata nella zona geografica a cui è riservata la denominazione «Morbier». Scaduto un periodo transitorio, essa utilizza pertanto la denominazione «Montboissié du Haut Livradois» per il suo formaggio.

Nel 2013, il Syndicat interprofessionnel de défense du fromage Morbier (associazione per la tutela del formaggio Morbier; in prosieguo: il «Syndicat») ha citato in giudizio la Société Fromagère du Livradois dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia). Secondo il Syndicat, la Société Fromagère du Livradois recherebbe danno alla DOP e commetterebbe atti di concorrenza sleale e parassitaria, producendo e commercializzando un formaggio che riprende l’aspetto visivo di quello protetto dalla DOP «Morbier», in particolare la striscia nera. La sua domanda è stata respinta.

Con sentenza pronunciata nel 2017, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia) ha confermato detto rigetto. Secondo tale giudice, la DOP è diretta a tutelare non l’aspetto di un prodotto o le sue caratteristiche, ma la sua denominazione, di modo che essa non vieta la fabbricazione di un prodotto mediante le stesse tecniche. Il Syndicat ha dunque proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio.

In tali circostanze, la Cour de cassation (Corte di Cassazione, Francia) interroga la Corte sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 [1] e dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 [2], che sono diretti a tutelare le denominazioni registrate. Più nello specifico, si pone la questione se la riproduzione delle caratteristiche fisiche di un prodotto protetto da una DOP, senza l’utilizzo della denominazione registrata, sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto, vietata dagli articoli 13, paragrafo 1, lettera d), di tali due regolamenti. La Corte è così chiamata, per la prima volta, a interpretare detti articoli 13, paragrafo 1, lettera d).

Giudizio della Corte

La Corte dichiara, in primo luogo, che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 non vietano solo l’uso, da parte di un terzo, della denominazione registrata. In secondo luogo, la Corte afferma che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1151/2012 vietano la riproduzione della forma o dell’aspetto che caratterizzano un prodotto oggetto di una denominazione registrata, qualora questa riproduzione possa indurre il consumatore a credere che il prodotto di cui trattasi sia oggetto di tale denominazione registrata. Al riguardo, occorre valutare se detta riproduzione possa indurre in errore il consumatore europeo, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, ivi comprese le modalità di presentazione al pubblico e di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, nonché del contesto fattuale.

Per giungere a tali conclusioni, la Corte rammenta, anzitutto, che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 510/2006 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1151/2012 contengono un elenco graduato di comportamenti vietati e non si limitano a vietare l’uso della denominazione registrata in quanto tale. Pertanto, sebbene non precisino i comportamenti vietati, gli articoli 13, paragrafo 1, lettera d), di tali regolamenti, riguardano in via estensiva tutti i comportamenti, diversi da quelli vietati dagli articoli 13, paragrafo 1, lettere da a) a c), che possano avere come risultato quello di indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi.

Per quanto concerne, poi, la questione se la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata sia idonea a costituire una prassi che possa indurre in errore il consumatore, la Corte osserva che, certamente, la tutela prevista dai regolamenti nn. 510/2006 e 1151/2012 riguarda la denominazione registrata e non il prodotto che quest’ultima ha ad oggetto. Essa non ha, dunque, lo scopo di vietare l’utilizzo delle tecniche di fabbricazione o la riproduzione di una o più caratteristiche contemplate nel disciplinare di un prodotto protetto da una siffatta denominazione, per il motivo che esse figurano in tale disciplinare.

Tuttavia, le DOP sono tutelate in quanto designano un prodotto che presenta determinate qualità o determinate caratteristiche. Di conseguenza, la DOP e il prodotto da essa protetto sono strettamente collegati. Pertanto, non si può escludere che la riproduzione della forma o dell’aspetto di un prodotto oggetto di una denominazione registrata, senza che tale denominazione figuri sul prodotto di cui trattasi o sul suo imballaggio, possa rientrare nell’ambito di applicazione degli articoli 13, paragrafo 1, lettera d). Ciò si verifica quando tale riproduzione può indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto di cui trattasi.

Al fine di stabilire se ricorra tale circostanza, occorre soprattutto valutare se un elemento dell’aspetto del prodotto oggetto della denominazione registrata costituisca una caratteristica di riferimento e particolarmente distintiva di tale prodotto affinché la sua riproduzione possa, unitamente a tutti i fattori rilevanti nel caso di specie, indurre il consumatore a credere che il prodotto contenente detta riproduzione sia oggetto di tale denominazione registrata.

 

IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

[1] Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2006, L 93, pag. 12).

[2] Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari (GU 2012, L 343, pag. 1).

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