Consorzio Agrario di Siena, Enrico Leccisi ex Dg Cai: “Se aderisce smetterà di operare sul territorio”

ROMA – Alla vigilia della scelta per i soci del Consorzio Agrario di Siena e Arezzo di aderire o meno al progetto CAI (Consorzi Agrari d’Italia) facciamo un approfondimento sulle origini, l’evoluzione ed il futuro della new.co CAI S.p.A..

Con il Dott. Enrico Leccisi, Dottore Commercialista presso l’Ordine di Roma, Revisore Legale del MEF, Commissario Liquidatore del MISE, Revisore Cooperativo, CTU del Tribunale di Roma, nonché professionista tra gli ideatori e realizzatori della nascita del progetto CAI.

Enrico Leccisi è stato, tra l’altro, Direttore Generale – dal giugno 2015 al dicembre 2020 – di CAI, la Societá Consortile Consorzi Agrari d’Italia.

«Sei anni fa, nel 2015, venni chiamato a svolgere il ruolo di Direttore Generale e Procuratore Generale della Società Consortile Consorzi Agrari d’Italia p. A., che promuoveva il progetto CAI-Consorzi Agrari d’Italia. Il progetto, per come inizialmente ideato in seno a Coldiretti, prevedeva la fusione per incorporazione dei vari Consorzi Agrari ancora in bonis in un unico Consorzio Agrario capofila, così da giungere, progressivamente, ad un’unica società cooperativa, operante su tutto il territorio nazionale.

Mi parsero subito chiari i limiti operativi e di governance di tale progetto, nonché dello schema societario che sottendeva al medesimo, un progetto che aveva almeno 2 punti deboli, 2 talloni d’Achille: da un lato la oggettiva difficoltà insita nel consentire il diritto di voto assembleare ad una moltitudine così vasta di soci, peraltro dislocati su tutto il territorio nazionale, con la conseguente necessità di organizzare, ogni anno, decine di assemblee separate, per coinvolgere i circa 40.000 soci; dall’altro la conseguente enorme compressione della rappresentanza territoriale nell’organo esecutivo, l’organo gestorio, atteso che da n. 19 consigli di amministrazione (uno per ogni Consorzio Agrario) si sarebbe ricondotta l’intera gestione societaria ad un unico organo esecutivo, quello della cooperativa incorporante.

È chiaro che mettere insieme 40mila soci avrebbe significato rendere ingestibile un’assemblea generale, molto più di quanto non lo sia – ad esempio – gestire le assemblee delle banche di credito cooperativo, che difatti sono state e sono tutt’ora oggetto di radicali riassetti e riposizionamenti strategici.

Inoltre, anche a voler immaginare un cda della Consorzio Agrario incorporante esteso a n. 25 o 30 componenti, è ovvio a chiunque che la rappresentanza dei territori sarebbe stata notevolmente compressa.

Per queste ragioni – ritengo di immediata lettura – proposi di cambiare modello strategico e societario, attraverso la costituzione – mediante conferimento – di una società controllata dai singoli Consorzi Agrari in bonis: la new.co. CAI S.p.A., la quale avrebbe operato sia sul mercato che, dal punto di vista dello scambio mutualistico, con i soci agricoltori dei Consorzi Agrari, a loro volta sottoscrittori del capitale.

Uno scambio mutualistico realizzato in via mediata, quindi, e non in via diretta.

Tale proposta fece immediatamente breccia, anche a livello normativo (con la promulgazione del Decreto per lo Sviluppo del Mezzogiorno) sia per la maggiore agilità organizzativa, che per il più ampio rispetto della governance e della rappresentanza dei territori, salvaguardata dalla persistenza in vita dei Consorzi Agrari e quindi, in ultima istanza, dei loro organi sociali legittimamente nominati.

Secondo tale ipotesi strategica e societaria – pedissequamente realizzata sul piano giuridico, economico ed operativo – i Consorzi Agrari sarebbero diventati delle holding di partecipazioni, il cui principale asset sarebbe stato costituito dalle azioni della new.co. CAI S.p.A.

Il progetto sopra esposto – almeno dal punto di vista qualitativo – è stato effettivamente portato a termine il 27 luglio del 2020, ma ahimè si è concretizzato in misura (numericamente parlando) inferiore rispetto a quella preventivata, per l’adesione alla new.co. CAI S.p.A. di soli n. 4 Consorzi Agrari, invece dei n. 6 inizialmente coinvolti dal nuovo piano industriale.

Per capire meglio tale aspetto – prosegue Enrico Leccisi – occorre tenere conto del fatto che il progetto era impostato per una completa realizzazione in 3 anni (2020-2022), progressiva e modulare, coinvolgendo n. 6-7 Consorzi Agrari all’anno, fino a giungere alla partecipazione di tutti e n. 19.

Accade però, un vulnus politico-sindacale importante, per comprendere meglio l’evoluzione del progetto: Coldiretti, rappresentata dal Presidente Dott. Ettore Prandini, lo promuoveva e lo promuove tutt’oggi, ma ad aprile del 2020 il cda del Consorzio Agrario del Nord Est, sempre presieduto da Prandini, votò contro al progetto e, sostanzialmente, lo sfiduciò».

Da quel momento cosa succede?

«Da un lato, dal punto di vista politico-sindacale, c’era l’intenzione di Coldiretti di proseguire nel completamento del progetto, ma il Consorzio Agrario più grande, avendo votato contro la proposta del Presidente, cagiona uno scisma insanabile. Da un lato, come legale rappresentante di Coldiretti, il Presidente Prandini era chiamato a realizzare il progetto, dall’altra – quale Presidente del Consorzio Agrario del Nord Est, a postergarlo rispetto ad altre azioni.

Una situazione che, forse, avrebbe suggerito di rinunciare ad una delle due cariche sociali, divenute oggettivamente tra loro inconciliabili.

A questa circostanza di ordine politico sindacale se ne aggiunse una di carattere burocratico amministrativo: il progetto era già ampiamente avviato, le comunicazioni preliminari a Consob erano già state avviate, l’Antitrust era già stata interessata dell’iniziativa, oggettivamente unica nel panorama nazionale, almeno dalla fine degli anni ‘90 ad oggi.

Il Dottor Federico Vecchioni, di cui ho grande stima personale e considerazione professionale, nella sua qualità di Amministratore Delegato della Bonifiche Ferraresi S.p.A. – socio di maggioranza relativa della new.co CAI S.p.A. – mi chiese di andare avanti, con il team di professionisti che avevo individuato, portando il progetto a conclusione, anche senza i Consorzi Agrari del Nord Est e di Piacenza. Così fu.

Furono celebrati tutti i Consigli di Amministrazione, peraltro in piena pandemia da COVID-19 ed a seguito di questi venne stipulato uno degli atti di conferimento in società a responsabilità limitata più complessi degli ultimi anni, con centinaia di allegati e costituito da oltre 11mila pagine, rubricato conferimento di ramo d’azienda in società a responsabilità limitata, ai sensi dell’articolo 2465 del codice civile, atto unico nel suo genere, stipulato da uno dei Notai più esperti in diritto societario del Paese e certamente il più esperto della capitale: il Notaio Dott. Andrea Mosca.

Si noti, e ciò non è affatto secondario rispetto all’ipotesi di adesione o meno del Consorzio Agrario di Siena, che la citata norma, ovvero l’art. 2465 del codice civile, differisce radicalmente, nel nostro ordinamento, dal ben diverso tenore dell’articolo 2343 del codice civile, che disciplina la stima dei conferimenti di beni in natura nelle società per azioni.

Nella prima fattispecie (S.r.l.), difatti, la legge disciplina che sia il soggetto conferente (il Consorzio Agrario) a munirsi di una perizia di stima giurata sul valore del conferimento, nominando un revisore legale di fiducia.

Nella seconda fattispecie (S.p.A.), la legge al contrario prevede che ciascun conferente (il Consorzio Agrario) debba richiedere la nomina di un esperto al Presidente del Tribunale del circondario ove ha sede la società.

Tale distinzione è tutt’altro che secondaria: mentre nella prima fase (da gennaio a settembre 2020) venne costituita una società a responsabilità limitata, controllata dai Consorzi Agrari e da Bonifiche Ferraresi e denominata come la società che l’aveva generata: CAI S.r.l.; qualche mese dopo (settembre 2020) venne trasformata in società per azioni, denominata CAI S.p.A.

CAI S.r.l, poi trasformata in S.p.A., quindi, è stata costituita attraverso conferimenti di beni dei Consorzi Agrari, la cui stima fu affidata ad un collegio di revisori legali nominati dai Consorzi Agrari medesimi, con la conseguente garanzia di omogeneità nella utilizzazione dei criteri e dei metodi di valutazione, senza che potesse sorgere il dubbio che un singolo Consorzio venisse favorito o penalizzato.

Per garantire omogeneità di trattamento nella valutazione degli asset a tutti i Consorzi Agrari partecipanti era indispensabile un’individuazione congiunta del collegio peritale, dato che la perizia di stima è obbligatoria per stipulare l’atto di conferimento.

Oggi, al contrario, qualsiasi nuovo partecipante si troverebbe di fronte all’impossibilità di scegliere – congiuntamente agli altri partecipanti – un unico perito di loro fiducia, poiché CAI S.p.A. è soggetta alle più stringenti previsioni di cui all’art. 2343 del codice civile, che impongono la nomina del perito a cura del Presidente del Tribunale del circondario ove ha sede la società.

A tale difficoltà normativa, occorre aggiungere che, a seguito della pandemia da COVID-19, molti dei beni immobili oggetto di possibile stima e conseguente conferimento, sconterebbe valori certamente al di sotto di quelli riferibili al 2019. Ed i beni immobili sono parte rilevante del Patrimonio di ciascun Consorzio Agrario.

In altre parole le “condizioni di ingresso” di nuovi Consorzi Agrari, oggi, sarebbero quasi  sicuramente dissimili (e verosimilmente deteriori) rispetto alle condizioni di ingresso  in CAI dei primi n. 4 Consorzi Agrari, un anno e mezzo fa.

Anche per questa ragione, da parte degli interlocutori più attenti, vi è una certa diffidenza rispetto alla tendenza politico – sindacale di forzare i tempi.

Ecco perché, rispetto alle attuali proposte di adesione avanzate a nuovi Consorzi Agrari, personalmente non sono né favorevole né contrario, però occorre informare correttamente i soci sulla realtà giuridica ed economica, così da consentire un voto informato».

Cioè?

«Se si vogliono chiamare i soci di un qualsiasi Consorzio Agrario a votare per un progetto bisogna essere chiari e trasparenti, esattamente come lo fummo noi inizialmente. Ho letto che si vuol far passare il socio finanziatore (Bonifiche Ferraresi) come un socio di minoranza. Bonifiche Ferraresi, peraltro ben amministrata, come ho detto poc’anzi, dal Dott. Federico Vecchioni, detiene circa il 40% del capitale sociale di CAI S.p.A., è evidente che nessun Consorzio Agrario detiene una partecipazione così consistente; gli altri n. 4 Consorzi promotori, congiuntamente, arrivano a circa il 60%, ma ciascuno di loro ha partecipazioni meno rilevanti di quella posseduta da Bonifiche Ferraresi.

In sostanza, pur non trattandosi di maggioranza assoluta, vi è certamente una maggioranza relativa – in CAI S.p.A. – da parte della Societá Bonifiche Ferraresi S.p.A., società quotata alla Borsa di Milano.

Bonifiche Ferraresi, inoltre, a differenza di quanto recentemente ho potuto leggere in fantasiose ricostruzioni sui quotidiani, non può certo immettere liquidità all’infinito: essendo una società speculativa, peraltro quotata in Borsa, per ogni investimento che fa, i suoi soci si attendono un rendimento.

Perché ha scelto di non proseguire nella sua carica di direttore generale?

Devo far osservare che, prima di me, ha lasciato la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione di CAI il Prof. On. Rainer Masera, già Ministro delle Finanze, con il quale ho avuto il privilegio di confrontarmi.

Il punto dolente della governance di CAI S.p.A., almeno per come oggi è configurata, è che non ha, a mio avviso, lo spessore professionale, l’esperienza ed il know how che meriterebbe una tale iniziativa.

A ben vedere, CAI S.p.A. non copia nemmeno il pool di professionalità di cui invece dispone il CdA della controllante, Bonifiche Ferraresi S.p.A.

Oggi il Presidente del CdA, dopo le dimissioni del Prof. On. Rainer Masera, è stato individuato in un avvocato fallimentarista. Ora, che un avvocato fallimentarista, certamente competentissimo nella sua materia, possa essere il rappresentante legale di una qualsiasi società di capitali denota o quantomeno trasmette agli stake holders – sempre ad avviso di chi parla – la circostanza che il progetto possa avere dei problemi di sostenibilità, oppure di continuità.

Il primo bilancio d’esercizio, almeno da una prima lettura, sembrerebbe confermare tali considerazioni, in quanto se è vero che Bonifiche Ferraresi, a luglio 2020 ha versato circa 53milioni di euro per garantirsi circa il 40% del Capitale Sociale di CAI, al 31 dicembre dello stesso anno ne residuavano meno di 10.

Questo significa che la società, nei primi 5 mesi, sembrerebbe aver già assorbito circa 40 milioni di euro. Vedremo come andrà con il prossimo bilancio, il 2021.

Tornando alla Sua domanda, per essere esaustivo, nel dicembre del 2020, a progetto CAI ormai avviato, poiché deliberato il conferimento e pubblicato in Camera di Commercio l’atto, mi fu richiesto di assumere, in continuità, l’incarico di Direttore Generale, dall’allora Segretario Generale di Coldiretti.

Tuttavia, rispetto ai presupposti prima rappresentati, pur essendo un ruolo di grande prestigio, preferii declinare, dedicandomi alla mia professione.

Valutai, in particolare, che i comprensibili futuri condizionamenti politico-sindacali derivanti dal vulnusiniziale, quello cioè derivante dalla mancata partecipazione dei Consorzi che votarono contro il progetto, unitamente alla conseguente carenza di professionalità e competenze che essi avrebbero portato in dote al progetto medesimo, avrebbero reso quasi irraggiungibili gli obiettivi economico-finanziari ipotizzati nel piano industriale.

Mi risulta, del resto, che nel corso dei mesi successivi, la stessa posizione sia stata offerta a Francesco Pugliese (Amministratore Delegato di Conad), alla Dottoressa Elsa Bigai (Direttore Generale del Consorzio Agrario di Treviso e Belluno), a Pierluigi Guarise, Direttore Generale del Consorzio Agrario del Nord Est, che avrebbero declinato, al pari del sottoscritto.

Come dicevamo, sono stato Direttore Generale di CAI dal 2015 fino al 31 dicembre 2020 ed ero convinto della bontà del progetto. Però, dopo la sfiducia del Consorzio Agrario del Nord Est al Presidente Prandini, da progetto economico sembrerebbe stia virando verso un campo di sfida politico-sindacale, quindi un ambiente non certo ideale per svolgere il ruolo di Direttore Generale di una società.

La sensazione è che i condizionamenti esterni, i limiti insiti nella governance e la più ridotta dimensione del Progetto CAI rispetto a quanto inizialmente previsto dal Piano Industriale, oggi non profondano un grande appeal negli stake holders.

Al posto dei Soci di CAI, quindi, prima di cercare nuove adesioni di questo o quel Consorzio Agrario, mi concentrerei sull’organizzazione della Societá, sui risultati economico-finanziari, sulla governance: dall’organo esecutivo, all’organo di controllo, sino alla direzione generale ed alla direzione finanziaria.

Solo dopo aver dimostrato l’originaria bontà del progetto, seppur caducato e ridimensionato, riprenderei il dialogo con il Consorzio Agrario del Nord Est ed il Consorzio Agrario di Piacenza.

Solo alla fine cercherei altre adesioni, riprendendo il percorso di integrazione interrottosi ad aprile del 2020».

Proviamo infine a fare chiarezza sulla questione Consorzio Agrario di Siena, cosa devono aspettarsi i soci?

«Se viene valutato un patrimonio per la liquidazione significa che è già destinato alla vendita. E questo è il caso del Consorzio Agrario di Siena e non ha senso che faccia il conferimento CAI. CAI è nata per Consorzi Agrari già in bonis. Prima bisognerebbe portare a termine il progetto di ristrutturazione e solo dopo, valutando le condizioni, eventualmente partecipare al conferimento non CAI.

Traspare una foga di far entrare nuovi Consorzi, dopo il caso politico di quello del Nord Est, si tende a forzare la mano ed anticipare i tempi, il tutto senza delineare puntualmente ai soci alcuni elementi giuridici, patrimoniali e tecnici essenziali, come quelli spiegati in precedenza

Elementi realmente fondanti, che mi sembra vengano sottaciuti. Facciamo un esempio: se Siena entrasse in CAI con il 15% dei diritti di voto sarebbe un discorso, ma se lo facesse con il 3% sarebbe di sicuroun’altra cosa.

L’ultima imprecisione che ho letto in una recente intervista è che CAI sarebbe una “piattaforma logistica e che i consorzi continuano ad operare sui territorio”.

È esattamente il contrario.

I Consorzi, a seguito del Conferimento in CAI, si spogliano integralmente della loro azienda, il ramo immobiliare lo conferiscono in Cai Real Estate S.r.l., per la ristrutturazione del loro debito ed il ramo operativo lo conferiscono in CAI S.p.A.

I Consorzi restano holding di partecipazioni, questo è il progetto CAI, piaccia o no.

E chi non lo apprezza, conoscendone i contenuti, ha il diritto di non parteciparvi, al pari di chi, invece, intende aderirvi convintamente.

Quindi, tornando al caso di Siena: in caso di adesione al Progetto, non è vero che il Consorzio Agrario di Siena continuerà ad operare sul territorio, poiché diventerà una holding di partecipazione, il cui scopo sarà nominare alcuni consiglieri nelle società partecipate CAI REAL ESTATE S.r.l. e CAI S.p.A.».

 

 

Informazione pubblicitaria